venerdì 25 febbraio 2011
WIKILEAKS : GHEDDAFI &FIGLI
“Una soap opera libica”. Non usa mezzi termini Wikileaks per descrivere i retroscena della famiglia Gheddafi che negli ultimi anni, secondo il sito di Assange, è stata più impegnata a coprire gli scandali e a combattere una sorta di guerra fratricida che a governare il Paese.
Nei cable c’è veramente di tutto. Dai malcelati tentativi per coprire l’ostentata ricchezza del clan del colonnello, alle lotte intestine fra i vari rampolli, fino al reale patrimonio detenuto dal rais che ammonterebbe a 32 miliardi di dollari.
Un’opulenza che unita alla sensazione di totale impunità davanti all’opinione pubblica libica può dare alla testa. Gli esempi non mancano. Da ferventi antiamericani, i figli di Gheddafi ad esempio hanno pagato un milione di dollari la cantante americana Mariah Carey per interpretare quattro canzoni durante la festa di Capodanno del 2009 sull’isola caraibica di St. Bart. Ai tempi la notizia viene riportata da alcuni giornali occidentali ma viene subito smentita dai figli di Gheddafi. Il secondogenito Seif al Islam nega in maniera sdegnata l’indiscrezione sostenendo che in famiglia quello che spende somme da capogiro è il fratello Muatassim, consigliere per la sicurezza nazionale. Dal canto suo il fratello risponde “all’affronto” organizzando un altro party ai Caraibi ingaggiando le star Beyonce e Usher.
La diplomazia americana riporta chiaramente come l’eccessiva stravaganza dei fratelli Gheddafi stia irritando molti cittadini libici che non sono più disposti a tollerare queste azioni “immorali e imbarazzanti per il paese”. Ed effettivamente il ritratto dei figli del dittatore che emerge dai cablogrammi a stelle e strisce è impietoso. “E’ come se trattassero la Libia come un loro feudo personale, con lotte intestine per conquistarsi un posto al fianco dell’anziano padre”.
Ed è proprio nella loro faziosità che gli Stati Uniti intravedono, per la prima volta, le crepe nella monolitica dittatura nordafricana. “L’acuta rivalità tra i figli del rais potrebbe giocare un ruolo importante, se non cruciale, sulla capacità della famiglia di mantenere il potere una volta che il Colonnello sia uscito si scena”, dice una fonte americana in un dispaccio riservato al dipartimento di Stato.
Secondo gli osservatori, uno dei motivi principali di tensione è il ruolo di delfino assunto da Saif al Islam e la conseguente gelosia dei fratelli. In particolare di Muatassim che vede in malo modo le aspirazioni liberali del fratello. “L’arresto e l’intimidazione di un certo numero di alleati di Saif, da un lato, e le mosse tese a circoscrivere il ruolo di Muatassim dell’approvvigionamento di armamenti, dall’altro, mostra come il livello di discordia tra i fratelli sia alto”, nota un diplomatico Usa.
I figli del Colonnello arrivano anche ai ferri corti. Nel 2008, Muatassim chiede al presidente della società petrolifera statale 1,2 miliardi di dollari per costituire un corpo di milizie personali. Il tutto solo per sostenere la sua sfida personale col fratello Khamis, comandante delle forze speciali libiche, la guardia presidenziale di Gheddafi.
Ai figli del rais i denari d’altra parte non mancano, visto che ognuno di loro può contare su stabili “flussi di denaro provenienti dalle società petrolifere statali”. Ma è anche il controllo dell’immenso patrimonio del padre a costituire nuove cause di tensione fra i vari fratelli.
D’altro canto, il colonnello e la sua famiglia controllano una parte considerevole dell’economia nazionale e posseggono importanti partecipazioni nei settori del petrolio e del gas, nelle telecomunicazioni, nelle infrastrutture, negli alberghi, nei media e nella grande distribuzione. In un dispaccio del 2006, i diplomatici americani in Libia spiegano che i figli di Gheddafi ricevono regolarmente redditi dalla società petrolifera nazionale, le cui esportazioni annuali ammontano a decine di miliardi di dollari.
E gli affari per loro non mancano: Saif ha accesso ai proventi del petrolio attraverso la società per l’energia del suo gruppo “One-Nine”. La sorella Aisha ha interessi nei settori dell’energia e delle costruzioni e in una clinica privata a Tripoli, la St James. Mohammad, il figlio maggiore, controlla la Commissione generale per le Poste e Telecomunicazioni. Il terzo figlio Saadi (già calciatore del Perugia) progetta una nuova città nell’ovest del Paese come meta turistica. I dispacci descrivono poi una battaglia a tre fra Mohammed, Mutassim e Saadi per il controllo della produzione locale della Coca Cola, una vicenda oscura e complicatissima che neppure diplomatici e uomini d’affari locali riescono a comprendere bene.
Tutte tensioni che non solo hanno fornito “agli osservatori locali materia sufficiente per un feuilleton melodrammatico libico”, ma che condannano il regime alla caduta ben prima dell’inizio della rivoluzione.
giovedì 24 febbraio 2011
J. ASSANGE: QUALE STUPRO?
Il ministro degli esteri italiano Frattini, accogliendo con giubilo la notizia dell'arresto di Julian Assange, si è lasciato andare a una frase di troppo: "Era ora, per fortuna l'accerchiamento internazionale ha avuto successo".
Un'ammissione, nemmeno troppo implicita, che le questioni sessuali per cui il fondatore di Wikileaks è finito in un carcere di Londra sono solo una scusa, e che è dentro per quello che il suo sito ha rivelato nei giorni scorsi.
Vale dunque la pena di vedere in che cosa consiste la vicenda del fantomatico 'stupro' per cui, formalmente, Assange è finito in manette a Londra, dopo che nei giorni scorsi l'Interpol aveva emesso un mandato contro Julian Assange per 'crimini sessuali'.
In realtà, tecnicamente, ciò che sta emergendo è che il fondatore di Wikileaks è stato arrestato per aver violato una legge svedese che, in un'interpretazione estesa, arriva a punire chiunque commetta qualsiasi forma di scorretteza relativa ad atti sessuali anche consensuali.
Ma andiamo con ordine.
Come riportato dal settimanale americano Newsweek ad agosto 2010, a far nascere il 'caso' della giustizia svedese contro Assange è stato un avvocato sed esponente socialdemocratico svedese, di nome Claes Borgstrom (studio Borgstrom and Bostrom, Stoccolma) che rappresenta due donne le cui dichiarazioni hanno portato all'inchiesta contro mr. Wikileaks per 'condotta sessuale scorretta'.
Le clienti di Borgstrom (che chiameremo, come hanno fatto i media internazionali, A e B) hanno entrambe dichiarato di aver avuto relazioni sessuali con Assange lo scorso agosto, durante un suo soggiorno nella capitale svedese intitolato "Guerra e ruolo dei media", organizzato dal Brotherhood Movement, un gruppo cristiano legato al partito socialdemocratico. Entrambe avrebbero riferito alla polizia della riluttanza di Assange nell'utilizzare il preservativo e lo accusano di non aver voluto sottoporsi dopo i rapporti, come da loro richiesta, a un test che escludesse malattie sessualmente trasmissibili.
Le dichiarazioni delle due donne hanno portato all'emissione - e poi alla rapida cancellazione - dell'accusa di stupro, e alla conseguente indagine parallela per presunte 'molestie'. Anche il Guardian ha pubblicato un resoconto cronologico dettagliato dei presunti incontri sessuali con le donne A e B, che in entrambi i casi sarebbero iniziati consensualmente ma avrebbero poi incluso quello che secondo entrambe sarebbe stato "sesso non consensuale" per il rifiuto di Assange di usare il preservativo.
Ecco come il britannico Daily Mail racconta la storia: "Quando (Assange e la donna A) sono rientrati dalla cena, hanno avuto una relazione sessuale, ma c'era un problema con il preservativo. Si era rotto. La donna ha creduto che Assange avesse fatto apposta, ma lui ha sostenuto che si trattava di un incidente. In ogni caso, il giorno dopo, durante il convegno, A. è apparsa rilassata e tranquilla. Durante lo stesso convegno Assange ha incontrato la donna B, un'altra bionda molto carina, più giovane della donna A. La donna B ammette di aver cercato di coinvolgere il suo eroe in una conversazione. Assange sembrava compiaciuto di avere un'ammiratrice così ardente e, sostiene B, la guardava 'ogni tanto' .
Il Daily Mail riferisce poi che, secondo una fonte vicina alla polizia svedese, durante il rapporto sessuale seguito alla loro conoscenza donna B. avrebbe insistito con Assange per usare il preservativo, ma la mattina i due avrebbero avuto un rapporto non protetto. Questo, sempre secondo il Daily Mail "ha costituito la base per l'accusa di stupro. Tuttavia, la mattina dopo l'evento la donna B. era abbastanza serena da scendere a comprare la colazione per Assange".
In sostanza, le accuse delle due donne nei confronti di Assange di essere stato sessualmente scorretto per non aver usato il profilattico non sono state immediate: soltanto diversi giorni dopo i rapporti, le due donne hanno ritenuto che il comportamento di Assange poteva essere penalmente perseguibile. In questo senso, per le due donne sarebbe stato decisivo il rifiuto di Assange a farsi fare l'esame dell'Aids, da loro richiesto.
LIBIA: LA SITUAZIONE.
«La rivolta è una farsa cui porre fine, le richieste dei ribelli sono dettate da Bin Laden». Muammar Gheddafi torna a farsi sentire in collegamento telefonico con
la tv di Stato libica, mentre secondo notizie provenienti da Tripoli raccolte dal presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia Foad Aodi, il rais starebbe facendo preparare un aereo per la fuga. Poco prima al Arabyia aveva diffuso la notizia che il leader libico si era asserragliato in un bunker nella capitale.
Intanto, la rivolta si estende verso ovest, con alcune città come Zuara controllate dai comitati
popolari anti-governo, mentre si preparerebbe un attacco in forze contro Tripoli, ultimo vero bastione del regime dove si stanno concentrando le truppe dei fedelissimi di Gheddafi e dove il tam tam annuncia per domani una nuova imponente dimostrazione.
