AMORE

L'AMORE PIU' GRANDE....

NON PRAEVALEBUNT

..

Canto gregoriano

Canto gregoriano

LA BEATA VERGINE MARIA

LA BEATA VERGINE MARIA

RECITA IL SANTO ROSARIO ON-LINE

SAN MICHELE UCCIDE IL DRAGONE

SAN MICHELE UCCIDE IL DRAGONE
PROTETTORE DEL SITO Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

Antica Bibbia

Antica Bibbia

LA BIBBIA: IL LIBRO DI DIO


"Una lampada  su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terrreno arido e stepposo, una spada che penetra nella carne." 

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino".

"Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra , senza averla fecondata e fatta germogliare, perchè dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me - dice il Signore- senza avere operato ciò che desidero, senza avere compiuto ciò per cui l'avevo inviata".  "La Parola di Dio è viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore". "La Bibbia è l'intreccio fra Dio e la nostra storia; la Pasqua del Cristo nasce dalla crocefissione, la vita sboccia dalla morte. La Bibbia non celebra un Dio lontano ma un Dio incarnato che salva la nostra storia. Cercherò di meditare ogni giorno le parole del mio creatore, cercherò di conoscere il cuore di Dio dalle parole di Dio affinchè io possa ardentemente desiderare i beni eterni  e con maggior desiderio la mia anima si accenda di Amore per Dio e per il fratello".

I TESORI DELLA BIBBIA da meditare...... per es . cercate : AMORE.....

TESTI SEGRETI LIBRI

venerdì 27 gennaio 2012

ANCORA SU CHIESA E CORRUZIONE



Sopra: Mons. Vigano'

In una lettera inedita al cardinal Bertone, monsignor Viganò
 accusa alti prelati e giornalisti. Una vera e propria lista nera:
 Marco Simeon, dirigente Rai "molto vicino al segretario
 di Stato", monsignor Nicolini reo di "comportamenti
 amministrativi riprovevoli". E poi le "calunnie" ordite a
 suo danno, secondo il prelato, dal Giornale di Sallusti
Furti nelle ville pontificie coperti dal direttore dei Musei Vatican
i, monsignor Paolo Nicolini. E poi fatture contraffatte all’Universit
à Lateranense a conoscenza addirittura dell’arcivescovo Rino Fisichella,
 presidente del Pontificio Consiglio per l’evangelizzazione. E ancora: interessi
 del monsignore in una società che fa affari con il Vaticano ed è inadempiente
 per 2,2 milioni di euro. Ammanchi per centinaia di migliaia di euro all’Apsa –
rivelati dal suo stesso presidente – e frodi all’Osservatore, rivelate da don Elio
 Torregiani, ex direttore generale del giornale. C’è tutto questo nella lettera ch
Il Fatto pubblica oggi. I toni e i contenuti sono sconvolgenti per i credenti che
 hanno apprezzato gli appelli del Papa. “Maria ci dia il coraggio di dire no alla
corruzione, ai guadagni disonesti e all’egoismo” aveva detto nel giorno
 dell’Immacolata del 2006 Ratzinger.

EPPURE il Papa non ha esitato a sacrificare l’uomo che aveva preso
 alla lettera quelle parole:Carlo Maria Viganò, l’arcivescovo ingenuo
 ma onesto, approdato alla guida dell’ente che controlla le gare e
 gli appalti del Vaticano. La lettera di Viganò è diretta a “Sua Eminenza
 Reverendissima il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato della
 Città del Vaticano”, praticamente al primo ministro del Vaticano.
 Quando scrive a Bertone è l’8 maggio del 2011, Viganò è ancora il
 segretario generale del Governatorato. Ed è proprio dopo questa lettera
 inedita, e non dopo quella del 27 marzo già mostrata in tv da Gli intoccabili,
che Viganò viene fatto fuori. La7 si è occupata mercoledì scorso della lotta
 di potere che ha portato alla promozione-rimozione di Viganò a Nunzio
 apostolico negli Usa. L’arcivescovo-rinnovatore aveva trovato nel 2009
una perdita di 8 milioni di euro e aveva lasciato al Governatorato nel 2010
 un guadagno di22 milioni (34 milioni secondo altri calcoli). Nonostante ciò è
stato fatto fuori da Bertone grazie all’appoggio del Papa e del Giornale di Berlusconi
. A questa faida vaticana è stata dedicata buona parte della trasmissione
 condotta da Gianluigi Nuzzi che, nonostante lo scoop, si è fermata al 3, 4 %
 di ascolto. In due ore sono sfilati anche il direttore del Giornale Alessandro
Sallusti, un uomo del Vaticano in Rai, Marco Simeon e il vice di Viganò al
 Governatorato, monsignor Corbellini. Sono state poste molte domande sulle
lettere scritte prima e dopo ma non su quella dell’ 8 maggio che è sfuggita
 agli Intoccabili. Peccato perché proprio in questa lettera si trovano storie
 inedite che coinvolgono nella parte di testimoni o vittime di accuse anche
diffamanti, gli ospiti di Nuzzi.
E PECCATO anche perché nella lettera ci sono molte risposte (di Viganò
ovviamente) ai quesiti posti da Nuzzi. Tipo: chi è la fonte del Giornale che
 ha scatenato la polemica tra Viganò e i suoi detrattori? Oppure: perché
Viganò è stato cacciato? Probabilmente dopo la lettera che pubblichiamo
 sotto era impossibile per il Papa mantenere Viganò al suo posto. Il segretario
 del Governatorato non scriveva solo di false fatture e
 ammanchi milionari. Non lanciava solo accuse diffamatorie
 sulle tendenze sessuali dei suoi nemici ma soprattutto metteva
nero su bianco i risultati di una vera e propria inchiesta
di controspionaggio dentro le mura leonine. E non solo
spiattellava i risultati, (tipo: la fonte del Giornale è monsignore
 Nicolini che vuole prendere il mio posto. O peggio: Monsignor
 Nicolini ha contraffatto fatture e defraudato il Vaticano) ma
 sosteneva che le sue fonti erano personaggi di primissimo livello
come don Torregiani, monsignor Fisichella e monsignor Calcagno.
Infine minacciava: “I comportamenti di Nicolini oltre a rappresentare
 una grave violazione della giustizia e della carità sono perseguibili come
 reati, sia nell’ordinamento canonico che civile, qualora nei suoi
 confronti non si dovesse procedere per via amministrativa, riterrò
 mio dovere procedere per via giudiziale”. Una minaccia ancora valida
 nonostante l’oceano separi l’arcivescovo dalla Procura. Anche perché il
telefonino di Viganò continua a squillare a vuoto.

