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PROTETTORE DEL SITO Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

Antica Bibbia

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LA BIBBIA: IL LIBRO DI DIO


"Una lampada  su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terrreno arido e stepposo, una spada che penetra nella carne." 

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino".

"Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra , senza averla fecondata e fatta germogliare, perchè dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me - dice il Signore- senza avere operato ciò che desidero, senza avere compiuto ciò per cui l'avevo inviata".  "La Parola di Dio è viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore". "La Bibbia è l'intreccio fra Dio e la nostra storia; la Pasqua del Cristo nasce dalla crocefissione, la vita sboccia dalla morte. La Bibbia non celebra un Dio lontano ma un Dio incarnato che salva la nostra storia. Cercherò di meditare ogni giorno le parole del mio creatore, cercherò di conoscere il cuore di Dio dalle parole di Dio affinchè io possa ardentemente desiderare i beni eterni  e con maggior desiderio la mia anima si accenda di Amore per Dio e per il fratello".

I TESORI DELLA BIBBIA da meditare...... per es . cercate : AMORE.....

TESTI SEGRETI LIBRI

giovedì 16 febbraio 2012

LEFEBVRE E LA FRATERNITÀ SAN PIO X : UN PO' DI STORIA.






di Lawrence M.F. Sudbury

Negli ultimi vent’anni e fino a tempi recentissimi forse pochissime questioni interne alla Chiesa cattolica hanno avuto così grande risonanza esterna come il cosiddetto “caso Lefebvre”.
Eppure, a tutt’oggi, molti non hanno ancora ben chiaro quali siano le coordinate essenziali del problema, ritenendo tutta la vicenda solo frutto delle stranezze di un gruppetto di Ecclesiastici ultra-conservatori e vagamente razzisti, a lungo guidati da un Vescovo disubbidiente al Vaticano.

La realtà dei fatti è certamente più complessa e merita di essere analizzata un po’ più attentamente di quanto spesso accada sui mass media per essere compresa in tutta la sua importanza e in tutta la sua portata pre-scismatica, scismatica e post-scismatica per il Cattolicesimo, a partire già dalla figura principale che ha dato l’avvio a tutto il processo: Monsignor Lefebvre.

Nato in una famiglia di antica tradizione religiosa (con oltre una cinquantina di Consacrati di vario livello in 250 anni) e figlio di ricco proprietario di industrie tessili ed esponente di spicco della resistenza francese, incarcerato dai tedeschi 1941 e giustiziato nel lager nazista di Sonnenburg nel 1944, Marcel Lefebvre studiò al Seminario francese di Roma e si laureò in filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, per essere ordinato Sacerdote il 21 settembre 1929.

Dopo qualche anno come Vicario in una parrocchia operaia di Lilla, entrò nella “Congregazione Missionaria dello Spirito Santo” e, nel 1932, venne inviato come Professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville in Gabon, del quale, due anni dopo, assunse la direzione: il suo lavoro di evangelizzazione fu così intenso da triplicare il numero dei Cristiani del Paese e, nel 1945 venne chiamato a dirigere il Seminario del suo Ordine a Mortain, in Francia. Due anni dopo Lefebvre venne consacrato Vescovo da Pio XII e inviato come Vicario apostolico in Senegal (e, dal 1948, come Vicario apostolico per tutta l’Africa Francese, comprendente allora ben 45 giurisdizioni ecclesiastiche in 18 Paesi), rimanendo in Africa, dal 1955 come primo Vescovo di Dakar, fino al 1962, anno in cui venne eletto Superiore Generale della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo e Vescovo di Tulle.

Proprio in quanto Superiore Generale, nel 1962 fu chiamato a partecipare, prima nella Commissione preparatoria (essendo stato nominato da Papa Giovanni XXIII Assistente al Sacro Soglio) e poi come delegato, all’evento che cambiò radicalmente la sua esistenza: il Concilio Vaticano II.

Monsignor Lefebvre aveva passato praticamente metà della sua vita lottando per evangelizzare popolazioni pagani e islamiche in Africa: era quasi logico che non potesse accettare in nessun modo elementi quali l’ecumenismo o le modifiche liturgiche, così fondamentali nel Concilio ma che, nella sua visione, altro non potevano essere che avanguardie di uno spirito neo-modernista, atte solo alla distruzione del senso ultimo del Sacerdozio e al minamento delle basi ultime della vita religiosa.

Per questo, nel corso dei lavori conciliari, fu sempre fortemente critico verso qualunque elemento di “novità”, partecipando attivamente allo sviluppo della corrente conservatrice del “Coetus Internationalis Patrum” e, quando tale corrente risultò perdente, non accettando di sottomettersi al “nuovo corso” che considerava “devastante” per il Cattolicesimo e arrivando a firmare solo alcuni documenti finali ma rifiutando di sottoscrivere la Gaudium et Spes e la Dignitas Humanae.

Sulla stessa linea, nel 1969, fu tra i firmatari del Breve esame critico del Novus Ordo Missae dei Cardinali Ottaviani e Bacci e, risultando anche questo tentativo vano, decise di ergersi a difensore della tradizione liturgica di San Pio V e, soprattutto, di quella che vedeva come la unica e reale “Traditio Fidei” fondando, nel 1970, la Fraternità Sacerdotale San Pio X (F.S.S.P.X), creata a Friburgo (Svizzera) il 1 novembre di quell’anno con l’accordo e l’approvazione di Monsignor François Charrière, allora Vescovo della città. La Fraternità possedeva anche un proprio Seminario internazionale a Ecône (curiosamente fondato 24 giorni prima della Congregazione che lo avrebbe retto) per la formazione di giovani “Sacerdoti conservatori” e poteva contare sull’appoggio di numerose fazioni della destra francese, che, da allora in poi, non hanno mai fatto mancare al Seminario Internazionale San Pio X il loro sostegno finanziario, e di alcune alte personalità cantonali del Partito Democristiano (in particolare con l'ex Presidente della Confederazione Elvetica, Roger Bonvin) e del movimento “Pro Fide Catholica”.