La Ue annuncia di tenersi pronta per un intervento militare umanitario nel Paese. Stamani, forse proprio per tagliare le linee dei rivoltosi, l'esercito ha lanciato una offensiva a Zawia, a ovest di Tripoli: «Un massacro», ha detto un ex militare. Violenti combattimenti anche a Misurata.
«Dovreste ascoltare Dio, non Bin Laden», quello sta facendo nel Paese è «terrorismo internazionale», ha detto il leader libico Gheddafi, aggiungendo che «non ci deve essere misericordia». «Questa gente non ha richieste. Le loro richieste vengono dettate da Bin Laden. I vostri figli sono manipolati da Bin Laden», ha aggiunto. La rivolta in Libia «è una farsa portata a cui dovremmo porre fine, una farsa portata avanti dai giovani» che «vengono manipolati anche attraverso l'uso di droghe», ha continuato il leader libico.
Al Qaida «vuole creare un emirato islamico in Libia»: sono state ancora parole di Gheddafi, che nel suo discorso in diretta tv, via telefono, ha invitato «il popolo libico a non unirsi agli uomini di Bin Laden», che ha sostenuto, «ha distribuito delle pillole stupefacenti e droghe agli abitanti di Zawya per combattere contro il nostro caro Paese». Questa non è stata l'unica dichiarazione stravagante di Gheddafi: la Libia «è vittima di un malocchio», ha detto ancora il colonnello, riferendosi alla proteste in corso nel paese. Gheddafi ha affermato che sono stati «gli invidiosi» a lanciare un malocchio contro il paese. Poi un bizzarro paragone: la Regina Elisabetta è al potere da più tempo di me, ma a lei non accade nulla, ha detto ancora Gheddafi.
«Se la situazione peggiorerà si interromperanno i flussi di petrolio», ha poi detto il leader libico.
Le milizie di Gheddafi hanno bombardato in mattinata la città di Zawia, nell'ovest della Libia, dove le forze fedeli a Muammar Gheddafi avevano lanciato stamani una offensiva militare. «E' un massacro, ed è difficile stimare il numero di morti» ha detto un ex ufficiale all'emittente tv panaraba Al Arabiya descrivendo la situazione nella città. Secondo altri testimoni oculari citati da Al Arabiya i morti sarebbero già centinaia.
«Gheddafi asserragliato in un bunker». Intanto, secondo al Arabiya, che parla di una Tripoli «sigillata», il leader libico sarebbe asserragliato con una decina di uomini della sicurezza a lui fedeli in un bunker sotterraneo della caserma di Bab al Aziziya (sobborgo meridionale di Tripoli) che, estesa per circa sei km quadrati, è tradizionalmente il luogo dove Gheddafi risiede. La struttura militare è dotata di una ampia rete di cunicoli e bunker sotterranei e di strutture per ospitare le cerimonie di Gheddafi e della sua famiglia.
«Stanno bombardando Zawia - racconta una testimone - con tutti i mezzi, con l'artiglieria pesante. Stanno ammazzando le persone che erano in piazza da giorni, armate con solo qualche fucile, stanno ammazzando anche i medici venuti in soccorso C'erano poche persone in piazza, che sono state colte di sorpresa. Gli altri sono usciti quando hanno sentito i bombardamenti e si stanno facendo uccidere come topi in trappola. Il mondo deve fermare Gheddafi, sta facendo una strage prima di andarsene via».
Migliaia di mercenari e fedelissimi armati hanno raggiunto Tripoli nell'apparente tentativo del leader Gheddafi di assicurare la difesa della capitale libica. Il rais ha richiamato le forze speciali guidate dai figli, segmenti dell'esercito fedeli alla sua tribù e i loro alleati, mercenari africani addestrati in questi anni e che hanno probabilmente già combattuto in Sudan. La presenza di queste forze è visibile nella capitale, dicono testimoni citati dal New York Times: «Dozzine di posti di blocco sono stati istituiti sulle strade principali da mercenari e uomini in borghese. Chiedono non solo i documenti, ma anche di dimostrare il proprio sostegno a Gheddafi, altrimenti sono problemi».
Zuara in mano ai manifestanti. La città libica di Zuara, in Tripolitania, a 100 chilometri a ovest di Tripoli, sulla costa, è da questa mattina nelle mani dei manifestanti che chiedono da giorni la caduta del regime di Muammar Gheddafi: lo ha annunciato la tv araba "al-Jazeera".
Esponenti dei «comitati rivoluzionari» al soldo di Muammar Gheddafi fanno irruzione negli ospedali di Tripoli e uccidono i feriti che hanno manifestato contro il regime. A riferirlo una fonte medica, citata da Sliman Bouchuiguir, segretario generale della Lega libica per i diritti umani.
Al Qaeda: Gheddafi assassino, sosteniamo la rivolta. Il ramo nordafricano di al Qaeda (Aqmi) si schiera a fianco dei dimostranti anti-regime in Libia, e accusa Muammar Gheddafi di essere un «assassino di innocenti»: lo riferisce il Site, il gruppo di monitoraggio dei siti estremisti islamici, citando un comunicato dell'Aqmi pubblicato online. «Siamo addolorati dalla carneficina e dai vili massacri perpetrati dall'assassino di innocenti Gheddafi - si legge nel testo - contro la nostra gente e i musulmani disarmati che si sono levati contro la sua oppressione e la sua tirannia. Facciamo appello ai musulmani libici perché abbiano fermezza e pazienza, e li incitiamo a continuare la propria battaglia e rivoluzione per cacciare il tiranno criminale». Al-Qaeda condanna anche «l'uso di mercenari nel Paese» e per questo annuncia: «sosteniamo la rivolta». Il comunicato si conclude con le parole pronunciate da Omar al-Mukhtar ai tempi del colonialismo italiano: «Noi non ci arrendiamo, vittoria o morte».
Il figlio di Gheddafi: false le notizie sui raid aerei. «Sono false le notizie sui raid aerei contro i manifestanti in Libia» ha affermato Seifulislam Gheddafi, figlio del leader libico durante una visita effettuata stamattina alla sede della tv di Stato libica. Secondo Seifulislam Gheddafi «è assurdo quanto annunciato da alcuni media circa gli attacchi aerei sui civili. Sono notizie ridicole, noi non potremmo permettere delle stragi nel Paese».
Il secondogenito di Gheddafi: controlliamo l'85% della Libia. «Controlliamo l'85% della Libia - ha detto oggi Saad Gheddafi, secondogenito del colonnello Muammar Gheddafi - Nella maggior parte delle città del Paese la situazione è tranquilla, sono in mano ai manifestanti solo le città sulla costa della Cirenaica».
Maroni: preoccupato per al Qaeda, l'Europa passi dalle parole ai fatti. «Sono molto preoccupato per quanto accade in Libia - ha detto stamattina il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - Stamattina al Qaeda ha detto che supporta i ribelli ed è contro Gheddafi. Noi cosa facciamo? Serve un differente approccio da parte dell'Europa. Tutti dicono di essere pronti, ma bisogna passare dalle dichiarazioni alle azioni: si deve costituire il Fondo di solidarietà per attuare le iniziative che noi dei sei Paesi del Mediterraneo abbiamo proposto per affrontare l'emergenza Nord Africa. L'Italia può fronteggiare l'emergenza immigrati causata dalle rivolte in Nordafrica, ma non per tanto tempo».
mercoledì 23 febbraio 2011
INTERNET E LE RIVOLTE
ROMA - Coprifuoco anche su internet: impossibile navigare sul web dalle 22 alle 5.30. Anche la Libia cade nell'oblio della Rete. Censure, filtri ai social network, ma soprattutto “spine” al web staccate la notte. Per superare il blocco c'è chi torna al vecchio modem, chi suggerisce di usare le onde radio e chi fa un colletta online per creare un sistema di navigazione satellitare. Mappe online che descrivono gli scontri in tempo reale, metodi old economy per aggirare la censura, e piattaforme che trasformano testimonianze fatte al telefonate in file audio da mettere online.
Traffico azzerato. Lo strumento Trasparency Report di Google mostra il grafico delle connessioni al web con la curva che si azzera la notte a partire dal 18 febbraio per quanto riguarda i contatti al motore di ricerca e l'attività dei blogger. Scende del 90% il traffico sulla piattaforma di condivisione video Youtube. Craig Labovitz, tecnico di Arbor Network (azienda esperta nel controllo della sicurezza delle reti), analizza il traffico internet nei Paesi sconvolti dalle rivolte. Traffico completamente bloccato dal 27 gennaio al 2 febbraio in Egitto, in picchiata nello Yemen dal 7 al 14 febbraio. Problemi in Libia dal 16 febbraio, fino al calo totale del 18 che testimonia il black-out della rete dalle 22 alle 5.30 del mattino).
"A prova di censura". Avaaz, un'organizzazione civica internazionale che promuove l'attivismo sul web, sta lavorando al progetto "blackout-proof" (a prova di blackout). L'obiettivo è la creazione di modem sicuri e sistemi di ricezione satellitare per cellulari e trasmettitori radio consentendo così agli attivisti sul campo di trasmettere video dal vivo anche durante il black out del web e dei telefonini. A tale scopo l'organizzazione ha organizzato una colletta online. Mancano 4mila euro per raggiungere l'obiettivo.
Piattaforme audio e video. Molti libici usano l'account Feb17voices, Libya o Tripoli della piattaforma audio per internet e cellullari Audioboo, che raccoglie file audio. Voci concitate, spari in
sottofondo e la testimonianza più agghiacciante: "Stanno uccidendo le persone che sono scese in strada". Le voci della disperazione vengono raccolte anche dal blog Libyafeb17.com con l'ultimo file audio del 23 febbraio, ore 6,52. Tra i canali video più popolari che raccolgono le testimonianze Freedom writer e SaveLibya.