FONTE : IL FATTO QUOTIDIANO
SUL SITO DE IL FATTO QUOTIDIANO C'E' LA LETTERA INEDITA SCANNERIZZATA

giovedì 26 gennaio 2012

CHIESA E DENARO







Il Vaticano annuncia possibili querele contro La7, per la trasmissione “Gli Intoccabili” condotta daGianluigi Nuzzi. Tema, la gestione degli appalti nello Stato pontificio. Nella trasmissione è stata citata una lettera al Papa, del marzo 2011, attribuita a monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato vaticano, in cui il prelato denunciava il malaffare, i prezzi gonfiati, la “corruzione” in appalti e forniture. Affidati, secondo la lettera, sempre alle stesse ditte, a costi raddoppiati, senza trasparenza nella gestione. Viganò, secondo la ricostruzione di “Gli Intoccabili”, chiedeva aBenedetto XVI di non essere trasferito a Washington, cosa poi avvenuta.

Nella lettera è citato il “comitato finanza e gestione” creato per porre rimedio alla grave situazione finanziaria del Governatorato, comitato “composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. E si parla di una sola operazione finanziaria che, nel dicembre 2009, avrebbe mandato in fumo due milioni e mezzo di dollari. Come membri del comitato, la trasmissione di Nuzzi ha chiamato in causa i banchieri Pellegrino CapaldoCarlo Fratta PasiniEttore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini.

Accuse “molto gravi”, le ha definite padre Federico Lombardi, portavoce vaticano. La Segreteria di Stato e il Governatorato si sentono impegnati, ha annunciato, “a perseguire tutte le vie opportune, se necessario legali, per garantire l’onorabilità di persone moralmente integre e di riconosciuta professionalità”. Il portavoce vaticano ha negato che gli organismi della Santa sede siano “caratterizzati in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi”. E il trasferimento di monsignor Viganò alla Nunziatura di Washington “è prova di indubitabile stima e fiducia da parte del Papa”. Tutt’altro, quindi, che una “rimozione” per la sua opera di risanamento sui costi dei lavori in Vaticano.

Padre Lombardi ha parlato di “discutibilità del metodo e degli espedienti giornalistici” con cui è stata realizzata la trasmissione, di “amarezza per la diffusione di documenti riservati”, di “stile di informazione faziosa nei confronti del Vaticano e della Chiesa cattolica”. Con i giornalisti presenti in sala stampa, però, non ha voluto pronunciarsi sull’autenticità dei documenti citati da Nuzzi.

Il portavoce vaticano ha precisato che l’azione svolta da Viganò per risanare i conti del Governatorato (dagli otto milioni di perdite nel 2009 ai 34,4 milioni di avanzo) “ha certamente avuto aspetti molto positivi, contribuendo a una gestione caratterizzata dalla ricerca del rigore amministrativo, del risparmio e del raddrizzamento di una situazione economica complessiva difficile”. La situazione generale del Governatorato, ha aggiunto, “non è così negativa come si è voluto far credere”, mentre “tanta disinformazione non può certamente occultare il quotidiano e sereno lavoro in vista di una sempre maggiore trasparenza di tutte le istituzioni vaticane”.
Dopo l’intervento del Vaticano, Nuzzi ha rivendicato i contenuti della trasmissione: “Abbiamo fatto il nostro dovere di cronisti, di individuare dei documenti, verificarne l’autenticità e renderli pubblici”. E quella che viene fuori è “una storia senza precedenti”, con “un vescovo che denuncia vicende che ritiene di corruzione e le mette nero su bianco nei confronti del Santo Padre”. Nella prossima puntata di “Gli intoccabili” si darà conto della risposta della Santa Sede, mentre padre Lombardi sarà invitato in studio


Per vedere la registrazione della puntata degli "INTOCCABILI", ecco il link: http://www.la7.it/intoccabili/

martedì 24 gennaio 2012

KORAZIM : QUALCOSA NON VA....