A inizio 1971 la Fraternità venne ufficialmente approvata dalla Santa Sede ma, praticamente all’atto del ricevimento del riconoscimento, Monsignor Lefebvre dichiarò che tutti i Sacerdoti della F.S.S.P.X avrebbero continuato a celebrare la Messa secondo il Rito di San Pio V, non accettando il “Novus Ordo” per motivi di coscienza. Iniziò da qui un primo grande contrasto con la Conferenza Episcopale francese che, nel novembre 1972, ad una sua Assemblea plenaria, definì Ecône un “Seminario selvaggio”, nonostante la sua canonicità.

In ogni caso, il Seminario (e, conseguentemente, la Fraternità) continuò ad accogliere sempre più studenti: i dati ufficiali parlano di un’apertura con 11 studenti, di 27 seminaristi nell’ottobre 1971, 35 nell’ottobre 1972, 36 nell’ottobre 1973 e 40 nell’ottobre 1974.

E’ proprio nel 1974 che le proteste del Clero progressista francese e svizzero cominciarono ad avere i primi effetti: il 9 novembre 1974 Monsignor Lefebvre ricevette dalla Nunziatura di Berna una lettera che gli annunciava una Commissione nominata dal Papa e composta da tre Cardinali interessati al Seminario (Monsignor Garrone, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Monsignor Wright, Prefetto di quella per il Clero, e Monsignor Tabera Prefetto di quella dei Religiosi) e di due Visitatori apostolici, Monsignor Descamps e Monsignor Onclin, che, dall’11 al 13 novembre 1974, interrogarono professori e seminaristi ed ebbero colloqui con Monsignor Lefebvre.
Si trattava di una ispezione informale (tanto che nessun verbale fu firmato e nessuna relazione venne comunicata a Monsignor Lefebvre, Rettore del Seminario), ma, ugualmente, essa risultò in una nota in cui si biasimava la formazione troppo “tradizionalista” del Clero di Ecône.

La risposta della Fraternità fu una dichiarazione di Lefebvre del 21 novembre l974 in cui il Vescovo proclamava la sua adesione “alla Roma cattolica, custode della Fede cattolica” ma affermava il suo rifiuto “di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che ne sono seguite”.

Con ogni probabilità, questa dichiarazione non voleva essere in nessun modo una sorta di “Manifesto” dì appello allo scisma, tanto che si chiudeva con un paragrafo (per altro stranamente omesso dall’“Osservatore Romano” all’atto della pubblicazione del testo), che esprimeva la fedeltà della “San Pio X” “a tutti i successori di Pietro”, fedeltà poi riaffermata da Lefebvre in una risposta all’Abbé de Nantes del 19 marzo 1975, in cui si legge: “Sappiate che se ci sarà un vescovo che rompe con Roma questo non sarò io”.

Nel frattempo, il 25 gennaio 1975, i tre Cardinali Garrone, Wright e Tabera, in una lettera di ringraziamento per l’accoglienza ricevuta, chiedevano a Monsignor Lefebvre un ulteriore incontro per discutere “su alcuni punti che ci lasciano qualche perplessità in seguito a questa visita”. L’appuntamento venne fissato per il 15 febbraio 1975 e, in tale occasione, i Cardinali attaccarono violentemente la Dichiarazione del 21 novembre 1974, nella quale in particolare il Cardinal Tabera ravvisava gli estremi una rottura con la Chiesa. Un secondo incontro, il 3 marzo, si svolse più o meno nelle stesse condizioni e, come risultato, il 6 maggio 1975 una lettera della Commissione cardinalizia informava Monsignor Lefebvre che la sua Dichiarazione era “inaccettabile sotto tutti i punti” e, prendendo atto del suo rifiuto di ritrattarla, gli comunicava, “con la piena approvazione di Sua Santità”, le seguenti decisioni:

1)Monsignor Mamie, Arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, avrebbe visto riconosciuto “il diritto di ritirare l’approvazione data dal suo predecessore alla Fraternità e ai suoi Statuti”;

2)in seguito a questa soppressione le fondazioni della Fraternità, e particolarmente il Seminario di Ecône, avrebbero perso “il diritto di esistere”;

3)nessun appoggio avrebbe potuto essere dato a Monsignor Lefebvre “sin quando le idee contenute nel Manifesto del 21 novembre 1974 saranno la legge della sua azione”.
Lo stesso giorno Monsignor Mamie scriveva a Monsignor Lefebvre: “La informo che io ritiro gli atti e le concessioni fatti dal mio predecessore per quanto concerne la Fraternità Sacerdotale San Pio X, e particolarmente il decreto di fondazione del l0 novembre 1970. [...] Questa decisione è immediatamente effettiva”.

Monsignor Lefebvre giudicò la soppressione del Seminario non valida in quanto contraria alle norme del Codice di Diritto Canonico (che, al canone 493 stabilisce che solo il Papa abbia la competenza ed il potere di togliere ad un Istituto religioso il diritto di esistere e che nessun Vescovo possa arrogarsi tale diritto) e, dunque, l’atto di Monsignor Mamie senza alcun valore, tanto che il 31 maggio 1975 scrisse a Papa Paolo VI chiedendo di essere giudicato dalla Sacra Congregazione per la Dottrina delle Fede, senza ottenere risposta. Allora, il 5 giugno, fece ricorso contro la decisione del 6 maggio, ma tale ricorso venne respinto il 10 giugno e anche un successivo appello venne rifiutato dietro proibizione del Cardinal Villot, allora Segretario di Stato.