La mappa in tempo reale degli scontri. Il gruppo di attivisti Arasmus raccoglie da Twitter le segnalazioni sugli scontri e le traduce in una mappa interattiva. Le diverse icone indicano l'avvistamento di aerei, navi e scontri con le forze dell'ordine. L'ultima segnalazione relativa al 23 febbraio racconta di un aereo che vola in moda circolare sulle coste libiche, una sparatoria a Tripoli alle 16.45, spostamenti di truppe a Sabratha, nella Libia nord occidentale e l'apertura del valico con l'Egitto a Sallum per il passaggio di forniture mediche. Proteste, scontri e uccisioni che si visualizzano in tempo reale anche su Mibazaar che traduce i messaggi della piattaforma Twitter in icone sulla mappa interattiva.
Metodi old economy per superare la censura. C'è chi consiglia di tornare al vecchio modem per superare il blocco degli Internet Service Provider viaggiando (anche se molto lentamente) con la tradizionale rete telefonica o chi resuscita i packet radio (trasmissione dei dati via radio). Secondo il sito Lybia Al Youm Google avrebbe messo a disposizione dei numeri con i quali arrivare a Twitter attraverso il telefono. Come era successo per la rivolta in Egitto, si chiama un numero e la testimonianza viene tradotta in un file audio poi messo online sul sistema di microblogging Twitter.
Messaggi virali. Nel tragico destino della Libia visto sul web, non manca l'ironia. "Ho visto Gheddafi, alla Coop sotto casa mia". Con questo messaggio David ha dato il via a decine di messaggi su Twitter su "falsi" avvistamenti del leader libico. E' stata creata una lista apposita con l'hashtag "hovistogheddafi" che sta spopolando sul web.
martedì 22 febbraio 2011
CEI CONDANNA GHEDDAFI, POPOLI CONTRO DITTATURE
(AGI) - Genova, 22 feb. - "Oltre la Libia c'e' tutta l'area del Nord Africa e questo a me pare che corrisponda ad un fatto generale che e' successo anche nell'Est, vale a dire ad un certo momento, oltre che ai problemi economici e politici, le popolazioni prima o dopo reagiscono necessariamente ad una antropologia quindi ad una visione dell'uomo che e' contro i suoi diritti fondamentali, contro la sua dignita'".
Cosi' il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, ha commentato quanto sta accadendo in Libia e in tutto il Nord Africa. A margine di un convegno sul disarmo nucleare, il porporato ha ribadito: "Oltre agli elementi di tipo economico, certamente c'e' questo dato di fondo che non puo' essere compresso da nessun regime, da nessuna dittatura. Prima o poi esplode".
ULTIM'ORA : DISTRUTTO L'AEROPORTO DI BENGASI.
Roma, 22 feb. (TMNews) - La pista dell'aeroporto di Bengasi è stata distrutta e gli aerei non possono atterrare. Lo ha detto il ministro degli Esteri egiziano, citato dalla tv araba al Jazeera.
Oggi a Bengasi è atteso un C-130 dell'aeronautica militare italiana rimpatriare i primi 100 italiani dalla città libica". L'annuncio è stato dato in mattinata dal il ministro della difesa, Ignazio La Russa, cha aveva precisato che "l'aereo dovrebbe partire in mattinata e rientrare in giornata".
domenica 20 febbraio 2011
INFERNO IN LIBIA
Protesta in Libia, l’esercito spara sulla folla. Le vittime salgono a trecento
Centro della rivolta è Bengasi. Qui gli uomini del Colonnello hanno aperto il fuoco su una cerimonia funebre. Manifestanti anche a Tripoli. Berlusconi non sente Gheddafi: "Sarà occupato"
La rivolta del popolo libico finisce nel sangue. In serata la conta dei morti viene aggiornata a 120 vittime, oggi il bilancio è salito a 258. Ma la conta è destinata a proseguire. Di queste la maggior parte sono state uccise nella sola Bengasi, il cuore della contestazione anti Gheddafi e in Cirenaica, quando alcuni uomini delle forze di sicurezza hanno aperto il fuoco su un corteo funebre. La brigata responsabile della sicurezza in città, al-Fadil Abu Omar, ha usato contro i manifestanti anche razzi Rpg e armi anti-carro. ”La maggior parte delle persone uccise in questi giorni a Bengasi sono state ferite da colpi d’arma da fuoco al cuore o allo stomaco”, ha riferito il medico dell’ospedale al-Jala di Bengasi, Mohammed Mahmoud, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba al-Jazeera.
Gli scontri sono proseguiti per tutta la serata di ieri nel centro della città proprio davanti alla caserma di Al-Birka. In Cirenaica, invece, parte dell’esercito si è unita ai manifestanti ad Al Beida, Derna e Tobruk, mentre non ci sono notizie sicure sulla presa di posizione dell’esercito locale nella citta’ di Bengasi. La situazione risulta critica anche all’aereoporto, dove la popolazione cerca di impedire gli arrivi di mercenari provenienti dai paesi dell’Africa Nera. La protesta si è accesa anche Tripoli, dove gruppi di sostenitori del Colonnello sono scesi in piazza e, secondo alcuni italiani presenti nella capitale, si sono sentiti diversi colpi di arma da fuoco.
Fonti locali riferiscono che il cognato di Gheddafi, Abdallah Senussi, appositamente inviato per sedare la rivolta sia stato ucciso, mentre il figlio del Colonnello, Al Saadi, che era intrappolato all’hotel Tibesti, sia riuscito a fuggire.
Totalmente bloccate le comunicazioni. Non c’è accesso ad Internet, anche le linee telefoniche verso l’estero sono interrotte da un paio di giorni. Il governo turco ha nel frattempo inviato degli aerei per far evacuare i propri connazionali. Sulla polveriera libica questo pomeriggio è intervenuto anche Silvio Berlusconi, il quale, alla domanda se avesse sentito Gheddafi ha risposto. “No, non lo ho sentito. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno”.
Intanto si fanno sempre più insistenti le voci sulla morte dell’ex presidente tunisino. Diverse fonti non verificate che circolano sul web riferiscono che Zine al-Abidine Ben Ali sarebbe morto in un ospedale di Gedda, in Arabia Saudita. Ben Ali, da due giorni in coma, era fuggito all’estero il 14 gennaio, dopo una rivolta popolare che ha messo fine ai suoi 23 anni di potere nel Paese nordafricano. Un webmagazine israeliano in francese, JSSNews, ha dato la notizia del decesso, sostenendo di averla avuta da diplomatici tunisini in Europa occidentale, “fonti affidabili” secondo cui sono in corso trattative per organizzare i funerali a Tunisi. Il webmagazine è lo stesso che aveva dato per primo notizia del coma dell’ex presidente. Sarebbe stata la moglie Leila Trabelsi, da Tripoli, a dare l’autorizzazione a staccare la spina dopo che il marito era già clinicamente morto da 24 ore. Secondo JSSNews, il presidente Ben Ali è morto nella notte tra venerdì e sabato, alle 22.30, senza avere vicino alcun membro della famiglia. Per il momento la notizia non è stata ancora confermata perché si sta cercando di rispettare il rito musulmano che vuole i funerali nello stesso giorno del decesso. Pertanto, secondo il magazine, “l’annuncio della morte potrebbe essere ritardato di 3 o 4 giorni”.
Marocco. Manifestazioni e scontri si sono registrati anche nel regno di Mohammed VI. Migliaia di persone sono scese in piazza nelle principali città del paese per chiedere al re di rinunciare ad una parte dei suoi poteri. Incidenti si sono verificati a Marrakech e Larache. A Marrakech, un gruppo di 150-200 persone ha attaccato i negozi e lanciato pietre contro un edificio pubblico e un McDonalds. L’episodio si è verificato dopo la dispersione della manifestazione a cui hanno partecipato circa 1.500 persone.
Incidenti simili si sono verificati a Larache, nel nord del paese. Alcuni giovani hanno attaccato un ufficio doganale e una stazione di polizia. In entrambi in casi, la polizia ha deciso di intervenire, mentre il ministro degli Interni ha annunciato che il re terrà presto un discorso, preannunciando il varo di riforme per la democratizzazione del paese.
Algeria. Il deputato dell’Rcd si trova attualmente ricoverato in rianimazione all’Ospedale Mustapha Pacha, a pochi passi da piazza Primo Maggio. “I medici stanno tentando di risvegliarlo”, ha detto all’agenzia di stampa Ansa, Mohseb Belabbas, portavoce del partito. “Dopo essere stato colpito al ventre da un agente - ha precisato – ha sbattuto la testa e ha perso i sensi e per alcuni minuti è rimasto a terra”. “La polizia ha impedito che venisse trasportato via subito dalla protezione civile”, ha aggiunto. “Soltanto l’insistenza di alcuni manifestanti ha convinto gli agenti a lasciar passare i soccorsi”.
La polizia di Algeri in tenuta antisommossa sta usando la linea dura per reprimere la manifestazione in corso della capitale, dove secondo il giornale arabo al-Watan si sono riuniti 300 manifestanti. Le forze dell’ordine hanno impedito l’accesso alla piazza del Primo Maggio, dove sabato scorso si è tenuta la prima ‘giornata della collera’, e i manifestanti si sono dispiegati lungo boulevard Belouizdad cantando slogan contro il governo, sulla scia delle proteste che in Tunisia e in Egitto hanno portato alle dimissioni di presidenti in carica da 23 e 30 anni. La polizia, circa 400 uomini in campo, ha usato manganelli per disperdere la folla e diversi carri armati sono stati posti in diverse zone della capitale per evitare che i cittadini aderissero alla manifestazione. I manifestanti si sono comunque riuniti davanti al ministero della Gioventù e dello sport chiedendo una “Algeria libera e democratica”. La marcia odierna non è stata autorizzata dalle autorità in base allo stato di emergenza, in vigore da 19 anni, che impedisce la libertà di manifestare in piazza.
Yemen. Uno studente è rimasto ucciso negli scontri intorno all’Università di Sanaa fra oppositori e sostenitori del presidente. Cinque i feriti. Secondo la tv araba al-Jazeera si tratta degli scontri più violenti degli ultimi nove giorni nella capitale yemenita.
Bahrein. L’opposizione respinge l’offerta di negoziato avanzata dal principe ereditario e in mattinata riprendono i disordini.