Nuovo via libera della Santa Sede ai neocatecumenali: dopo gli Statuti e il Direttorio Catechetico, i cui decreti di approvazione erano arrivati rispettivamente nel 2008 e nel 2011, ora è arrivata l'approvazione delle celebrazioni in uso nel Cammino che non sono già normate dai libri liturgici. Fra di esse non c’è – ovviamente - la Messa che i neocatecumenali celebrano il sabato sera, ma il modo poco preciso col quale il decreto è stato presentato dai responsabili del Cammino ha (e non è la prima volta) ingenerato confusione, con il risultato che il messaggio che è passato ai più è proprio quello. Completamente fuorviante. E in questo mare di imprecisione, rischiano di passare in secondo piano anche le parole del papa, che – per chi non vuol far finta di nulla – sono chiare e puntuali.
Il decreto con il quale vengono approvate le celebrazioni in uso nel Cammino che non sono già normate dai libri liturgici è un via libera importante, in qualche modo ovvia e naturale conseguenza dell'approvazione, dodici mesi fa, dei tredici volumi (il “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”) che illustrano l'intero percorso di riscoperta del Battesimo e che contengono quelle catechesi degli iniziatori Kiko Arguello e Carmen Hernandez che vengono riproposte dai catechisti in ogni singola comunità del Cammino. Un segno rilevante, questo nuovo via libera, della fiducia che la Santa Sede ripone nel Cammino Neocatecumenale, che a poco più di 40 anni dalla sua “invenzione” si vede ormai pienamente riconosciuto e approvato dal Vaticano. Un traguardo non facile e tutt'altro che scontato. Ad oggi, il Cammino neocatecumenale è riconosciuto come un percorso di formazione valido, che viene definito nei suoi tratti essenziali dagli Statuti (approvati in forma definitiva nel 2008 dopo sei anni di formula ad experimentum) e tratteggiato nel dettaglio, dal punto di vista dottrinale e catechetico, dal “Direttorio” approvato dodici mesi fa, ivi comprese – la novità di questo 2012 - le celebrazioni che in esso vi sono contenute. Di per sé, il percorso di approvazione da parte della Santa Sede può ritenersi sostanzialmente concluso, fermo restando che nulla è dato una volta per tutte e che tutto quanto deciso in questi anni è in ogni momento passibile di riconsiderazione da parte della Santa Sede.
Eppure, anche stavolta, come già in passato, non tutto è andato liscio e verosimilmente non tutto continuerà ad andare liscio nella vita quotidiana di questo cammino di formazione. Da un lato c'è la ormai consueta e immancabile confusione sul contenuto preciso dei decreti emessi dalla Santa Sede, confusione generata anzitutto proprio dai responsabili del Cammino neocatecumenale e da quel loro modo (quantomeno così poco puntuale, se non apertamente scorretto) di raccontare gli eventi; dall'altro lato c'è il punto, non ancora chiarito, della pubblicazione del “Direttorio catechetico”, che sarà pure stato approvato nella sua nuova versione rivista e abbondantemente corretta dalla Congregazione per la dottrina della fede, ma che nella pratica continua a rimanere un testo riservato, in uso solamente ai catechisti del Cammino. Il tutto, in un contesto in cui i principali appunti che vengono mossi all'intero movimento (uno su tutti: la scarsa attenzione all'unità con il resto della comunità parrocchiale, con tutti coloro che non appartengono alle comunità del Cammino) vengono dai vertici del Cammino Neocatecumenale apertamente negati e nel concreto sostanzialmente ignorati, come se si trattasse di accuse infondate o di problemi inesistenti. Quando inesistenti, in realtà, davvero non sono. Anche perché, ad ogni udienza papale, vengono evocate e sottolineate – per chi le vuol sentire - dal Pontefice in persona. E’ successo anche stavolta.
IL DECRETO: COSA C’E’ – Il decreto del Pontificio Consiglio per i Laici, testualmente, “concede l’approvazione a quelle celebrazioni contenute nel Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale che non risultano per loro natura già normate dai libri liturgici della Chiesa”. Si tratta di quei riti che accompagnano tutto il percorso di formazione del singolo nelle sue varie tappe di formazione: nel dettaglio, i riti che accompagnano il “primo scrutinio”, lo “Shemà” e il “secondo scrutinio” (passaggi con i quali si passa prima dalle catechesi iniziali al pre-catecumenato e poi da quest’ultimo al catecumenato vero e proprio) e ancora i riti legati all'iniziazione alla preghiera, alla consegna del Salterio, alla consegna del Credo (la Traditio Symboli), alla confessione pubblica della propria fede (la Redditio Symboli), alla consegna del Padre Nostro, e via continuando fino al rito del Rinnovo delle promesse battesimali, che di fatto è il culmine ultimo del Cammino neocatecumenale. Approvate anche le parti delle celebrazioni della Parola di Dio (sono settimanali, ne parlano anche gli Statuti) e delle celebrazioni penitenziali (hanno cadenza mensile) che già non siano regolate altrove.
E COSA NON C’E’ (ANCHE SE VOGLIONO FARLO CREDERE) – Non si fa alcuna menzione, nel decreto, delle celebrazioni che sono già normate dai Libri liturgici: non c’è la Liturgia delle Ore e ovviamente e naturalmente non c’è la Celebrazione Eucaristica, non c’è la Santa Messa. Ma purtroppo il messaggio che rischia di passare – e sta passando – è proprio questo: è stata approvata la celebrazione del sabato sera nelle comunità, è stata approvata la “messa dei neocatecumenali”. Un’interpretazione che si va diffondendo sui mezzi di comunicazione – e anche fra non pochi appartenenti al Cammino – a causa soprattutto della nota ufficiale emessa dai responsabili del Cammino neocatecumenale (diffusa alla stampa di tutto il mondo e riportata sul sito web ufficiale). Una nota che semplifica oltremodo quanto accaduto e che, sintetizzando troppo, di fatto induce in errore generando una grandissima confusione sui termini reali di quanto approvato. In tutto questo, non ha certo aiutato il fatto che la Santa Sede, rendendo noto il decreto, non gli abbia affiancato alcun commento o alcuna nota esplicativa: forse stavolta era necessaria.
LA MESSA, ECCO LA SITUAZIONE - In verità, non esiste (o non dovrebbe esistere) alcuna “messa dei neocatecumenali”: la Messa è una sola, quella regolata dai libri liturgici, alla quale nelle comunità del Cammino si applicano alcune eccezioni, che sono ben circoscritte, definite nel dettaglio dagli Statuti o nei documenti ufficiali della Santa Sede. Il decreto del 2012 non tocca affatto questo aspetto e le regole in vigore sono quelle disegnate dopo l’approvazione degli Statuti, nel giugno 2008. In breve, le comunità del Cammino possono celebrare la Messa il sabato sera, dopo i primi Vespri della domenica, in piccole comunità: sempre devono essere seguiti i Libri liturgici, con due concessioni. La prima è quella che la Comunione viene distribuita sotto le due Specie del pane azzimo e del vino, e che i neocatecumeni la ricevono in piedi restando al proprio posto. La seconda è lo spostamento del rito dello scambio della pace, che viene anticipata a prima dell’offertorio. Stop. Queste sono le uniche eccezioni consentite. Tutto il resto o è già previsto dal Messale romano (è il caso delle monizioni prima delle letture, purché siano “brevi”) o dovrebbe essere modificato perché non previsto, e dunque non concesso (è il caso delle risonanze prima dell’omelia). Nel Cammino molto è cambiato negli ultimi anni, ma le risonanze sono sempre al loro posto. Peraltro, nel corso dell’udienza, il papa ha sottolineato lungamente il senso della concessione della Messa al sabato sera in piccole comunità (fini esclusivamente pastorali) e ha ribadito che l’obiettivo è quello di “inserire il singolo nella vita della grande comunità ecclesiale”, a partire dalla celebrazione domenicale della parrocchia. Un obiettivo che vale sempre: durante i lunghi anni del cammino, dice il papa, è “importante non separarsi dalla comunità parrocchiale”. Insomma, la messa del sabato sera è fatta per unire, non per dividere; per inglobare, non per separare le comunità neocatecumenali dal resto della comunità parrocchiale. Concetti, questi, su cui il Cammino ancora una volta è chiamato a riflettere.
NEGARE, ANCHE L’EVIDENZA – Ed è chiamato a rifletterci su perché, nonostante tutto, la parola d’ordine dei responsabili sembra essere quella di negare, negare, fortissimamente negare che ci sia qualcosa che non vada, che nel Cammino si siano generate delle criticità che quanto meno sarebbe onesto vedere, per poterci lavorare sopra. Per salvaguardare meglio l’unità delle parrocchie e della Chiesa. Per evitare che un percorso che è un “dono dello Spirito Santo” e che tanto bene sta facendo nella Chiesa possa talvolta portare divisione. Purtroppo, in tutti questi anni e ancora oggi, a giudicare dalla nota sul decreto, i vertici del Cammino (gli iniziatori Kiko Arguello e Carmen Hernandez, con don Mario Pezzi) preferiscono semplificare: “Tutto va bene, la Santa Sede ha approvato tutto, il papa è con noi”. Col risultato che, alla lunga, perdono anche di credibilità: in questi giorni, se ci si rivolge a quelle migliaia e migliaia di persone neocatecumenali, soprattutto giovani, che formano le singole comunità (e che, in linea di massima, con coerenza e senza alcun genere di integralismo, vivono il loro percorso di fede come uno dei tanti percorsi di fede presenti nella Chiesa) e si afferma che la Santa Sede ha dato l’approvazione alle celebrazioni del Cammino, la risposta più frequente che si ottiene è: “Ma perché, non avevano già approvato tutto?”. E in molti pensano, sbagliando, che il decreto abbia approvato proprio la Messa del sabato sera, che invece non c’entra nulla. No, in tutto questo c’è qualcosa che non va.
UNITA’ E LITURGIA: E SE LO DICE IL PAPA, FORSE… – Non va anche e soprattutto perché dovrebbe essere inconcepibile negare che vi siano alcuni problemi sul versante dell’unione ecclesiale e sul versante della liturgia quando – guarda caso – ogni volta che incontra le comunità del Cammino il papa si concentra proprio su questi due aspetti: unità con il vescovo diocesano, rispetto dei libri liturgici, comunione ecclesiale. Così è stato anche nell’udienza del 20 gennaio 2012, dove il papa, riconoscendo l’opera preziosa del Cammino, ha invitato a dare attenzione “all’unità e all’armonia dell’intero corpo ecclesiale” e ha impartito una vera e propria lezione su cosa sia la liturgia e sul senso delle eccezioni riconosciute al Cammino. Non è un caso che il pontefice si concentri sempre su questi aspetti. Riconoscere, da parte del Cammino, che al riguardo c’è del lavoro da fare, e una volta per tutte anche farlo, sarebbe la cosa più sensata e sana che i suoi responsabili potrebbero e dovrebbero fare. Del resto, se lo dice il papa, forse si potrebbe anche dargli retta.