Coerentemente con l’idea che l’idea che la soppressione della Fraternità fosse canonicamente nulla, Lefebvre non poteva accogliere l’obbedienza di astensione dall’Ordinazione sacerdotale e, il 29 giugno 1976, ordinò dodici nuovi membri della F.S.S.P.X: ventitre giorni dopo, come previsto dagli Statuti ecclesastici, ricevette la “sospensione a divinis” che, naturalmente, non accettò.

La rottura diviene completa quando, il 29 agosto 1976, a Lille, di fronte a 10.000 fedeli, il Vescovo “disobbediente” celebrò una Messa solenne che ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme e, in quell’occasione, pronunciò parole durissime contro la Santa Sede: “Siamo sospesi a divinis dalla Chiesa Conciliare e per la Chiesa Conciliare, alla quale non desideriamo appartenere. Quella Chiesa Conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa Cattolica che è sempre stata. Ha i suoi nuovi dogmi, il suo nuovo sacerdozio, le sue nuove istituzioni, il suo nuovo culto, tutti già condannati dalla Chiesa in molti documenti, ufficiali e definitivi. [...] La Chiesa che afferma tali errori è ad un tempo scismatica ed eretica. Questa Chiesa Conciliare è, pertanto, non cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti, o fedeli aderiscono a questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa Cattolica.”

Al di là dei proclami levebriani, comunque, il problema restava, oltre che teologico, logistico: Lefebvre continuava ad ordinare Sacerdoti in forma tecnicamente valida anche se non legittima ma tali Sacerdoti avrebbero poi dovuto essere incardinati nelle diverse Diocesi che, però, erano impossibilitate ad incardinare Presbiteri di un Seminario non riconosciuto dalla Santa Sede come quello di Ecône. Forse anche per dirimere quella che era diventata una questione di “empasse” anche pratica, il Vaticano (a cui, in sostanza, pur nella non accettazione dello “status” corrente, il Vescovo Lefebvre non aveva paradossalmente mai cessato di sentirsi legato, essendo, in realtà, l’intera sua protesta incentrata sulla difesa di una Traditio Fidei pontificia vissuta come lesa dal sistema conciliare) cercò sempre di aprire un dialogo con la Fraternità dissidente, già a partire da quel 1976 quando, l’11 settembre, Papa Paolo VI incontrò Lefebvre a Castel Gandolfo, proponendogli una ritrattazione a cui il Vescovo rifiuto di sottomettersi per motivi di coscienza.

Con l’ascesa al Sacro Soglio di un Cardinale come Wojtyla (Papa Giovanni Paolo II), notoriamente più vicino alle istanze conservatrici dei suoi predecessori, le speranze di una ricomposizione tra le parti parvero riaccendersi e anche i toni della San Pio X, nonostante un incontro infruttuoso con il neo-eletto Papa il 18 novembre 1978, si fecero più morbidi, come possiamo notare da una lettera di Lefebvre al Sommo Pontefice del 1980 in cui egli scriveva: “Santo Padre,[...] Per porre fine ad alcuni dubbi che circolano ora in Roma e in certi ambienti tradizionalisti in Europa e in America concernenti il mio atteggiamento e pensiero riguardo al Papa, al Concilio, e alla Messa del Novus Ordo, e temendo che questi dubbi raggiungano anche Vostra Santità, mi sia permesso di stabilire di nuovo ciò che ho sempre espresso [...] Che concordo pienamente col giudizio di Vostra Santità sul Concilio Vaticano Secondo espresso il 6 novembre 1978, alla riunione del Sacro Collegio. Che il Concilio deve essere compreso alla luce di tutta la Santa Tradizione e sulla base del costante Magistero della Santa Chiesa.[...] Riguardo alla Messa del Novus Ordo, nonostante tutte le riserve che si debbono avere su di essa, non ho mai detto che sia per se stessa invalida o eretica...”

Due elementi, però, sembravano decisamente ostare alla riapertura di un dialogo fruttuoso tra Vaticano e “moviemento disobbediente”.

Il primo elemento, da parte papale, era il sempre più deciso indirizzamento verso una politica di dialogo con le altre Religioni, tale per cui Giovanni Paolo II nel 1983 arrivò a predicare in una Cattedrale luterana e, in seguito, partecipò a Riti che la San Pio X ritenne “pagani” durante i viaggi apostolici in Togo e in India.

Il secondo elemento riguardava, invece, la Fraternità, il cui messaggio tradizionalista stava diffondendosi con sempre maggior forza. Il 29 giugno 1983 Monsignor Lefebvre lasciò l’incarico di Superiore della Fraternità a Don Franz Schmidberger, precedentemente eletto suo Vicario generale dal capitolo del 1982 e, pur rimanendo a tutti gli effetti l'indiscusso capo carismatico della San Pio X, si dedicò con particolare impegno all’opera di “ri-evangelizzazione” della Chiesa.