La posizione degli Usa. In una telefonata al re del Bahrein, Hamad bin Isa al-Khalifa, il presidente americano, Barack Obama ha “condannato l’uso della violenza contro i pacifici manifestanti e ha sollecitato con forza il governo” del piccolo emirato del Golfo “a mostrare moderazione”. “Da alleato di lunga data del Bahrein”, ha riferito una nota della Casa Bianca, “gli Usa ritengono che la stabilità del Paese dipenda dal rispetto dei diritti universali e da riforme che rispondano alle aspirazioni di tutti i cittadini”. Il Bahrein ospita la Quinta Flotta Usa ed è un alleato strategico dell’America nel Golfo. In un altro comunicato diffuso a margine di una visita in Oregon, Obama si era detto “profondamente preoccupato” dalle notizie di violenze in Bahrein, Yemen e Libia. “Gli Usa”, ha ricordato il presidente americano, “condannano l’uso della violenza da parte dei governi contro manifestanti pacifici in questi Paesi o dovunque possa accadere”. Ai governi dei tre Paesi viene chiesto di “mostrare moderazione nel rispondere a proteste pacifiche e di rispettare i diritti dei loro popoli”.
sabato 19 febbraio 2011
IL MONDO CATTOLICO DIETRO LE CIFRE
Aumentano complessivamente nel mondo i fedeli battezzati, i vescovi, i sacerdoti diocesani, i diaconi e i candidati al sacerdozio. Aumentano, nello stesso tempo, le circoscrizioni ecclesiastiche. Diminuiscono i sacerdoti del clero religioso e le religiose. Questo, in sintesi, il quadro generale – con differenze tra continente e continente –, come emerge dall’Annuario Pontificio 2011 presentato questa mattina a Benedetto XVI dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e mons. Fernando Filoni, sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari generali. Il volume è stato curato da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio centrale di statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dagli altri collaboratori del medesimo Ufficio. La stampa è della Tipografia vaticana. Il Papa ha ringraziato per l’omaggio e ha espresso la sua gratitudine per quanti hanno contribuito a realizzare questa nuova edizione dell’Annuario.
Dalla lettura del volume si rileva in particolare che nel 2010 sono state erette dal Papa 10 nuove sedi vescovili, 1 esarcato apostolico e 1 vicariato apostolico; sono state elevate: 1 diocesi a sede metropolitana, 2 prelature a diocesi, 2 prefetture e 1 amministrazione apostolica a vicariati apostolici. In totale, nel mondo, le circoscrizioni ecclesiastiche sono ora 2.956.
A livello planetario i fedeli battezzati sono passati da 1.166 milioni nel 2008 a 1.181 nel 2009 con un aumento percentuale pari all’1,3%. Il numero dei vescovi è salito da 5.002 a 5.065. I sacerdoti, in totale, sono aumentati negli ultimi dieci anni passando da 405.178 nel 2000 a 410.593 nel 2009, con un incremento percentuale dell’1,34% a livello mondiale. In particolare, nel 2009, i sacerdoti sono cresciuti dello 0,34% rispetto al 2008, grazie all’incremento del clero diocesano che ha compensato la riduzione del clero religioso, ovunque diminuito, tranne in Asia e in Africa .
I diaconi permanenti aumentano di oltre il 2,5%, passando da 37.203 del 2008 a 38.155 del 2009, con incrementi elevati in Asia (16%) e in Oceania (19%). In flessione le religiose professe. Nel 2008 erano 739.068, ora sono 729.371. La crisi quindi rimane, nonostante l’Africa e l’Asia, dove invece sono in aumento.
Il numero dei candidati al sacerdozio è cresciuto dello 0,82%, passando da 117.024 unità nel 2008, a 117.978 nel 2009. Gran parte dell’aumento è attribuibile ad Asia e Africa, con ritmi di crescita del 2,39% e del 2,20%, rispettivamente. L’Europa e l’America hanno registrato una contrazione, rispettivamente, dell’1,64% e 0,17% nello stesso periodo.
Ma a parte i numeri – ricordiamo che per i dati statistici completi sia a livello mondiale, sia particolareggiati Paese per Paese, occorre attendere l’uscita, di solito in aprile, dell’Annuario statistico della Chiesa, redatto in latino, inglese e francese –, l’Annuario Pontificio è atteso e seguito per i nomi delle persone che di anno in anno appaiono o scompaiono (non solo a causa di morte) dalle sue pagine. Quest’anno qualche nome è stato depennato.
Dalla lettura del volume si rileva in particolare che nel 2010 sono state erette dal Papa 10 nuove sedi vescovili, 1 esarcato apostolico e 1 vicariato apostolico; sono state elevate: 1 diocesi a sede metropolitana, 2 prelature a diocesi, 2 prefetture e 1 amministrazione apostolica a vicariati apostolici. In totale, nel mondo, le circoscrizioni ecclesiastiche sono ora 2.956.
A livello planetario i fedeli battezzati sono passati da 1.166 milioni nel 2008 a 1.181 nel 2009 con un aumento percentuale pari all’1,3%. Il numero dei vescovi è salito da 5.002 a 5.065. I sacerdoti, in totale, sono aumentati negli ultimi dieci anni passando da 405.178 nel 2000 a 410.593 nel 2009, con un incremento percentuale dell’1,34% a livello mondiale. In particolare, nel 2009, i sacerdoti sono cresciuti dello 0,34% rispetto al 2008, grazie all’incremento del clero diocesano che ha compensato la riduzione del clero religioso, ovunque diminuito, tranne in Asia e in Africa .
I diaconi permanenti aumentano di oltre il 2,5%, passando da 37.203 del 2008 a 38.155 del 2009, con incrementi elevati in Asia (16%) e in Oceania (19%). In flessione le religiose professe. Nel 2008 erano 739.068, ora sono 729.371. La crisi quindi rimane, nonostante l’Africa e l’Asia, dove invece sono in aumento.
Il numero dei candidati al sacerdozio è cresciuto dello 0,82%, passando da 117.024 unità nel 2008, a 117.978 nel 2009. Gran parte dell’aumento è attribuibile ad Asia e Africa, con ritmi di crescita del 2,39% e del 2,20%, rispettivamente. L’Europa e l’America hanno registrato una contrazione, rispettivamente, dell’1,64% e 0,17% nello stesso periodo.
Ma a parte i numeri – ricordiamo che per i dati statistici completi sia a livello mondiale, sia particolareggiati Paese per Paese, occorre attendere l’uscita, di solito in aprile, dell’Annuario statistico della Chiesa, redatto in latino, inglese e francese –, l’Annuario Pontificio è atteso e seguito per i nomi delle persone che di anno in anno appaiono o scompaiono (non solo a causa di morte) dalle sue pagine. Quest’anno qualche nome è stato depennato.
«Berlusconi danneggia l'Italia» I nuovi file di Wikileaks
"Berlusconi danneggia l'Italia ma ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell'Aquila". È uno dei passaggi contenuti negli oltre 4mila cables riservati dell'ambasciata americana a Roma e diffusi da Wikileaks che a partire da oggi La Repubblica e L'Espresso pubblicano. Nei dispacci destinati a Washington e redatti nel febbraio 2009 dall'allora ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, si legge di un Paese "in declino" e di un premier che "con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole" ha offeso nel corso del suo mandato "quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo"; un presidente del Consiglio la cui "volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell'Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti".
Il lento ma costante declino economico dell'Italia - si legge ancora nei documenti riservati dell'ambasciata Usa- compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale. La sua leadership spesso manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno Paese europeo. La riluttanza o l'incapacità dei leader italiani a contrastare molti dei problemi che affliggono la società, come un sistema economico non competitivo, l'obsolescenza delle
infrastrutture, il debito pubblico crescente, la corruzione endemica, hanno dato tra i partner l'impressione di una governance inefficiente e irresponsabile. Il primo ministro Silvio Berlusconi è il simbolo di questa immagine".
Il lento ma costante declino economico dell'Italia - si legge ancora nei documenti riservati dell'ambasciata Usa- compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale. La sua leadership spesso manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno Paese europeo. La riluttanza o l'incapacità dei leader italiani a contrastare molti dei problemi che affliggono la società, come un sistema economico non competitivo, l'obsolescenza delle
infrastrutture, il debito pubblico crescente, la corruzione endemica, hanno dato tra i partner l'impressione di una governance inefficiente e irresponsabile. Il primo ministro Silvio Berlusconi è il simbolo di questa immagine".
venerdì 18 febbraio 2011
E' bellissimo innamorarsi ancora dell'Italia.
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 18 feb - ''L'irresistibile forza della Bellezza'': e' questo il titolo dell'articolo che l'Osservatore Romano dedica alla performance di Roberto Benigni ieri sera al festival di Sanremo, dedicata all'inno di Mameli.
''A Sanremo - scrive il giornale vaticano - Benigni ha proposto una storia dell'Italia liofilizzata e scandita a partire dai versi dell'Inno nazionale, che sicuramente non sono di un livello paragonabile ai versi dei poeti sommi, ma sono belli in quanto veri, ispirati a un ventenne visionario da un ideale perseguito sinceramente fino alle estreme conseguenze''.
''Benigni - prosegue l'articolo - ha dimostrato che esiste ancora un popolo italiano capace di emozionarsi se i valori comuni sono presentati in maniera convincente'' e ''ha usato la retorica e anche le armi ironiche di cui dispone per accattivarsi la simpatia del pubblico, utilizzando poi la credibilita' acquisita per commuovere in senso etimologico, cioe' per muovere insieme verso qualcosa che unisce''.
''L'eccesso benignano di retorica e' ormai un cliche', ma in questo caso quasi necessario, e' difficile infatti immaginare un'altra strada quando si deve riassumere il Risorgimento in mezz'ora di fronte a milioni di telespettatori'', prosegue l'Osservatore; tanto piu' che ''se retorico puo' essere considerato il metodo, sicuramente autentica e' l'adesione emotiva al valore dell'unita' del Paese suscitata''. ''Mai come in quest'occasione - conclude il quotidiano pontificio - tantissimi si sono ritrovati a tifare per Cavour, per Garibaldi, per Pellico, o a parteggiare per quel palermitano che innesco' la rivolta dei Vespri siciliani uccidendo un soldato angioino che aveva offeso la moglie: in poche parole per la Bellezza della liberta' ''.
martedì 15 febbraio 2011
CASO RUBY: LE DECISIONI DEL GIP
A giudicare Berlusconi saranno tre giudici donne. Una “nemesi” secondo il settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Che sul suo sito lancia un sondaggio, in cui più della metà dei lettori chiede le dimissioni del premier. Mentre il presidente della Cei Angelo Bagnasco parla “necessità di trasparenza a tutti i livelli”.