lunedì 23 gennaio 2012

A PROPOSITO DEL LITURGISTA PEDRO FARNE'S

Sopra Pedro Farnès


Pedro Farnes, l’ideologo del cammino neocatecumenale
Pedro Farnes è un liturgista spagnolo, famoso qui da noi solo per essere l’ideologo del cammino neocatecumenale. Per noi ha importanza perché negli ormai lontani anni ‘60 ha “fatto comprendere” a Carmen Hernandez, prima devotissima del Santissimo Sacramento, cosa “significava” [sic] il Concilio Vaticano II (è lei stessa ad averlo pubblicamente ammesso). Sotto il suo influsso la signora Hernandez è divenuta l’eresiarca che ben conosciamo, dunque l’insegnamento di questo liturgista dev’esser stato per lei ben decisivo. Egli ha scritto (con altri tre suoi compagni) un testo apparso nel 1969, “Nuevas normas de la misa”, (Madrid, 1969), una sorta di commento sull’”Institutio Generalis Missalis Romani”. Le citazioni presenti in questo articolo provengono proprio da questo testo.
La S. Messa è sacrificio propiziatorio? O solo "mensa", "banchetto", "conferenza"?
Come si sa, il sacrificio della Messa ha una quadrupla finalità: l’adorazione, l’azione di grazie, la propiziazione e l’impetrazione.
L’adorazione è l’onore reso a Dio in ragione della sua perfezione infinita ed assoluta.
L’azione di grazie è la manifestazione della nostra gratitudine verso Dio per i benefici da Lui ricevuti.
"Il sacrificio è detto propiziatorio, spiega il P. Aldama (De Sanct. Euch., p. 338), in quanto esso è un atto gradito da Dio, che giustamente si sente offeso dal peccatore. Questo atto è compiuto tramite il riscatto, il quale è una riparazione secondo una uguaglianza proporzionale all’offesa commessa; esso appartiene alla virtù della giustizia.".
Con l’impetrazione, noi chiediamo a Dio nuovi benefici.
A questo proposito, ciò che è in questione nella vecchia disputa fra cattolici e protestanti, non è, propriamente parlando, il carattere sacrificale della S. Messa, ma piuttosto il suo carattere propiziatorio. In altri termini, cattolici e protestanti ammettono che la Messa è un sacrificio di lode e di rendimento di grazie, ma i protestanti negano (ed è questa la loro eresia in materia) che la Messa costituisca un sacrificio propiziatorio.
È dunque della più grande importanza verificare se Farnes ammetta la nozione di PROPIZIAZIONE, o se invece parli solo di SACRIFICIO, passando sotto silenzio il suo carattere PROPIZIATORIO.
Tutto ciò è anzi della massima importanza, dal momento che il concilio di Trento ha definito la S. Messa come un "sacrificio veramente propiziatorio" ( Denz.-Sch., 1743) e ha scagliato questo anàtema:
"Se qualcuno afferma che il sacrificio della messa è solamente di lode e di rendimento di grazie, o una semplice commemorazione del sacrificio consumato sulla croce, ma non è propiziatorio […], sia anàtema" ( Denz.-Sch., 1753).
Se analizziamo il commento di Farnes all”Institutio”, notiamo che le omissioni e le ambiguità tendenti a celare il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa sono molto numerose.
Nei 171 articoli dell’indice analitico dell’opera, le parole "sacrificio" e "propiziazione" non compaiono mai.
Non solo, ma trattando dei luoghi dove dev’essere celebrata la Messa (che, secondo la pratica tradizionale, “dovrebbero” essere le chiese), Farnes afferma:

"Questi luoghi hanno - ci sia permesso il paragone - qualcosa di un grande refettorio per banchetti; di una sala per conferenze dove si ascolta la saggezza di Dio; di un teatro dove si assiste al grande spettacolo della teofania; di un salotto per conversazioni dove si dialoga con Dio; di una sala da feste dove i credenti esprimono la loro gioia" ( Nuevas normas…, p. 61)
Notiamo come Farnes parli di tutto, tranne che di una chiesa propriamente detta, cioè di un luogo sacro nel quale Nostro Signore Gesù Cristo, veramente presente, s’immola Lui stesso sull’altare in propiziazione per i peccati degli uomini.
Più avanti, Farnes continua a parlare di tutto meno che di sacrificio ed espiazione. Dopo aver affermato in maniera ambigua che i fedeli devono "offrire dovunque un sacrificio spirituale"(Nuevas normas…, p. 61) , così prosegue:

"Questa idea di una riunione cristiana dev’essere alla radice di tutte le strutture di una chiesa: un’assemblea di Gesù Cristo e dei suoi fratelli per ascoltare la parola di Dio, per rispondere a questa parola con la loro gratitudine, i loro canti e le loro suppliche, ed anche per confermare reciprocamente l’amore che Cristo, durante il banchetto, ha raccomandato come segno distintivo dei suoi discepoli. Tutto ciò che serve ad evidenziare questa realtà (Nota: Questo perché le chiese non devono avere per principale fonte d’ispirazione le nozioni di croce, di sofferenza, di sacrificio, di propiziazione e di pentimento per i nostri peccati. La misura di tutto è "la parola di Dio", l’azione di grazie, l’amore vicendevole, la gioia, ecc.) è da incoraggiare; tutto ciò che la contraddice è da deplorare"(Nuevas normas…, p. 61) .
Spiegando la nuova concezione dell’altare, P. Farnes sottolinea nuovamente la stessa idea:

"Infatti, l’altare è soprattutto, come dice a più riprese il testo stesso dell’"Institutio", la mensa del Signore (nn° 49, 259, ecc.), e ciò deve apparire dal suo addobbo, dalle tovaglie, dalla forma della sua costruzione, dalla catechesi che da esso si fa al popolo, dai motivi che sono dati per giustificare la sua venerazione. Se più tardi, con il tempo(Notare l’insinuazione storicistica ed archeologicistica secondo cui Nostro Signore non ha istituito la Messa come un sacrificio ), l’altare assunse anche il carattere di sepolcro dei martiri e di altare del sacrificio, tali aspetti possono essere complementari, ma non devono in alcun modo primeggiare nello spirito delle persone che si riuniscono per celebrare il memoriale del Signore.

Così l’"Institutio", che chiede che l’altare sia sempre presentato come la mensa del Signore, non è altrettanto categorica a proposito delle reliquie" (Nuevas normas…, p. 246).
Questo è uno dei motivi per i quali Kiko e Carmen evitano come la peste gli altari consacrati e le reliquie dei Santi.
Il "racconto dell'Istituzione"
Secondo la dottrina cattolica, il sacerdote che consacra non "ripete" solamente ciò che il Signore ha fatto durante la Santa Cena, ma agisce “in persona Christi”, al posto di Cristo, prestandogli la sua bocca e la sua voce.
Secondo i protestanti invece, nella Consacrazione, il ministro non fa che ridire le parole dei Vangeli, ripetere le parole di Cristo, ricordando così l’ultima cena. Siccome secondo loro non c’è alcuna transustanziazione, questo racconto può bastare, poiché non è né necessario, né possibile che le parole di Cristo siano pronunciate dal sacerdote in maniera affermativa e imperativa. E se è vero che secondo alcuni protestanti, le parole di Cristo non sono pronunciate solamente in modo narrativo, tuttavia, i sostenitori di questa asserzione non ammettono in alcun modo che il celebrante le pronunci in maniera assoluta e imperativa in nome dello stesso Nostro Signore; ma sostengono che, oltre al racconto verbale, ci sia una rappresentazione teatrale essenziale nella cerimonia.
E nel commento di Farnes troviamo anche naturalmente ambiguità sulla natura della Consacrazione. Spiegando questa parte centrale della Messa, egli adotta una posizione che corrisponde pienamente ai principi protestanti:

"[la preghiera eucaristica] è un’azione consacrante perché con essa si effettua la santificazione delle offerte" (Nuevas normas…, p. 128).
Anche altri passi di quest’opera presentano delle concezioni protestanti sulla consacrazione, per esempio: si insinua che la presenza di Nostro Signore nell’Eucaristia è equivalente alla "presenza reale" nella lettura della Scrittura fatta durante la Messa (Nuevas normas…, pp. 31 e 85); si lascia intendere che la transustanziazione non è realizzata nel momento preciso in cui il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione (Nuevas normas…, pp. 123-124), ecc.
Il "presidente dell’assemblea".
Secondo la definizione del concilio di Trento, il sacerdozio "è stato istituito dal Salvatore, che con esso ha dato ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere di consacrare, di offrire e di amministrare il suo Corpo ed il suo Sangue, così come di perdonare e di ritenere i peccati" (Denz.-Sch. 1764.)
È per questo che il potere di consacrare appartiene al sacerdote e non al popolo. Se le Scritture e la teologia cattolica parlano di "sacerdozio" dei fedeli, lo fanno in senso lato, per indicare semplicemente la consacrazione di tutti i battezzati all’opera divina, in unione con Nostro Signore, sommo ed eterno sacerdote (Su questo punto si consulti: Solà, De sacramentis…, pp. 587-588; così come i documenti del concilio di Trento, del catechismo romano, di Pio XII e di S. Agostino, citati da Solà. ).
Confondere il sacerdozio del popolo con quello del prete, significa ancora una volta adottare un principio protestante; in effetti, secondo gli pseudo-riformatori del XVI secolo, il celebrante è sacerdote allo stesso titolo del popolo, egli si limita a presiedere l’assemblea eucaristica in quanto delegato da quelli che assistono.
Nel commento di Farnes, incontriamo un’importante conferma del fatto che purtroppo l’"Ordo" del 1969 ha introdotto una nuova nozione, che non può che richiamare l’idea protestante di "presidenza" dell’"assemblea" esercitata dal celebrante. Ed infatti Farnes non perde l’occasione offerta su un piatto d’argento per protestantizzare il tutto:

"[…], è il popolo di Dio e non propriamente il ministro che celebra […]" (Nuevas normas…, p. 77. ).

"L’assemblea è l’opera di tutti. Tutti sono battezzati e partecipano all’unico sacerdozio di Cristo. Tutti sono ripieni di Spirito Santo" (Nuevas normas…, p. 91 ).

"Tutto questo ritmo armonico e strutturale dà al mistero la possibilità di essere celebrato da tutta l’assemblea, e non solo dai chierici o da una parte del popolo. Nel testo di numerosi articoli dell’"Institutio", percepiamo un soffio artistico ed un tono della celebrazione che ingloba tutto il popolo celebrante" (Nuevas normas…, p. 54).