Quello stesso anno, il Presule brasiliano Antônio de Castro Mayer, già dai tempi del Vaticano II vicinissimo alle posizioni lefebvriane nell’Ordo Internationalis Patrum, dopo essersi dimesso nel 1981 dal suo incarico di Vescovo di Campos, nella cui funzione si era sempre rifiutato di accogliere il “Novus Ordo Missae”, ma pur mantenendo la carica di Ordinario Diocesano, istituì l'“Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney” per consentire la formazione tradizionale dei suoi 400.000 fedeli: il 21 novembre 1983 Lefebvre e de Castro Mayer scrissero al Papa una lettera aperta denunciando la condizione di avvilimento della “vera Chiesa” di fronte all’ecumenismo imperante, ma non ottennero risposta. Gli stessi argomenti espressi nella lettera andarono a formare la spina dorsale di un testo di Lefebvre del marzo 1985, Lettera Aperta ai Cattolici Perplessi, che risultò un notevole successo editoriale. Ancora nel 1985 (31 agosto), Monsignor Lefebvre e Monsignor de Castro Mayer mandarono al Papa una nuova e solenne messa in guardia e il 6 novembre successivo una lista di "Dubbi" fu rimessa alla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ma non si ebbe alcuna risposta da parte della Santa Sede, così come nessuna risposta ottenne una nuova dichiarazione congiunta dei due Prelati del 2 dicembre 1986.

Infine, nel giugno 1987, Lefebvre pubbicò un nuovo libro, dai toni molto più duri verso il Vaticano già a partire dal titolo, Ils l’Ont Découronné, in cui, tra l’altro, si difende l’ortodossia di uno stato cattolico confessionale, e la stessa durezza di toni emerse anche in una “Lettera ai futuri Vescovi” del 23 agosto dello stesso anno in cui si legge: “La Sede di Pietro e i posti di autorità in Roma essendo occupati da anticristi, la distruzione del Regno di Nostro Signore viene condotta rapidamente anche dentro il Suo Corpo Mistico quaggiù, specialmente attraverso la corruzione della Santa Messa che è sia la splendida espressione del trionfo di Nostro Signore sulla Croce — Regnavit a Ligno Deus — sia la sorgente dell’estensione del Suo regno sulle anime e sulle società”.

Nonostante tutto ciò, i tentativi di dialogo continuavano, probabilmente per almeno due ragioni:

1)la Fraternità stava continuando ad espandersi in tutto il mondo, con migliaia di fedeli e, oltre alla Casa Generalizia di Ecône, sei Seminari nella Svizzera tedesca (1975), in Germania (1978), negli Stati Uniti (1974), in Argentina (1979), in Francia (1986) e in Australia (1988);

2)Monsignor Lefebvre e i suoi seguaci non avevano mai negato il primato petrino e non avevano mai dichiarato il Papa eretico (come alcuni sedevacantisti), pur dissenziendo profondamente su numerose interpretazioni papali.

Il maggiore tentativo di riconciliazione tra la Santa Sede e Lefebvre fu compiuto nel 1988 a seguito di una visita apostolica del Cardinale Edouard Gagnon alla F.S.S.P.X del novembre-dicembre 1987 e dell’impressione molto positiva del Cardinale sull’educazione sacerdotale impartita ad Ecône: l’8 aprile 1988 una lettera di Papa Giovanni Paolo II al Cardinal Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, disegnava una proposta che permettesse alla FSSPX di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede apostolica e, su questa base, si ebbero alcuni incontri tra due apposite delegazioni.

Tali incontri portarono ad un accordo su un protocollo d’intesa, firmato il 5 maggio 1988 da Lefebvre e dal Cardinal Ratzinger, e riguardante l'utilizzo dei Libri liturgici approvati nel 1962, la costituzione della F.S.S.P.X in “Società di vita apostolica” con particolari diritti e prerogative e possibilmente guidata da un Vescovo, una dichiarazione di ordine dottrinale e il progetto di un dispositivo giuridico e di misure destinate a regolare la situazione canonica della FSSPX e delle persone a essa collegate, oltre che l’ipotesi di creazione di una Commissione vaticana per coordinare i rapporti con i Dicasteri della Curia romana e con i Vescovi diocesani.

In cambio, Lefebvre, a nome suo e della F.S.S.P.X, prometteva obbedienza alla Chiesa e al Papa, dichiarava di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici e accettava in particolare la “Sezione XXV” della Lumen Gentium sul Magistero pontificio, riconoscendo la validità dei nuovi riti della Messa.

Il giorno successivo alla firma, però, Lefebvre, vedendosi rifiutata l’autorizzazione a ordinare un Vescovo che gli succedesse nella Fraternità, ritrattò, affermando di essere caduto in trappola.

Per evitare che il Vescovo procedesse con tale Ordinazione, fissata per il 29 giugno, compiendo così un atto scismatico, il 24 maggio 1988 Papa Giovanni Paolo II concesse finalmente l'autorizzazione all’Ordinazione per il 15 agosto ma Lefebvre rispose per iscritto che necessitava di non uno ma tre Vescovi, e che intendeva ugualmente consacrarli il 29 giugno.
A questo punto, la frattura definitiva era improrogabile.

Il Cardinale Ratzinger rispose che, permanendo questo atteggiamento di disobbedienza, anche il permesso di consacrazione di un Vescovo il 15 agosto sarebbe stato ritirato, mentre Lefebvre, ritornato in Svizzera, mettendo in discussione il protocollo insisteva sulla necessità di ordinare Vescovi tre Sacerdoti della Fraternità entro il 30 giugno 1988 e chiedeva di avere la maggioranza dei membri della istituenda Commissione romana.

Di fronte al rifiuto di Roma su questi punti e all'invito a rimettersi in piena obbedienza alle decisioni papali, Lefebvre, in una lettera del 2 giugno, esprimeva l’opinione che il momento di una collaborazione franca e efficace non fosse ancora giunto e dichiarava di voler procedere alle Ordinazioni episcopali anche senza mandato pontificio.

Perché Lefebvre aveva mandato a monte il paziente lavoro del Cardinal Ratzinger?