“Allora, la sentenza in mano a tre signore. Viene subito in mente la nemesi. Tu, Berlusconi, delle donne ti sei servito, e in malo modo; le stesse donne faranno giustizia”. E’ questo il commento alla notizia del rito immediato per Berlusconi, che Famiglia Cristiana affida a un editoriale on line. “Con l’aria che tira – si legge nel testo – la notizia non è il rinvio a giudizio immediato. E’ la composizione del collegio giudicante: tre donne. Che Berlusconi dovesse andare a processo era sontato”.
“Che poi – continua l’articolo firmato da Giorgio Vecchiato – la composizione del collegio giudicante sia un caso, o risponda a una intenzione punitiva, i Tg di oggi e la stampa di domani daranno fiato alle trombe della polemica. Se però dobbiamo esprimere un parere, ha torto chi pensa a un esito già scritto. Per questo, basta vedere come si sono espresse le stesse donne, illustri o ignote, competenti o solo volonterose, in articoli e interviste su tutti i giornali italiani”.
E sulle ultime vicende che coinvolgono il premier è intervenuto anche il presidente della Cei Bagnasco. Che, senza fare esplicito riferimento al rinvio a giudizio deciso dal gip di milano, ha detto: “La trasparenza è un bene da perseguire sempre a tutti i livelli per il bene del Paese. La trasparenza è un valore che tutti desiderano e che fa parte di una cultura dignitosa”.
Sulla homepage del sito Internet del settimanale cattolico è stato poi lanciato un sondaggio: “Berlusconi a processo: dovrebbe dimettersi?”. La risposta, per la maggioranza è sì. Quando hanno votato 4.160 lettori il 97,8% si è espresso perché il presidente del Consiglio lasci l’incarico. Poi la percentuale scende al 51% quando a votare sono stati in 11.848.
domenica 13 febbraio 2011
Tettamanzi : La politica e' lontana dalle persone
11:08 13 FEB 2011
(AGI) Roma - "La politica e' lontana dalle persone e "chi governa dia un esempio di sobrieta'". Cosi' l'arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, in un'intervista al Corriere della Sera, commenta l'attuale situazione politica del paese. "Da tempo - dice il cardinale - la politica italiana appare piu' concentrata a far parlare di se' che non a occuparsi delle difficolta' che le persone concrete incontrano.
Gli amministratori e i politici in genere, non devono perdere il legame vitale con la gente, con il Paese. Solo cosi', se la gente si sentira' realmente ascoltata e rappresentata, il senso di sfiducia sempre piu' marcato si trasformera' nell'affidamento responsabile dei cittadini alle istituzioni e agli uomini che le animano, le rappresentano, le governano. Sta ai politici rispondere adeguatamente a questa fiducia con un'azione che abbia di mira la ricerca e la costruzione del bene comune". "Il dovere dell'esemplarita' - prosegue Tettamanzi - non riguarda solo i politici, bensi' tutte le persone che hanno incarichi pubblici" .
venerdì 11 febbraio 2011
Egitto, Mubarak si è dimesso: poteri passano in mano ai militari ElBaradei: non mi candiderò
ultimo aggiornamento: 11 febbraio, ore 17:47
Il Cairo - (Adnkronos/Aki) - Lo ha annunciato il vicepresidente Suleiman in tv. Vera e propria esplosione di gioia in piazza Tahrir. Il presidente egiziano ha lasciato Il Cairo per Sharm el-Sheik da dove potrebbe espatriare all'estero. Il premio Nobel e leader dell'opposizione: "Il più bel giorno della mia vita. Un manifestante ucciso nel Sinai.
mercoledì 9 febbraio 2011
SCIENTOLOGY : NUOVO SCANDALO
Sfruttamento della manodopera, schiavismo, campi di concentramento: sono le accuse al centro del nuovo scandalo che colpisce Scientology. E coinvolge il suo "fedele" più famoso: Tom Cruise. A muoversi è stata l´Fbi, dopo le rivelazioni sui lavoratori costretti a fatiche massacranti per delle paghe da Terzo mondo. Alcuni erano proprio al servizio della star hollywoodiana. Scientology avrebbe "prestato" a Cruise squadre di operai che per anni gli hanno ristrutturato la casa, riparato motoscafi e motociclette. Salario medio: 50 dollari a settimana. Quei manovali hanno sopportato il sacrificio in nome della "causa": Scientology esige dai propri seguaci obbedienza cieca.
È anche per questo che diversi paesi le hanno negato lo statuto di Chiesa, e la Germania ha tentato di metterla fuorilegge. Ma gli Stati Uniti no: difesa da molti potenti che ne sono seguaci (tra gli attori anche John Travolta), la setta ha ottenuto nel 1993 dal fisco americano tutte le esenzioni fiscali concesse alle chiese tradizionali.
I numerosi scandali non sono riusciti a danneggiarla penalmente, anche se sul numero degli aderenti le stime divergono: 3,5 milioni solo in America secondo i vertici di Scientology, appena 25.000 secondo una ricerca indipendente. Qualunque sia la cifra giusta, a quanto pare ci sono i fedeli-Vip e i sotto-uomini. Il capo dell´organizzazione, David Miscavige, non si è limitato a mandare per anni gli schiavi a casa del suo amico Cruise. Lui stesso fa una vita da nababbo, con jet privati, una collezione di auto di lusso, due chef a disposizione.
A gettare questo nuovo fascio di luce sulla misteriosa setta sono le rivelazioni di un "pentito". Anche lui è un nome noto a Hollywood: Paul Haggis, regista del film «Crash» e sceneggiatore di «Million Dollar Baby». Dopo 34 anni di obbedienza a Scientology, Haggis svuota il sacco in una intervista-confessione al settimanale New Yorker.
Oltre al traffico di schiavi, rivela l´esistenza di "campi di rieducazione" dove vengono confinati i fedeli «che non assolvono alle loro responsabilità ecclesiali». Chiamati Rehabilitation Project Force, i campi vengono descritti anche da un altro transfuga, Bruce Hines. Per sei anni, Hines racconta di essere stato in una di queste «proprietà altamente sorvegliate, dove qualsiasi tentativo di fuga veniva punito con trattamenti ancora più duri».
Nel 2000, «il numero di detenuti toccò una punta di 120». Il New Yorker fa luce anche sul fondatore di Scientology, Ron Hubbard. Nel costruire la propria leggenda, Hubbard sostenne di essere stato un eroe della II guerra mondiale, ferito fino alla cecità e invalido totale, poi guarito attraverso le cure miracolose della sua fede (Dianetics, ribattezzata Scientology nel 1953). Gli archivi dell´esercito consultati dal New Yorker smentiscono tutto: eroismo e ferite.
L´autore del reportage Lawrence Wright, insieme col direttore del New Yorker David Remnick, hanno avuto otto ore di confronto con il portavoce di Scientology Tommy Davis e la sua squadra di legali. Al termine, il New Yorker ha deciso di pubblicare tutta la storia, mentre Scientology ha smentito le accuse con un duro comunicato: «Il New Yorker ha deciso di introdurre i suoi lettori alla nostra chiesa attraverso gli occhi di un apostata, del tutto inaffidabile. L´articolo è un rigurgito di vecchie accuse che si sono già dimostrate false».Come in passato, anche stavolta sarà difficile andare fino in fondo: lo stesso Haggis nella sua confessione racconta come Scientology faccia «il vuoto attorno a chi lascia». John Travolta, rivela Haggis, ha reagito «orripilato» alle sue accuse.
Recuperare una dimensione di maggiore sacralità
Sarà pubblicato nelle prossime settimane un documento di Benedetto XVI che riorganizza le competenze della Congregazione del culto divino affidandole il compito di promuovere una liturgia più fedele alle intenzioni originarie del Concilio Vaticano II, con meno spazi per i cambiamenti arbitrari e per il recupero di una dimensione di maggiore sacralità.
Il documento, che avrà la forma di un motu proprio, è frutto di una lunga gestazione – lo hanno rivisto dal Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi e gli uffici della Segreteria di Stato – ed è motivato principalmente dal trasferimento della competenza sulle cause matrimoniali alla Rota Romana. Si tratta delle cause cosiddette del «rato ma non consumato», cioè riguardanti il matrimonio avvenuto in chiesa ma non compiutosi per la mancata unione carnale dei due sposi. Sono circa cinquecento casi all’anno, e interessano soprattutto alcuni Paesi asiatici dove ancora esistono i matrimoni combinati con ragazzine in età molto giovane, ma anche i Paesi occidentali per quei casi di impotenza psicologica a compiere l’atto coniugale.
Perdendo questa sezione, che passerà alla Rota, la Congregazione del culto divino di fatto non si occuperà più dei sacramenti e manterrà soltanto la competenza in materia liturgica. Secondo alcune autorevoli indiscrezioni un passaggio del motu proprio di Benedetto XVI potrebbe citare esplicitamente quel «nuovo movimento liturgico» del quale ha parlato in tempi recenti il cardinale Antonio Cañizares Llovera, intervenendo durante il concistoro dello scorso novembre.
Al Giornale, in un’intervista pubblicata alla vigilia dell’ultimo Natale, Cañizares aveva detto: «La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione… Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora». Il cardinale, che non si era sbilanciato nel parlare di «riforma della riforma», aveva aggiunto: «Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa», per porre fine a «deformazioni arbitrarie» e al processo di «secolarizzazione che purtroppo colpisce pure all’interno della Chiesa».