"Quando coloro che sono battezzati si riuniscono, esercitano tutti il loro sacerdozio battesimale. Dopo secoli, durante i quali nel corso della celebrazione è apparsa la sola azione dei ministri, possiamo rimettere le cose nella loro giusta collocazione. Il popolo di Dio è - tutt’intero - un popolo sacerdotale […]. Dal popolo di Dio sorgono generalmente i ministri: seguono i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ordinati per questo tramite un sacramento, fino agli accoliti, ai musicanti, agli uscieri, ecc… […], tutti devono collaborare per un migliore esercizio del sacerdozio comune" (Nuevas normas…, pp. 142-143 ).
Non "sacerdote", ma "presbitero"!!! Negazione del Sacerdozio ministeriale.
Secondo la definizione del concilio di Trento, nella Santa Messa Gesù Cristo "s’immola egli stesso per la Chiesa mediante le mani del sacerdote" (Denz.- Sch. 1741). Per tale motivo, si dice che Nostro Signore è il principale sacerdos di tutte le messe, mentre il prete è un sacerdos secondario, ministeriale o strumentale. D’altra parte, il sacerdozio del celebrante è essenzialmente diverso da quello del popolo, così che il popolo non partecipa alla S. Messa alla stessa maniera del sacerdote.
Negare anche una di queste verità, significa cadere nell’errore protestante.
Commentando i già citati nn. 1 e 4, Farnes approfitta ancora una volta delle imprecisioni e dei silenzi dell’"Institutio" per esporre una teoria del sacerdozio (di Cristo, del prete e del popolo) che si allontana fondamentalmente dalla dottrina della Chiesa Cattolica Apostolica. A proposito del principio secondo cui l’Eucaristia è un’"azione di Cristo", nel commento di Farnes si legge:

"Cristo agisce personalmente in ogni celebrazione; egli è l’unico "sacerdos" del popolo cristiano […], al punto tale che la rivelazione cristiana ha deliberatamente evitato di dare il nome di "sacerdos" a coloro che presiedono le riunioni liturgiche dei cristiani, chiamandoli col nome di vescovi o presbiteri (anziani), o semplicemente ministri (strumenti, servitori) di Cristo (Nota: in questo passo, Farnes trascura una delle condanne di Trento: "Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non vi è sacerdozio visibile ed esteriore […], ma un semplice ministero della predicazione del Vangelo […], sia anàtema" (Denz.-Sch. 1771) […]. Ecco cosa significa la prima affermazione dell’"Institutio" - così profonda sul piano teologico -: l’Eucaristia è un’azione di Cristo […]" (Nuevas normas… pp. 68-70. ).
Farnes offre un’interpretazione eterodossa del principio secondo cui il sacerdozio del celebrante è "ministeriale". Secondo lui, il sacerdote è essenzialmente "ministro", e cioè rappresentante e servitore di Nostro Signore (verità questa che il documento afferma), nonché del popolo, il che gli conferisce una dignità che non è superiore a quella dei fedeli (Vedi Nuevas normas...pp. 35 e ss. ).
Continuando ad esporre l’asserzione secondo cui l’Eucaristia è un’"azione del popolo di Dio gerarchicamente organizzato", Farnes scrive:

"Parlando dell’Eucaristia […], non si dice che questa sia l’azione del sacerdote alla quale il popolo si unisce, (come è stata frequentemente presentata la messa fino a poco tempo fa), ma più esattamente si dice che essa è l’azione di questo popolo, servito dai ministri che, proprio per mezzo del loro ministero, danno al popolo la presenza sacramentale del loro Signore. Si può ripetere qui ciò che fu detto al concilio al momento del rigetto dello schema proposto per la Costituzione della Chiesa. In effetti, si sa che nel progetto di questa Costituzione […], la Chiesa era presentata sotto forma di una "piramide", che partiva dal papa e dai vescovi per scendere fino all’ultimo fedele, e si sa anche che questo schema, che corrispondeva alla teologia classica degli ultimi secoli (Nota: Farnes si sbaglia se pensa che questa concezione sia semplicemente un’opinione della "teologia classica degli ultimi secoli". In realtà, si tratta di un dogma della Santa Chiesa (vedi a questo riguardo: Concilio di Trento, Denz.-Sch. 1767, 1768, 1777, Denz.-Umb. 960, 967; Hervè, Man. Theol. Dogm., vol. I, pp. 290, 303, 307 e 321; Tanquerey, Syn. Theol. Dogm. tomo I, pp. 434 e 454; Salaverri, De Eccl. Christi, pp. 548 e 604; Iragui-Abàrzuza, Man. Theol. Dogm., vol. I, p. 278). ), fu rigettato perché poneva ciò che è relativo e di servizio (la gerarchia) al di sopra della realtà ontologica assoluta (il popolo di Dio).

"Allo stesso modo, e certamente già come una conseguenza di questa nuova e più giusta visione della Chiesa, l’Eucaristia non viene presentata come un’azione del celebrante, alla quale il popolo si unisce, ma come un’azione del popolo di Dio. È importante allora che la direzione pastorale metta in rilievo questa affermazione, per non correre il rischio di presentare la partecipazione dei fedeli alla messa come meno importante di quella del ministro. Certo, la partecipazione del popolo non è allo stesso livello di quella del celebrante. Il fatto è che si tratta di due differenti realtà: la partecipazione del popolo è una cosa che gli appartiene perché la Chiesa tutt’intera è il corpo di Cristo che si unisce al suo capo per la celebrazione; il ministero del celebrante, per quanto questi sia distinto dai fedeli, non ha che una funzione ministeriale: attraverso questo ministero i fedeli sono uniti a Cristo ed è con Cristo che celebrano l’Eucaristia. È per questo che si afferma che l’Eucaristia è un’azione di Cristo e un’azione del popolo di Dio (Nota: la concezione della S. Messa presentata qui da Farnes è assolutamente falsa. Il celebrante, prima di essere rappresentante e ministro del popolo, è rappresentante e ministro di Cristo. Per questo motivo egli è autenticamente sacerdos. Dire che la partecipazione dei fedeli alla S. Messa non è inferiore a quella del ministro, significa negare il dogma del sacerdozio gerarchico e visibile istituito da Nostro Signore nella Chiesa (vedi Concilio di Trento, Denz.-Sch. 1764, 1767, 1771, 1777, Denz.-Umb. 957, 960,961,967).