La risposta più probabilie è che il Vescovo non si fidasse dei suoi interlocutori: il Cardinale Gagnon, durante la sua visita apostolica a Ecône, aveva fatto intendere che non erano stati trovati dei Sacerdoti con profilo episcopale e Lefebvre temeva che Ratzinger avrebbe cercato il suo successore fuori dalla San Pio X, ma è anche possibile che Lefebvre stesso avesse semplicemente dovuto cedere all’ala più oltranzista della Fraternità, che non voleva nessun accordo con una Chiesa che romana che vedeva come “eretica”.

In ogni caso, nonostante il 9 giugno il Papa chiedesse ancora una volta a Lefebvre di non procedere con un atto scismatico, il 15 giugno 1988 il Vescovo annunciò in una conferenza stampa i nomi dei Sacerdoti che intende ordinare Vescovi e, nonostante un'ammonizione formale del 17 giugno, il 30 giugno 1988 ordinò quattro Vescovi (uno in più di quanto annunciato): Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, avendo per co-consacrante Monsignor de Castro Mayer.

Essendo l’Ordinazione, ai sensi del canone 751 del Codex Iuris Canonici, un atto scismatico (dovuto, secondo quanto scritto nella Ecclesia Dei Adflicta da Papa Giovanni Paolo II il 2 giugno di quell’anno ad un'“incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione”), essa portò ipso facto alla scomunica “latae sententiae”, formalizzata il 30 giugno a firma del Cardinal Bernardin Gantin, dei due Vescovi consacranti (Marcel Lefebvre e Antônio de Castro Mayer, quest'ultimo in via “presuntiva”) ed dei quattro Vescovi appena consacrati, la cui consacrazione, per altro, a norma del Codice di Diritto Canonico, era valida anche se illecita.
In realtà, la situazione era molto complicata. Lefebvre da subito dichiarò di non aver ritirato la sua sottomissione al Papa e che i canoni 1323 e 1324 del Codice lo assolvevano dall’accusa di scisma, dal momento che in particolare il canone 1324 prevede che quando qualcuno creda erroneamente che vi sia uno stato di necessità che lo spinge a compiere un atto canonicamente illegale (anche se la sua ignoranza su questo punto è colpevole e sempre a condizione che l'atto in questione non è di per sé malvagio o tendente alla dannazione delle anime), la pena canonica per l'atto in questione debba essere ridotta o sostituita e le sanzioni “latae sententiae” non si applichino. La Santa Sede respinse questo argomento come irrilevante, sia perché Lefebvre era stato esplicitamente ammonito in precedenza, sia perché, in applicazione del canone 1325, l'ignoranza supina non fornisce alcuna difesa (sebbene Lefebvre abbia sostenuto che la F.S.S.P.X non abbia mai invocato l’ignoranza ma semplicemente la necessità).

Inoltre, moltri Ecclesiastici e avvocati hanno in seguito affermato che la Consacrazione non sia stata un atto in sé scismatico visto che Lefebvre stava semplicemente consacrando Vescovi ausiliari e non tentando di creare una Chiesa parallela (così secondo l’opinione del Cardinal Castrillón Hoyos, del canonista Conte Neri Capponi, di Fr. Gerald Murray della Catholic University of America, di Fr. Patrick Valdini dell'Istituto Cattolico di Parigi, e del Prof. Karl-Theodor Geringer e di Padre Rudolf Kaschewski dell'Università di Monaco, sebbene Murray e il Prof. Geringer abbiano poi dichiarato che le loro opinioni sono state travisate). In effetti, la Santa Sede ha specificato che Mons. Lefebvre ha commesso un atto scismatico ma che non ha creato una Chiesa scismatica, il che implicherebbe che la Consacrazione non sia stata un atto completamente scismatico sebbene la Curia abbia in seguito specificato che le espressioni usate da molti aderenti della F.S.S.P.X fossero indicative di un personale “ritiro dalla sottomissione al Sommo Pontefice o dalla comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti”, che, dunque, essi rientrassero nella definizione di scisma del canone 751.

In ogni caso, la scomunica di Lefebvre portò a numerose defezioni di Ecclesiastici che, pur vicini alle posizioni tradizionaliste o addirittura organici alla San Pio X, non ritenevano giusto allontanarsi dalla Chiesa madre e cominciarono a fondare Fraternità separate e in comunione con Roma.

La situazione rimase in stallo fino alla morte, nel 1991, all’età di 85 anni, di Monsignor Lefebvre, la cui salma, per altro, fu benedetta da tutti i Sacerdoti presenti ai funerali (inclusi gli inviati della Santa Sede) e la cui parabola esistenziale è certamente ben riassunta nell’incisione da lui voluta sulla sua lapide: “Tradidi quod et accepi” (“Ho trasmesso solo ciò che ho ricevuto” - I Cor. 15:3).

Quello stesso anno moriva anche Monsignor de Castro Mayer, che venne sostituito alla guida della “Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney” da Monsignor Licínio Rangel, consacrato Vescovo da tre dei quattro Presuli consacrati illecitamente da Monsignor Lefebvre. Dopo dieci anni di amministrazione, il 15 agosto 2001, Monsignor Rangel e tutti i membri dell'Unione inviarono a Papa Giovanni Paolo II la richiesta di essere riammessi in comunione con la Santa Sede, richiesta che venne accolta il successivo 25 dicembre e che portò all’erezione, il 18 gennaio 2002, dell’“Amministrazione Apostolica Personale San Giovanni Maria Vianney”, Prelatura personale affidata allo guida dello stesso Monsignor Rangel e, dopo la sua morte (16 dicembre 2002), al suo successore Monsignor Fernando Arêas Rifan.