È noto come Ratzinger abbia voluto introdurre nelle liturgie papali gesti significativi ed esemplari: la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio. Si sa quanto tenga alla bellezza nell’arte sacra e quando consideri importante promuovere l’adorazione eucaristica. La Congregazione del culto divino – che qualcuno vorrebbe anche ribattezzare della sacra liturgia o della divina liturgia – si dovrà quindi occupare di questo nuovo movimento liturgico, anche con l’inaugurazione di una nuova sezione del dicastero dedicata all’arte e alla musica sacra.
lunedì 7 febbraio 2011
CONFESSARSI CON Iphone
Quali sono i tuoi peccati, qual è la tua età, il sesso? Vuoi chiedere perdono a nostro Signore?
Le confessioni sbarcano su Iphone e Ipad grazie ad una applicazione che sta spopolando su iTunes e che permette di confessarsi ad un prete 'digitale'. Si chiama 'Confession: a Roman Catholic App'.
L'applicazione è stata creata dalla LittleiApps, una azienda americana che si è definita di ispirazione cattolica-romana. Nel software si può scegliere tra sette diverse preghiere di pentimento ed è stato 'approvato' dalla chiesa americana ossia dal vescovo Kevin C. Rhodes della diocesi di Fort Wayne.
L'applicazione non è gratuita, costa 1,99 dollari, ha sollevato diverse critiche proprio dopo le recenti dichiarazioni di papa Benedetto XVI e la sua apertura ai social media.
domenica 6 febbraio 2011
Egitto : Google e Twitter aggirano le restrizioni del regime di Mubarak
Ancora una volta, più che i media tradizionali ha potuto internet. Nella rivolta egiziana, dove due milioni di persone sono scese in piazza a chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, la tecnologia si allea con altra tecnologia per aiutare un popolo rimasto senza voce. In un’alleanza che ha dell’incredibile, due colossi come Google e Twitter hanno escogitato un modo per aggirare la censura e far tornare gli egiziani a parlare.
Il blocco di Internet in tutta la nazione voluto dal governo di Mubarak aveva lasciato non solo il mondo basito di fronte a un evento mai accaduto prima, ma soprattutto i cittadini egiziani incapaci di comunicare con il mondo esterno e di denunciare ciò che stava accadendo. Ma ancora una volta le autorità avevano sottovalutato la potenza della rete. Dall’altra parte del mondo, laggiù in California, un gruppo di composto da ingegneri di Twitter, di Google e di SayNow, la piattaforma acquistata proprio la scorsa settimana dal motore di ricerca ha creato un servizio che permette agli utenti egiziani di mandare i loro tweet via telefono. “Come molte persone siamo incollati alle notizie che arrivano dall’Egitto e pensiamo che questo è ciò che possiamo fare per aiutare la gente sul posto”, hanno dichiarato gli ingegneri.
Tre numeri attivi da ieri: +16504194196, +390662207294, +97316199855, gli utenti chiamano per lasciare un messaggio vocale che viene immediatamente convertito in un file audio (lo salva in Wav e lo converte in Flash) e reso disponibile sulla piattaforma di SayNow. Basta un attimo e i loro messaggi tornano a invadere la rete.
I loro tweet vocali sono tutti disponibili in Internet: “Siamo i ragazzi egiziani del 25 gennaio”, “Siamo orgogliosi di essere egiziani”, “Per favore diffondete questo messaggio più possibile”, ” Vogliamo connettere le persone ovunque loro siano”.
In Egitto come in Tunisia, la protesta era montata sui social network, una protesta che seppur virtuale ha fatto talmente paura da costringere le autorità a prendere una decisione mai presa prima. Talmente tanta paura che oscurare Internet è stato più importante che salvare l’economia. E già, perché non è solo la protesta che corre su Internet, ma l’amministrazione pubblica, il turismo, le compagnie aeree, gli atenei, le scuole. Tutto ormai si appoggia alla rete. Non a caso la borsa egiziana giovedì ha riaperto con 8 punti in meno.
Così il governo egiziano incassa una doppia sconfitta. La protesta è aumentata e due milioni di persone sono scese in piazza per chiedere le dimissioni di un presidente che vuole censurare il dissenso e anche la rete si è fatta più furba. Non fosse altro perché i primi calcoli mostrano che con questo scherzetto della censura Google ha perso in Egitto circa mezzo milione di dollari al giorno in pubblicità.
Ma questa è un’altra storia. Quello che si evince ora e che mettere a tacere il dissenso non è mai stato così difficile. Ma non è tutto, ora si può dire che non solo i social network danno voce alla rivolta ma in qualche modo la prevedono e la preannunciano.
Stuprava donne e bimbe: arrestato
Roma, truffatore a capo di una setta
Abusava sessualmente di bimbe di 10-12 anni e le loro madri e otteneva denaro con l'inganno. Per questo Danilo Speranza, 62 anni, romano, "guru" indiscusso della setta Re Maya, con mille adepti, è stato arrestato dagli agenti della polizia municipale di Roma dell'VIII Gruppo diretto dal comandante Antonio Di Maggio. Deve rispondere di violenza sessuale e truffa aggravata.Dalle indagini è emerso anche il tentativo di Speranza di accreditarsi tra associazioni islamiche di musulmani con sedi prima Napoli poi a Roma. L'uomo convinceva anche le madri ad affidare ad altre famiglie i propri figli e si faceva intestare contratti di negozi grazie alla copertura della comunità new age Re Maya da lui fondata negli anni '80 per disintossicazione da droga, corsi di yoga e filosofia. La sede principale è a San Lorenzo, a Roma. Danilo Speranza, 62 anni, e' stato arrestato in zona Montesacro in uno dei luoghi di sua frequentazione: è accusato di violenza sessuale anche su minori, truffa aggravata e false dichiarazioni all'autorità giudiziaria ma rischia anche l'accusa di riduzione in schiavitù.
L'ordine di arresto è partito del Procuratore capo di Tivoli Luigi De Ficchy, che con i due pm Maria Teresa Pena e Stefania Stefania ha accolto la richiesta del gip Cecilia Angrisano.
La storia di Danilo Speranza raccolta sul web
Danilo Speranza sale agli onori della cronaca nel 2003 quando, approfittando delle dimissioni del gruppo direttivo, prende il controllo dell'associazione musulmani d'Italia.di cui è presidente fino al 10 agosto 2009. Speranza si definiva "guru" di una associazione New Age denominata "Re Maya", nonché sedicente "psicologo", "politico" e "grande amico del popolo somalo".
Ha pubblicato un "saggio sull'Islam" che però, secondo gli esperti, dimostrava soltanto la sua scarsissima preparazione in materia. Riesce però a farsi nominare "presidente" dell'Associazione nel corso di una riunione svoltasi in violazione delle norme statutarie. All'insaputa di alcuni membri del Consiglio e del Segretario Generale, tenta poi di rimpiazzare la linea tradizionale dell'Associazione a favore della democrazia, dell'America e d'Israele, con una nuova linea a sostegno del regime clericale dell'Iran.
Speranza: "Sto male"
"Sto male devo prendere dei farmaci". Sono le parole di Speranza dette durante l'arresto. Nel corso delle perquisizioni sono state sequestrate anche un centinaio di moto d'epoca.
giovedì 3 febbraio 2011
FAMIGLIA CRISTIANA: BERLUSCONI E' UN MALATO SENZA CONTROLLO
E’ “incredibile” che il premier Silvio Berlusconi “non disponga del necessario autocontrollo”, secondo ‘Famiglia cristiana’ che, in un editoriale sul proprio sito internet, evoca, rievocando l’ex moglie Veronica Lario, “uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perchè consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro”.
UN UOMO MALATO – Le rivelazioni del caso Ruby, scrive Giorgio Vecchiato sul settimanale dei paolini, creano un problema “politico”, innanzitutto: “La credibilità, meglio ancora la dignità, dell`uomo che governa il Paese; i riflessi sulla vita nazionale e sui rapporti con l`estero; l`esempio che dall`alto viene trasmesso ai normali cittadini. I quali non si sognano né trasgressioni né festini, ma da oggi dovranno abituarsi alle variazioni pecorecce sul ‘bunga bunga’”. E poi arriva la mazzata:
L’altro problema, da valutare come se Berlusconi fosse un tizio qualunque, è la condizione che già la moglie, Veronica Lario, aveva pubblicamente segnalato. Uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perchè consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro. Si sa che Berlusconi è un generoso, non lesina su aiuti e ricompense. Ma quale tipo di aiuti, e ricompense per che cosa? Incredibile che un uomo di simile livello e responsabilità non disponga del necessario autocrontrollo. E che il suo entourage stia a guardare.
I "BUONI FRUTTI" DEI LEGIONARI
I Legionari di Cristo, la congregazione religiosa fondata da padre Marcial Maciel Degollado commissariata da papa Benedetto XVI dopo l’emergere degli abusi e degli scandali sessuali del suo fondatore, hanno creato una “Commissione per l’avvicinamento” nei confronti delle vittime di Maciel che hanno chiesto risarcimenti e compensazioni alla Legione. L’iniziativa era stata già in qualche modo annunciata nella lettera del Delegato pontificio per la congregazione, il cardinale Velasio De Paolis, lo scorso ottobre. La commissione ascolterà le persone ed elaborerà una relazione dettagliata da sottoporre al Delegato”, al quale spetterà decidere che cosa la Legione debba fare in ciascun caso. La commissione vuole garantire “obbiettività e imparzialita” alle vittime.
Ma a fare notizia in queste ore, più ancora dell’annuncio dell’istituzione della commissione, sono le parole di Lucrezia Rego de Planas, che su Catholic.net , uno dei più importanti portali web cattolici in lingua spagnola, da lei diretto, scrive un commento dedicato a Maciel mettendo in dubbio la fondatezza delle accuse verso di lui. Rego de Planas, che è membro del “Regnum Christi”, sostiene che qualcosa non torna nella vicenda degli abusi, perché lo stesso Benedetto XVI, nel libro-intervista Luce del mondo (con il bravo giornalista Peter Seewald), afferma di considerare “enigmatica” la figura del fondatore dei Legionari.