"A questo proposito, è ugualmente interessante porre l’accento sulla menzione esplicita del modo in cui il popolo di Dio celebra l’Eucaristia: in effetti, esso la celebra come un’assemblea gerarchicamente organizzata. In questa frase, non si tratta assolutamente d’identificare tra i membri del popolo di Dio quelli che sono più o meno degni; non bisogna parlare di diversità di dignità, ma piuttosto di interscambio di servizi tra i discepoli di Colui che ha voluto che il più grande fosse il servitore degli altri"(Nuevas normas…, pp. 70-71).
Inoltre Farnes dichiara che un sacerdote non deve mai celebrare messe private (chiamate oggi "messe senza il popolo") semplicemente per devozione personale (Nuevas normas…, p. 214, commento al n. 209 dell’"Institutio" ). Ma il problema per lui non è tanto la “devozione del sacerdote”: come per Kiko e Carmen la Messa senza fedeli manca della sua componente essenziale, i fedeli che soli “fanno” l’eucaristia.
SOLA SCRIPTURA". Ovvero della Tendenza a rendere equivalenti la "Liturgia della parola" e la "Liturgia eucaristica": ".
Le eresie tendono sempre a sopravvalutare l’importanza della Scrittura, a detrimento delle formule liturgiche d’origine ecclesiastica e della celebrazione eucaristica propriamente detta. In questo modo, esse tentano di ridurre al silenzio la tradizione e di diffondere i loro falsi dogmi dicendo che questi poggiano sulla rivelazione (Vedi dom Guéranger, Institut. Liturg., tomo I, pp. 415 e 416).
Farnes, sempre pronto a interpretare l'"Institutio" spiegandola in senso neo-modernista e protestante, scrive:

"[…] di solito, il contesto privilegiato per ascoltare la parola di Dio è l’assemblea [si legga: la messa]. Tutti devono recarvisi come quando si accostano alla comunione eucaristica: disposti a non perderne colpevolmente il più piccolo frammento, poiché Cristo è ugualmente presente in entrambi" (Nuevas normas…, p. 85. ).
Notiamo anche che i neocatecumenali vanno ben oltre: purtroppo nelle “assemblee” kikiane, poiché a detta degli eresiarchi Kiko e Carmen “non è questione di briciole” (vedi “Orientamenti ai catechisti) i frammenti delle Ostie consacrate possono essere sparsi e calpestati tranquillamente: Ma della “sola scriptura” “le briciole” secondo il loro ideologo Farnes non devono andare perdute… Che Dio ci perdoni!
In un altro passo, Farnes stabilisce una nuova comparazione tra la "liturgia della parola" e l’Eucaristia, con termini che tendono a conferire loro un’eguale dignità:

"La Costituzione Sacrosanctum concilium (n° 7), insieme all’enciclica Mysterium Fidei, mettono in rilievo la PRESENZA REALE di Cristo nella sua Chiesa, NELL’ASSEMBLEA DI PREGHIERA, sia quando è letta o proclamata la SACRA SCRITTURA, sia quando è offerto o relizzato il SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA" (Nuevas normas…, pp. 31; le maiuscole sono nostre).
Come si vede: è difficile immaginare una teoria più radicale o più audace per mettere le letture bibliche e la Santa Eucaristia sullo stesso piano.
Inoltre, sostenendo l’errore protestante secondo cui lo Spirito Santo illumina direttamente ogni fedele che legga la Bibbia, senza bisogno del magistero vivente della Chiesa, e ammettendo solo una spiegazione del ministro destinata ad "accrescere" i frutti della lettura, Farnes scrive:

"Quando un credente la legge [la sacra Scrittura], soprattutto in un’atmosfera comunitaria - si potrebbe dire nel suo normale brodo di cultura [sic] - LO SPIRITO, con la sua grazia, FA SORGERE nel cuore dei fedeli UN’ATTITUDINE CHE PERMETTE ALLE ANTICHE PAROLE DI PRODURRE UNA NUOVA VITA. Come il Cristo storico continua ad essere compiuto nel Cristo mistico, in modo da prolungare l’incarnazione di Dio tra gli uomini, così LA SCRITTURA CONTINUA AD ESSERE COMPIUTA NELLE NOSTRE VITE FINO AL RITORNO DI CRISTO, E TUTTI NOI DIVENTIAMO LA PAROLA DI DIO FATTA CARNE, FATTA VITA UMANA, a sua immagine e somiglianza" (Nuevas normas…, pp.84-85; le maiuscole sono nostre.)
La S. Messa è solo memoriale della Resurrezione e dell’Ascensione?
Uno dei mezzi impiegati dagli eretici dei nostri tempi per dissimulare il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa, consiste nell’accentuare eccessivamente il fatto (reale, ma subordinato) che la Messa rievoca non solo la morte di Nostro Signore, ma anche la Resurrezione e l’Ascensione.
Noi diciamo che la S. Messa ricorda la Resurrezione e l’Ascensione solo in maniera subordinata, poiché nella sua realtà sacrificale e propiziatoria e nei suoi elementi simbolici essenziali, la S. Messa è innanzitutto e direttamente il rinnovamento del sacrificio della croce. È per questo che essa richiama alla mente soprattutto la morte di Nostro Signore. Tuttavia, come nel mistero del Calvario, che ha propriamente realizzata la nostra Redenzione, erano implicati anche tutti gli altri misteri e tutti gli altri avvenimenti della vita di Cristo, si può e si deve ritenere che la Messa richiama anche, ma in maniera subordinata, la Resurrezione, l’Ascensione, il fatto che Nostro Signore si è assiso alla destra dell’eterno Padre, ecc.
Farnes nel suo commento manifesta un’avversione particolare per l’accento di santa e sacrificale tristezza che caratterizza la S. Messa tradizionale, anche nei giorni di festa. Espressioni eccessive di gioia di fronte all'immolazione di Nostro Signore Gesù Cristo sulla croce possono facilmente sfociare nell'irriverenza e di fatto intralciano l'adorazione del mistero della croce: basti pensare alla Beata Vergine Maria sotto la croce, che infatti i cattolici hanno sempre denominato l'Addolorata. Ma al di là di queste considerazioni di decenza ciò che importa all’ideologo del cammino neocatecumenale e, per motivi opposti, a noi è la rilevanza dottrinale della “gioiosa celebrazione” che va abilmente a dissimulare ed eclissare completamente il carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa. Questa tendenza a ridurre l’Eucaristia ad una celebrazione gioiosa che esprimerebbe solo allegrezza, diventa evidente nel seguente paragrafo:

"Incoraggiare perché si dia al canto una grande importanza è più che opportuno (n° 19 dell’"Institutio"). Questo perché l’Eucaristia è il sacramento della Pasqua del Signore, l’attesa del suo glorioso ritorno e insieme una gioiosa celebrazione del trionfo di Cristo che è già stato realizzato e che tutta la Chiesa attende. Il canto è l’espressione naturale di questa gioia" (Nuevas normas…, p. 95).
La musica sia naturalmente di Kiko Arguello!
Alla faccia della solenne compostezza del canto gregoriano.
Soppressione della genuflessione.
Per quel che riguarda la genuflessione dei fedeli al momento della consacrazione, l’"Institutio" dice: "Si inginocchiano [i fedeli] poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli" (n° 21).
L’enunciazione di queste ragioni restrittive, che il buon senso fa comprendere e che sono quindi superflue, non costituisce certo un invito ai fedeli a non inginocchiarsi alla consacrazione! Ma è in questo senso che Farnes le interpreta, dicendo che, secondo il suo punto di vista, il fatto che l’assemblea sia numerosa è sufficiente per sopprimere la genuflessione (Nuevas normas…, p. 100). E nelle celebrazioni del cammino neocatecumenale non ci si deve MAI inginocchiare, motivo della soppressione totale degli inginocchiatoi.
La S. Messa? Un banchetto spensierato!
Farnes vuole dare alla S. Messa un aspetto d’agape gioiosa, di piacevole commemorazione, di spensieratezza, di gradevole banchetto e non di sacrificio propiziatorio nel quale il Figlio di Dio s’immola per i peccati e l’ingratitudine degli uomini e dunque commenta il n° 280 dell’"Institutio" affermando che il "tempio deve essere ben illuminato"; che le luci devono essere poste in modo da creare "un riposo psicologico" e "un’atmosfera gradevole agli occhi"; che la disposizione delle sedie deve essere tale che i fedeli possano vedere bene il santuario e guardarsi reciprocamente; che "nel tempio deve innanzi tutto [sic] regnare la pulizia" (Nuevas normas…, p. 258). Dunque, con la sua nuova estetica Kiko non fa altro che applicare alla lettera le disposizioni di Farnes. E si comprende anche la “compulsione a ripetere” nella disposizione di arredi e suppellettili neocatecumenali.
E prosegue:

"Bisognerà anche stare attenti alla questione degli odori, per evitare che siano sgradevoli […] e profumare discretamente il luogo, prima di dare inizio a lunghe riunioni, con qualcuno dei prodotti che oggi si vendono economicamente e in quantità e che si utilizzano abitualmente in altri luoghi di riunione come i teatri, i cinema, le sale per i concerti o le conferenze, ecc.

"Se è possibile, sarà di grande efficacia pastorale provvedere ad un vestibolo, un’entrata, un portico o qualcosa di simile, arredato con il dovuto conforto, affinché le persone possano incontrarsi entrando e uscendo, possano scambiarsi qualche parola, riposarsi, attardarsi, acquistare una rivista o anche ristorarsi ad un piccolo bar. Questi segni umani, preparano ammirabilmente al segno liturgico e lo prolungano, e danno sia al pastore [sic] sia ai partecipanti una buona opportunità d’incontrarsi" (Nuevas normas…, p. 259).
Fra gli scritti progressisti, sarebbe difficile trovare dei testi che reclamino più chiaramente la trasformazione delle chiese in luoghi profani e desacralizzati. In verità, nel passo citato, la casa di Dio è concepita nella migliore delle ipotesi come una semplice sala da pranzo.
Farnes arriva a suggerire che le vecchie chiese, "dal lusso eccessivo", vengano trasformate in musei, e che gli oggetti sacri, "dalla grande bellezza", siano "ritirati dal culto e posti nei musei, o impiegati per altri usi liturgici" (Nuevas normas…, pp. 63-64).
Una prescrizione questa che incontra certamente il favore degli islamici.
Come si vede da quanto sopra la "nuova estetica" kikiana non è stata ispirata all'Arguello dallo Spirito Santo o da dialoghi mistici con la “Sofia”, ma è stata suggerita dall'ideologia eterodossa del "liturgista" Farnes.
Suscitare sentimenti di conversione è pericoloso?
Come si sa, secondo la dottrina protestante, i peccati degli uomini non sono, propriamente parlando, cancellati dai meriti di Cristo e dalla pratica delle buone opere, ma sono semplicemente coperti nel credente dai meriti di Nostro Signore.
Benché la liturgia luterana contenga delle espressioni come "remissione dei peccati", "penitenza", "perdono", questi termini debbono essere intesi secondo le dottrine protestanti, e vi sono degli elementi che dimostrano in modo inequivocabile qual è l’interpretazione accettata dai protestanti: al termine della confessione, il ministro non dà l’assoluzione, ma fa ciò che si chiama una "dichiarazione di grazia"; nel testo liturgico, non si fa alcuna allusione alla conversione dei peccatori, ma è sufficiente "credere in nome di Cristo" per essere figli di Dio; ecc.
Anche nel nuovo "Ordo missæ", esistono alcuni elementi che, apparentemente, sono sufficienti per esprimere la dottrina cattolica sulla remissione dei peccati, si tratta della "penitenza", della "confessione dei peccati", del "perdono", dei "cuori contriti", ecc. Ma alcune delle innovazioni introdotte fanno temere che queste espressioni vengano intese in modo tutt’altro che ortodosso, così da comportare un rilassamento della fede in alcuni dogmi relativi al perdono dei peccati.
Ovviamente questo accade per Farnes, il quale, su questo argomento in particolare, presta all’"Institutio" un’intenzione francamente inconciliabile con la dottrina cattolica. Egli afferma:

"Per introdurre le tre formule dell’atto penitenziale, viene proposta la seguente ammonizione: "Fratelli, prima di celebrare i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati", a cui segue un breve silenzio. Prescrivere questa breve ammonizione preliminare evita il pericolo che, in quel momento, qualcuno faccia una succinta omelia allo scopo di suscitare dei sentimenti di conversione" (Nuevas normas…, p. 36 ).
Si noterà che, mentre il sacerdote e il commentatore, nel corso della Messa, possono effettuare numerose spiegazioni e fare diverse osservazioni, la possibilità che avrebbe il sacerdote di suscitare dei "sentimenti di conversione" prima del Confiteor, costituirebbe per Farnes un "pericolo"…