Con il rientro dei fedeli della Diocesi di Campos in seno alla Chiesa cattolica, la Fraternità San Pio X rimaneva, per molti versi, un caso isolato nel quadro cristiano, con la sua posizione un po’ ambigua di accettazione della legittima e regolare successione petrina vigente ma di rifiuto della teologia vaticana post-conciliare.

Si trattava, però, di una “anomalia” di notevole entità, anche dal punto di vista prettamente quantitativo con un “patrimonio” che comprendeva (e comprende tutto’ora), tendendo conto di tutti gli organismi affiliati, 1 Casa Generalizia, 6 Seminari, 6 case di formazione, 17 Distretti e Case autonome, 159 Priorati, 725 Chiese, Cappelle e centri di Messa, 2 istituti universitari, 88 scuole, 7 case di riposo, 4 Vescovi, 522 Sacerdoti, 215 seminaristi, 41 preseminaristi, 117 Frati, 164 Suore, 80 Oblate e 5 Conventi di Carmelitane.

Il maggior problema, in ogni caso, rimane a tutt’oggi lo stato di “indeterminatezza” in cui l’intera situazione impantanata. Qualche notazione può permettere di meglio comprenderne l’insostenibilità:

ai sensi del Codice di Diritto Canonico, le Messe e i Sacramenti della San Pio X per i quali è prevista la necessità della sola “Potestas Ordinis” dei Sacerdoti (anche se illecitamente ordinati) sono validi sebbene illeciti come contrari al diritto della Chiesa, mentre quei Sacramenti per i quali è prevista anche la “Potestas jurisditionis” (confessione e matrimonio) sono dubbi;

i Sacerdoti “lefebvriani” e gli stessi Vescovi ordinati da Vescovi della F.S.S.P.X sono ordinati validamente, stante il fatto che le Ordinazioni, anche se compiute da Vescovi scomunicati, sono pienamente valide anche se non sono legittime;

la partecipazione dei fedeli alle Celebrazioni della F.S.S.P.X è stata a lungo considerata illecita e ammessa solo in casi di necessità, cosicché chi vi partecipava senza condividere formalmente le posizioni della comunità lefebvriana nei riguardi del Papa non incorreva nella pena della scomunica, che, però, poteva insorgere condividendo le idee del celebrante, ma, in seguito, la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", in due lettere datate 18 gennaio 2003 e 5 settembre 2005, ha affermato che i fedeli, assistendo alle Messe della Fraternità Sacerdotale San Pio X, non sono scomunicati, come non lo sono i Sacerdoti che celebrano (che sono però sospesi), cosicché i fedeli possono assolvere all'obbligo domenicale partecipando ad una Messa celebrata da un Prete della Fraternità e contribuire alla questua senza commettere peccato.

Certamente anche per porre fine a questa situazione piuttosto assurda, la Santa Sede ha tentato lungamente una mediazione, soprattutto tramite il Prefetto della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” Cardinal Darío Castrillón Hoyos, pur ponendo come elemento ineludibile per la reintegrazione della San Pio X nella Chiesa l’accettazione “in toto” dei dettati del Concilio Vaticano II.

Nonostante il successore di Monsignor Lefebvre alla quida della F.S.S.P.X, Monsignor Bernard Fellay, abbia più volte sostenuto che nessuna accettazione delle regole conciliari rifiutate possa essere fatta dalla Fraternità per motivi teologici e di coscienza, Papa Benedetto XVI ha, in molte occasioni, compiuto numerosi passi di “riavvicinamento”: certamente in questa direzione sono andate la Summorum Pontificum di reintroduzione della possibilità di Messa in latino e il documento Risposte a Quesiti Riguardanti Alcuni Aspetti Circa la Dottrina sulla Chiesa della Congregazione per la Dottrina della Fede, entrambi del 2008.

Forse proprio alla luce di tali documento (oltre che per la piuttosto netta emorragia di aderenti rientranti, come, ad esempio i Monaci Redentoristi Transalpini il 26 giugno 2008, nelle fila della Cattolicità), nel giugno 2008 i lefebvriani hanno chiesto la revoca della scomunica, con l'impegno a rispondere entro il 28 giugno 2008 alle proposte presentate per conto di Benedetto XVI sempre dal Cardinal Castrillón Hoyos e comprendenti cinque punti da sottoscrivere.

Nonostante i cinque punti non venissero accettati dalla Fraternità, ugualmente, il 21 gennaio 2009, tramite decreto del Prefetto della Congregazione per i Vescovi Cardinal Giovanni Battista Re (protocollo 00145-01.02), il Sommo Pontefice ha rimesso la scomunica ai Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, aprendo la possibilità per la comunità tradizionalista di inquadrarsi come prelatura personale (come già accaduto per l’“Opus Dei”).