La direttrice di Catholic.net ricorda come Ratzinger, venuto a conoscenza “nell’anno 2000″ della gravissime accuse contro Maciel, abbia sempre riconosciuto la bontà del carisma della congregazione e il bene che ha fatto. Dunque, si chiede Lucrezia Rego de Planas, come si può conciliare tutto questo con la frase di Gesù che invita a riconoscere la bontà dell’albero dai suoi frutti?
“Il nostro amatissimo e molto ammirato Benedetto XVI – scrive – intelligente e saggio come poche persone al mondo, si trova di fronte a due pezzi di un rompicapo che non riesce a far combaciare. Un albero corrotto che dà buoni frutti? Questo contraddice ciò che la sua ragione gli detta e contraddice gli insegnamento di Gesù”
Il Papa, continua la direttrice di Catholic.net, “si trova di fronte a un enigma che non ha potuto risolvere e noi siamo con lui portando questo terribile interrogativo che mette in discussione ciò che c’è di più intimo nella nostra fede, dato che ci sono solo due possibilità: o Gesù Cristo è stato un bugiardo, oppure, per forza ci deve essere qualcosa che non si è ancora scoperto in quelle ‘testimonianze inoppugnabili’ che hanno mostrato al Papa”.
Vale la pena di ricordare che in precedenti interviste la direttrice aveva molto ridimensionato lo scandalo, finendo per comprendere l’atteggiamento di Maciel (riguardo alla figlia, sarebbe stato “sedotto” dalla donna che poi ha messo incinta) come pure per giustificare le coperture di cui il fondatore godette.
Siamo davvero sicuri che ci siano “solo due possibilità”? E cioè che o Gesù ha sbagliato, oppure se i frutti sono buoni anche Maciel doveva essere buono? Bisogna riconoscere che il problema esiste, anche se la direttrice non lo pone bene, perché non tiene conto del fatto che la gravissima immoralità di Maciel non è in dubbio, è un fatto conclamato e comprovato. Il fatto che il frutto fosse bacato non è, dunque, in discussione, checché se ne possa dire.
Come si concilia allora questo con i “buoni frutti”? Ecco il problema. Ovvio che i gravi peccati del fondatore non ricadono sui Legionari, ma non è peregrino chiedersi come si possano considerare buoni i frutti e bacato l’albero. Quello che è certo, ripeto, è che non si può mettere in dubbio il marciume dell’albero, come invece fa Lucrezia Rego de Planas. E allora? Allora il problema è interrogarsi su quale sia il carisma specifico della Legione in rapporto con il suo fondatore. Su quali siano i “buoni frutti” e se questi presentino una specificità particolare che distingue la Legione. Ma a questo non si risponde con qualche battuta in un blog e di certo non è in grado di abbozzare risposte il sottoscritto.
Ciò che va ricordata è la decisione di risolvere il problema da parte del cardinale Ratzinger prima, e di Benedetto XVI poi, nonostante la generale e diffusa incredulità sulle immoralità di un fondatore che i suoi consideravano santo.
Dichiarazione del 2 febbraio 2011 di S.E. Pietro Takeo Okada, arcivescovo di Tokio
Arcivescovo di Tokyo: i neocatecumenali dovrebbero fermare per un certo tempo la loro missione
Mons. Peter Takeo Okada suggerisce un periodo di riflessione per aprire un nuovo dialogo con i vescovi giapponesi. Meno di un mese fa il papa ha cancellato il divieto di 5 anni messo sulle attività del Cammino in Giappone, voluto dalla Conferenza episcopale. Fra i suggerimenti del vescovo di Tokyo: pensare ai 30 mila suicidi all’anno dei giapponesi; attenzione ai bisogni della popolazione; aprirsi alla cura dei malati e dei disabili.
Tokyo (AsiaNews) – Il Cammino neocatecumenale dovrebbe sospendere “per un certo periodo” le loro attività in Giappone al fine di riflettere e preparare il terreno per un nuovo dialogo con la Chiesa giapponese.
È il consiglio autorevole che mons. Peter Takeo Okada, arcivescovo di Tokyo, dà in un suo messaggio pubblicato ieri, ricordando che per 20 anni i vescovi si sono esauriti nell’affrontare problemi derivanti dalla presenza del Cammino nel Paese del sol levante. Il prelato sottolinea che i problemi creati dalla presenza dei neocatecumenali in Giappone lo rattristano “nel vedere la divisione, il conflitto, il caos che produce il Cammino nel suo muoversi fra di noi”.
Le affermazioni di mons. Okada giungono a meno di un mese da un incontro in Vaticano fra alcuni vescovi giapponesi, rappresentanti del Cammino, membri della Curia romana e il papa stesso (11/01/2011 Papa: no alla sospensione per 5 anni del Cammino neocatecumenale in Giappone . )
Davanti al pontefice, la Segreteria di Stato si è opposta alla decisione della Conferenza episcopale giapponese di proibire per cinque anni le attività dei neocatecumenali. Nell’incontro erano stati suggeriti alcuni passi per un maggiore dialogo fra i membri del Cammino e i vescovi, lasciando ai pastori di ogni diocesi la decisione di come integrarli nella missione della Chiesa.
Mons. Okada sottolinea che quanto egli afferma non pretende essere una decisione per tutta la Conferenza episcopale, ma solo per la sua diocesi, sebbene riconosca che per Tokyo non vi sono grossi problemi di rapporto, a differenza di altre diocesi giapponesi.
Nel suo messaggio, l’arcivescovo chiede che i membri del Cammino riflettano per far emergere un’evangelizzazione “più tagliata sui bisogni della popolazione del Giappone”. Diversi prelati accusano il Cammino di operare nei Paesi di missione senza un’approfondita inculturazione. Da parte loro, i membri neocatecumenali valutano spesso i pastori della Chiesa giapponese di voler praticare più il dialogo che l’annuncio.
Mons. Okada suggerisce ai membri del Cammino di ripensare al loro stile di missione ricordando alcune piaghe del Paese, come i 30 mila suicidi all’anno. E propone ai neocatecumenali di focalizzarsi soprattutto sulla cura dei malati e dei disabili, anche se essi si sono finora distinti per il loro impegno nella catechesi e nella nuova evangelizzazione.
martedì 1 febbraio 2011
TUTTA LA VERITA' SU: WIKILEAKS.... DOCUMENTARIO
Julian Assange: fondatore di Wikileaks
Sotto l'interessantissimo documentario della TV svedese, (con sottotitoli in italiano) che svela come è nato Wikileaks e quali sono gli ideali che lo muovono.
Chi e' Julian Assange :
Conduce "una vita da James Bond della contro-informazione", come la definisce lui stesso. Viaggia sotto falso nome, evita gli alberghi, si tinge i capelli, cambia continuamente telefonino (criptato) e impone ai suoi collaboratori di fare lo stesso. Paga solo in contanti (le carte di credito lasciano tracce) e anche quelli deve farseli prestare per non usare il Bancomat. Eppure l'inizio di questa storia è ben diverso, il che infittisce il mistero di WikiLeaks. Catalogata al suo battesimo nel 2006 come un "organo d'informazione internazionale non-profit", si autodefinisce così: "Un sistema a prova di censura, per generare fughe massicce di documenti riservati senza tradirne l'origine". Tra le regole statutarie: "Accetta solo materiali segreti", e i documenti devono avere "rilevanza politica, diplomatica, storica, etica". Un anno dopo il suo lancio, sul sito WikiLeaks c'erano già 1,2 milioni di documenti. Assange non figura subito come il capo. Alle origini l'organizzazione si descriveva come un collettivo, animato da noti dissidenti cinesi come Xiao Qiang, Wang Youcai e Wang Dan; giornalisti in lotta contro le dittature; matematici ed esperti informatici che cooperavano da Stati Uniti, Europa, Australia, Taiwan, Sudafrica. La componente cinese nel nucleo fondatore è importante: quei dissidenti si sono allenati a "bucare" un muro impenetrabile, la Grande Muraglia di Fuoco, la censura informatica della Repubblica Popolare. La loro presenza è anche all'origine di velenosi sospetti - probabilmente infondati - sull'infiltrazione dei servizi segreti di Pechino in WikiLeaks.
Nei primi anni la battaglia è rivolta soprattutto contro i regimi autoritari, i genocidi, la repressione del dissenso. Nel 2008 WikiLeaks si guadagna un riconoscimento da Amnesty per le rivelazioni sulle esecuzioni sommarie della polizia in Kenya. The Economist assegna al sito il premio New Media Award. Tutto cambia di colpo nell'aprile di quest'anno, quando su WikiLeaks appare il video di una strage di civili iracheni da parte dei soldati americani. Poi a luglio esce la prima infornata di 76.900 documenti segreti sulla guerra in Afghanistan. Seguita da 400.000 comunicazioni confidenziali sul conflitto in Iraq. Per arrivare al grande botto che domenica scorsa ha sparpagliato alla luce del sole 250.000 dispacci diretti al Dipartimento di Stato dalle ambasciate Usa. L'America di Barack Obama diventa il bersaglio numero uno. In coincidenza con questa svolta, aumenta a dismisura la visibilità di WikiLeaks.
Emerge come leader l'australiano Assange, con un passato di pirata informatico. La novità sconvolge alcuni sostenitori del "primo" WikiLeaks. L'agenzia stampa Associated Press, il Los Angeles Times, la federazione degli editori di giornali Usa, che avevano finanziato il sito, ci ripensano. Amnesty International e Reporters senza frontiere criticano Assange con lo stesso argomento della Clinton, "per avere messo in pericolo vite umane" (divulgando nomi di informatori afgani della Cia, ora esposti alla vendetta dei Taliban). Alla ritirata dei grandi sostenitori Assange reagisce appoggiandosi su una miriade di simpatizzanti, i micro-pagamenti affluiscono dal mondo intero usando il sistema Paypal. Più inquietanti sono le defezioni tra gli amici e i collaboratori più stretti. Un vero e proprio "scisma", accelerato dopo le accuse di molestie sessuali da parte di due donne svedesi contro Assange (lui nega, sostiene che i rapporti furono consensuali). Almeno una dozzina di volontari del nucleo originario di WikiLeaks sono partiti. Alcuni parlano. Come il 25enne islandese Herbert Snorrason che di Assange dice: "Ormai è fuori di testa". Birgitta Jonsdottir, una parlamentare islandese che era stata anche lei tra gli attivisti fondatori, accusa Assange di aver deciso tutto da solo sui segreti militari americani in Afghanistan. Altri, dietro l'anonimato, lo accusano di essere diventato "megalomane, dittatoriale".