L’atto papale ha suscitato, come è noto, moltissime polemiche, soprattutto quando è stato seguito, il 2 luglio 2009, dal motu proprio Ecclesiae Unitatem che, facendo confluire la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” (che era, in pratica, stata creata proprio per tentare di regolare i rapporti con la San Pio X) nella Congregazione per la Dottrina della Fede, ha ribadito la volontà papale di reinglobare la Fraternità nella Chiesa.
Quali sono state le ragioni delle polemiche? Essenzialmente tre sono i punti controversi:

1)la mancata accettazione dei testi sull’ecumenismo da parte della Casa Generalizia di Ecône, con attacchi contro ogni attività papale legata al dialogo con altre Religioni che continuano a permanere da parte delle più alte gerarchie della Fraternità (non ultima la dichiarazione all'Adnkronos di Don Pierpaolo Petrucci, Priore del Priorato di Rimini della Fraternità, che, una settimana dopo la revoca della scomunica, si è detto “scandalizzato” dalla preghiera del Papa nella Moschea Blu di Istambul);

2)gli intensi rapporti tra l'ambiente lefebvriano e gruppi politici dell’estrema destra cattolica, dal “Fronte Nazionale” di Jean-Marie Le Pen in Francia, alla “Liga Polskich Rodzin” (Lega delle Famiglie Polacche) e “Narodowe Odrodzenie Polski” (Partito della Rinascita Polacca) in Polonia, da “Forza Nuova” in Italia, all’americana “Legion of St Louis” (LSL);

3)l’accusa di antisemitismo lanciata dall’“Anti-Defamation League” e dal “Simon Wiesenthal Center” contro la Fraternità, accusa che non è certamente stata smentita dalla dichiarazione del 1° novembre 2008 (ma trasmessa il 21 gennaio 2009) alla televisione svedese “SVT” di Monsignor Richard Williamson (probabilmente il più estremista tra i quattro Vescovi ordinati da Lefebvre) in cui il prelato ha affermato che “non c’è stato nessun Ebreo ucciso nelle camere a gas. Sono tutte bugie, bugie, bugie” o, in Italia, dalle dichiarazioni paritetiche di Don Floriano Abrahamowicz, a capo della comunità lefevriana del Nord-Est del gennaio 2009, entrambe causa di grave imbarazzo per la Curia e di frizioni tra il Vaticano e le Comunità ebraiche.

Che dire riguardo a tali polemiche?

Per quanto riguarda le dichiarazioni di Williamson e Abrahamowicz, senza nulla togliere alla loro gravità, bisogna tener presente che il Vescovo è stato rimosso dalla Fraternità stessa dalla sua posizione di direttore del Seminario argentino lefebvriano che presiedeva e che Abrahamowicz è stato addirittura espulso dalla San Pio X. Per altro, giova ricordare che un certo grado di anti-israelitismo era connaturato nella Chiesa cattolica preconciliare a cui la Fraternità si rifà, ma che, in ogni caso, salvo casi estremi (e chiaramente patologici) anti-israelitismo e antisemitismo sono due cose ben distinte, l’una relativa al campo religioso e l’altra al campo razziale.

Quanto alle connessioni tra lefebvriani e desta estrema, pur essendo ovvio che movimenti tradizionalisti di vario stampo tendano a collegarsi tra loro, è assolutamente indubbio che la questione politica non pertenga minimamente (proprio in virtù della chiara distinzione conciliare tra Stato e Religione) alla sfera della Fede e che, quindi, sia totalmente ininfluente ai fini della riaccettazione dei lefebvriani in seno alla Chiesa.

Infine, il vero nodo riguarda la questione dogmatica e teologica, che, a tutt’oggi, risulta irrisolta. Va, però, notato che il testo della Ecclesiae Unitatem è molto chiaro a riguardo, laddove il Sommo Pontefice afferma: “le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero”.

Insomma, la revoca della scomunica è solo un primo passo verso la chiarificazione delle posizioni, una chiarificazione doverosa dal punto di vista ecclesiastico e che, si spera, avverrà tramite i colloqui dottrinali iniziati il 26 ottobre 2009 tra una Commissione vaticana (composta dall’Arcivescovo Luis Francisco Ladaria, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, dal gesuita Padre Karl Becker, Professore emerito della Gregoriana, dal domenicano Padre Charles Morerod, Rettore dell’Angelicum e Segretario della Pontificia Commissione teologica internazionale e da Monsignor Fernando Ocariz, Vicario generale dell’Opus Dei) e una Commissione della Fraternità (composta dal Vescovo Alfonso de Galarreta e dai Sacerdoti Patrick de La Rocque, Jean-Michel Gleize e Benoit de Jorna).
Certamente le difficoltà continuano a non mancare...

 

Riferimenti bibliografici:

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D. Davies, The Lefebvrian Heresy, Parker&Loat 2009
P. Héduy, Monseigneur Lefebvre et la Fraternité, Société de Production Littéraire 1991
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C.P. Nemeth, The Case of Archbishop Marcel Lefebvre: Trial by Canon Law, Angelus Press 1994
L. Perrin, L'Affaire Lefebvre, Fides 1989
B. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre, Angelus Press 2004
D.A. White, The Mouth of the Lion: Bishop Antonio de Castro Mayer & the Last Catholic Diocese, Angelus Press 1998



IL VESCOVO WILLIAMSON DELLA FSSPX NEGA L'ESISTENZA DELLE CAMERE A GAS NELL'OLOCAUSTO DI 6.000.000 DI EBREI





CIO' CHE E' SUCCESSO REALMENTE.    IN FRANCIA GLI ORRORI DEL NAZISMO HANNO TROVATO DEI COLLABORATORI NEGLI STESSI FRANCESI. LA REALTA' DELLE CAMERE A GAS....AUSCHWITZ.
















LE PROVE DEGLI ORRORI DEL NAZISMO AL PROCESSO DI NORIMBERGA




I RAPPORTI DELLA FSSPX CON LA ESTREMA DESTRA FRANCESE DI  JEAN-MARIE LE PEN E CON LA ESTREMA DESTRA ITALIANA  DI FORZA NUOVA E IL MOVIMENTO CRISTIANO RADICALE MILITIA CHRISTI ,ANTI-SEMITA E XENOFOBO.
 DON FLORIANO ABRAMOVITZ DELLA FSSPX AFFERMA CHE ERIC PRIEBKE (AUTORE DEL MASSACRO DELLE ARDEATINE) NON E' STATO UN BOIA....
LA NUOVA LEPANTO CONTRO L'ISLAM, RAZZISMO, SALUTI NAZISTI A BRACCIO TESO. LA FESTA PER LA "MARCIA SU ROMA"....