Non lo abbandonano però i fedelissimi: 40 volontari, 800 aiutanti esterni. Un miracolo economico, per un'organizzazione che sopravvive con un budget di soli 200.000 euro all'anno. Senza una sede fisica. Spostandosi virtualmente in quelle "piazze giuridiche off-shore" dalle leggi più tolleranti per la libertà di espressione. Un prodigio tecnologico, soprattutto: "Com'è possibile - hanno chiesto le autorità inglesi in questo weekend di attese isteriche - che il Pentagono con tutta la sua potenza nella guerra elettronica non riesca a oscurare per sempre WikiLeaks?". La risposta è tutta nel genio di Assange. In fuga perpetua dall'Australia alla Svezia, da Berlino a Londra, forse in procinto di chiedere asilo alla Svizzera, anche per i "server" di Internet lui usa lo stesso metodo, cambia costantemente i propri snodi di comunicazione. E ha un'arma segreta, quella che lui definisce la sua "polizza vita": molti documenti riservati in suo possesso sono già stati "scaricati" via Twitter in forma criptata sui computer di decine o forse centinaia di simpatizzanti. "Se succede qualcosa a me - minaccia Assange - o al sito principale, scatta automaticamente la divulgazione della password che consentirà di diffondere tutto questo materiale". Bluff o verità? Tutto ciò che riguarda Assange si presta a doppie letture, è circondato da un alone di mistero.
Lo stesso uso politico che ne viene fatto: la destra americana lo denuncia come un terrorista, ma al tempo stesso strumentalizza le fughe di notizie contro l'Amministrazione Obama. I mass media hanno imparato quanto Assange possa essere implacabile: il New York Times è stato messo "in quarantena" per non avere accettato a scatola chiusa i diktat di WikiLeaks, il Wall Street Journal e la Cnn sono stati messi al bando dalle rivelazioni. Braccato da polizie e magistrature, bersagliato dagli hacker, la primula rossa che ha abbattuto ogni regola dei segreti di Stato si fa beffe dell'annuncio che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato rivedranno tutti i sistemi di comunicazione: "Il nuovo volto della censura moderna è impedire le fughe di notizie riservate. Ma per quanto inventino nuove protezioni, sarà sempre possibile escogitare i sistemi per aggirale".
documentario wikileaks parte 1 di 6
documentario wikileaks parte 2 di 6
documentario wikileaks parte 3 di 6
documentario wikileaks parte 4 di 6
documentario wikileaks parte 5 di 6
documentario wikileaks parte 6 di 6
Sotto l'interessantissimo documentario della TV svedese, (con sottotitoli in italiano) che svela come è nato Wikileaks e quali sono gli ideali che lo muovono.
Chi e' Julian Assange :
Conduce "una vita da James Bond della contro-informazione", come la definisce lui stesso. Viaggia sotto falso nome, evita gli alberghi, si tinge i capelli, cambia continuamente telefonino (criptato) e impone ai suoi collaboratori di fare lo stesso. Paga solo in contanti (le carte di credito lasciano tracce) e anche quelli deve farseli prestare per non usare il Bancomat. Eppure l'inizio di questa storia è ben diverso, il che infittisce il mistero di WikiLeaks. Catalogata al suo battesimo nel 2006 come un "organo d'informazione internazionale non-profit", si autodefinisce così: "Un sistema a prova di censura, per generare fughe massicce di documenti riservati senza tradirne l'origine". Tra le regole statutarie: "Accetta solo materiali segreti", e i documenti devono avere "rilevanza politica, diplomatica, storica, etica". Un anno dopo il suo lancio, sul sito WikiLeaks c'erano già 1,2 milioni di documenti. Assange non figura subito come il capo. Alle origini l'organizzazione si descriveva come un collettivo, animato da noti dissidenti cinesi come Xiao Qiang, Wang Youcai e Wang Dan; giornalisti in lotta contro le dittature; matematici ed esperti informatici che cooperavano da Stati Uniti, Europa, Australia, Taiwan, Sudafrica. La componente cinese nel nucleo fondatore è importante: quei dissidenti si sono allenati a "bucare" un muro impenetrabile, la Grande Muraglia di Fuoco, la censura informatica della Repubblica Popolare. La loro presenza è anche all'origine di velenosi sospetti - probabilmente infondati - sull'infiltrazione dei servizi segreti di Pechino in WikiLeaks.
Nei primi anni la battaglia è rivolta soprattutto contro i regimi autoritari, i genocidi, la repressione del dissenso. Nel 2008 WikiLeaks si guadagna un riconoscimento da Amnesty per le rivelazioni sulle esecuzioni sommarie della polizia in Kenya. The Economist assegna al sito il premio New Media Award. Tutto cambia di colpo nell'aprile di quest'anno, quando su WikiLeaks appare il video di una strage di civili iracheni da parte dei soldati americani. Poi a luglio esce la prima infornata di 76.900 documenti segreti sulla guerra in Afghanistan. Seguita da 400.000 comunicazioni confidenziali sul conflitto in Iraq. Per arrivare al grande botto che domenica scorsa ha sparpagliato alla luce del sole 250.000 dispacci diretti al Dipartimento di Stato dalle ambasciate Usa. L'America di Barack Obama diventa il bersaglio numero uno. In coincidenza con questa svolta, aumenta a dismisura la visibilità di WikiLeaks.
Emerge come leader l'australiano Assange, con un passato di pirata informatico. La novità sconvolge alcuni sostenitori del "primo" WikiLeaks. L'agenzia stampa Associated Press, il Los Angeles Times, la federazione degli editori di giornali Usa, che avevano finanziato il sito, ci ripensano. Amnesty International e Reporters senza frontiere criticano Assange con lo stesso argomento della Clinton, "per avere messo in pericolo vite umane" (divulgando nomi di informatori afgani della Cia, ora esposti alla vendetta dei Taliban). Alla ritirata dei grandi sostenitori Assange reagisce appoggiandosi su una miriade di simpatizzanti, i micro-pagamenti affluiscono dal mondo intero usando il sistema Paypal. Più inquietanti sono le defezioni tra gli amici e i collaboratori più stretti. Un vero e proprio "scisma", accelerato dopo le accuse di molestie sessuali da parte di due donne svedesi contro Assange (lui nega, sostiene che i rapporti furono consensuali). Almeno una dozzina di volontari del nucleo originario di WikiLeaks sono partiti. Alcuni parlano. Come il 25enne islandese Herbert Snorrason che di Assange dice: "Ormai è fuori di testa". Birgitta Jonsdottir, una parlamentare islandese che era stata anche lei tra gli attivisti fondatori, accusa Assange di aver deciso tutto da solo sui segreti militari americani in Afghanistan. Altri, dietro l'anonimato, lo accusano di essere diventato "megalomane, dittatoriale".
Non lo abbandonano però i fedelissimi: 40 volontari, 800 aiutanti esterni. Un miracolo economico, per un'organizzazione che sopravvive con un budget di soli 200.000 euro all'anno. Senza una sede fisica. Spostandosi virtualmente in quelle "piazze giuridiche off-shore" dalle leggi più tolleranti per la libertà di espressione. Un prodigio tecnologico, soprattutto: "Com'è possibile - hanno chiesto le autorità inglesi in questo weekend di attese isteriche - che il Pentagono con tutta la sua potenza nella guerra elettronica non riesca a oscurare per sempre WikiLeaks?". La risposta è tutta nel genio di Assange. In fuga perpetua dall'Australia alla Svezia, da Berlino a Londra, forse in procinto di chiedere asilo alla Svizzera, anche per i "server" di Internet lui usa lo stesso metodo, cambia costantemente i propri snodi di comunicazione. E ha un'arma segreta, quella che lui definisce la sua "polizza vita": molti documenti riservati in suo possesso sono già stati "scaricati" via Twitter in forma criptata sui computer di decine o forse centinaia di simpatizzanti. "Se succede qualcosa a me - minaccia Assange - o al sito principale, scatta automaticamente la divulgazione della password che consentirà di diffondere tutto questo materiale". Bluff o verità? Tutto ciò che riguarda Assange si presta a doppie letture, è circondato da un alone di mistero.
Lo stesso uso politico che ne viene fatto: la destra americana lo denuncia come un terrorista, ma al tempo stesso strumentalizza le fughe di notizie contro l'Amministrazione Obama. I mass media hanno imparato quanto Assange possa essere implacabile: il New York Times è stato messo "in quarantena" per non avere accettato a scatola chiusa i diktat di WikiLeaks, il Wall Street Journal e la Cnn sono stati messi al bando dalle rivelazioni. Braccato da polizie e magistrature, bersagliato dagli hacker, la primula rossa che ha abbattuto ogni regola dei segreti di Stato si fa beffe dell'annuncio che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato rivedranno tutti i sistemi di comunicazione: "Il nuovo volto della censura moderna è impedire le fughe di notizie riservate. Ma per quanto inventino nuove protezioni, sarà sempre possibile escogitare i sistemi per aggirale".
documentario wikileaks parte 1 di 6
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CASO RUBY VA CONTESTUALIZZATO? MONS. FISICHELLA SI ADIRA
Rino Fisichella, Arcivescovo e Vescovo già ausiliario di Roma, fu pronto ad assolvere il premier quando questi raccontò una barzelletta in cui vi era una bestemmia. Dichiarò allora il prelato: “E’ necessario contestualizzare in questo caso”. Così oggi, durante la presentazione del libro di Massimo Franco “C’era una volta un Vaticano” a Roma, una giornalista della trasmissione Agorà (Rai3) gli ha chiesto: “Monsignor Fisichella, secondo lei il caso Ruby va contestualizzato?”, il monsignore alla sola parola Ruby è saltato su tutte le furie: “Ma per carità: lei sta facendo una barzelletta di quello che io ho detto, questo non lo consento – e ancora – qui io parlo seriamente e non consento che mi offendiate in questo modo”.
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