LE PROVE CHE LA FSSPX E'  SOSTENUTA DA GRUPPI NAZI-FASCISTI E ANTI-SEMITI NEGAZIONISTI DELLA SCHOAH


TZ



"Io so che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dire se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione". Lo dice don Floriano Abrahamowicz, capo della comunità lefebvriana del Nordest, in un'intervista alla Tribuna di Treviso. "Tutta questa polemica sulle esternazioni di monsignor Williamson riguardo l'esistenza delle camere a gas - afferma il sacerdote tradizionalista - è una potentissima strumentalizzazionein funzione anti-Vaticano. Williamson ha semplicemente espresso il suo dubbio e la sua negazione non tanto dell'Olocausto, come falsamente dicono i giornali, ma dell'aspetto tecnico delle camere a gas". Secondo don Floriano, "il negazionismo è un falso problema perché si sofferma su metodi e cifre e non risponde alla sostanza del problema". "Se monsignor Williamson avesse negato alla televisione il genocidio di un milione e 200 mila armeni da parte dei turchi - sostiene ancora il sacerdote - non penso che tutti i giornali avrebbero parlato delle sue dichiarazioni nei termini in cui lo stanno facendo ora".

GALAN, CHI NEGA CAMERE A GAS TOLGA L'ABITO TALARE - Secondo il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, i preti che negano l'Olocausto dovrebbero togliersi l'abito talare. "Non so se si possa parlare d'ignoranza o di pura follia o di un'aberrante scelta politica - afferma Galan, commentando le dichiarazioni del capo della comunità lefebvriana del Nordest don Floriano Abrahamowicz - comunque i preti che negano l'Olocausto, che negano le camere a gas, farebbero bene a togliersi di dosso quell'abito e se qualcuno di questi si trova in Veneto, è il caso di don Abrahamowicz, farebbero meglio ad andarsene via, magari rifugiandosi in uno dei campi di sterminio nazisti".

VELTRONI, NEGAZIONISMO ANCORA PIU' INSOPPORTABILE - "Ho sentito che un sacerdote lefebvriano sostiene che le camere a gas servivano per disinfettare. Sono forme di barbarie, il negazionismo è tanto più insopportabile se pronunciato da persone che dovrebbero avere una cura particolare dell'umanita". Lo afferma il segretario del Pd Walter Veltroni in un incontro con gli amministratori locali in provincia di Oristano.

CARD.TETTAMANZI, PAROLE PAPA CHIARE ED ESPLICITE - Sui rapporti con gli ebrei e con i lefebvriani le parole del Papa sono state "chiare ed esplicite" tanto da spegnere ogni interrogativo al riguardo: lo ha detto l'arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, a margine della presentazione di un suo libro oggi a Roma. Al cardinale è stato chiesto anche un commento sulle parole negazioniste pronunciate in questi giorni anche da un sacerdote lefebvriano italiano della diocesi di Treviso. Il porporato ha ribadito che "il Santo Padre ha fatto chiarezza su tutto" facendo capire che simili posizioni nella chiesa cattolica restano casi estremamente isolati e che nella sua diocesi "grazie a Dio non ne ho trovato uno". Rispondendo poi a una domanda sui rapporti con gli ebrei, Tettamanzi ha detto che "ogni cosa viene superata e il dialogo può andare avanti nella verità, e se va avanti nella verità, darà sicuramente frutti".
La revoca della scomunica concessa dal Papa ai lefebvriani - ha aggiunto Tettamanzi - è comunque un "atto di misericordia, che è qualcosa che non cede al compromesso". In questa chiave va letto a suo giudizio anche il richiamo del pontefice al riconoscimento del Concilio Vaticano II: "il problema è l'adesione ai documenti - ha detto l'arcivescovo di Milano - sui quali sono stati fatti alcuni passi avanti. Su altri ne devono ancora essere fatti. La verità dell'uomo - ha concluso - non si risolve con un gesto, ma è un cammino che procede un passo dopo l'altro".



Chi nega la Shoah commette un reato,


e perciò va contrastato sul piano legale


di  Donatella Di Cesare

A differenza di quel che è avvenuto in altri Paesi europei, in Francia e in Germania, non esiste in
Italia una legge che faccia del negazionismo un crimine. Il fenomeno sembrava, fino a qualche anno
fa, non avere assunto proporzioni di rilievo. E perciò era diffusa la tendenza a isolare i singoli,
sporadici episodi, interpretati come spiacevoli incidenti, dovuti in gran parte a ignoranza,
disinformazione, oblio. Questa tendenza, improntata a un ottimismo intellettualistico, resta peraltro
tenacemente radicata. Come se la questione si riducesse al sapere, alla conoscenza ‘oggettiva’ dei
fatti. Implicitamente ciò vuol dire che i negazionisti negano perché non sanno. Se sapessero, non
negherebbero. In tal modo il negazionista appare un residuo arcaico e inesplicabile del passato
fascismo.
Di qui il fastidio e l’imbarazzo, ma anche il senso di impotenza, verso i casi più recenti di
negazionisti universitari o di insegnanti che si avvalgono della cattedra per negare. Che posizione
assumere? Che misure adottare? Se si confida nella formazione, come rifiutare la parola a chi tiene
una lezione sostenendo l’inesistenza delle camere a gas? Non si finisce per intaccare
pericolosamente la libertà di opinione?
La polarizzazione, molto italiana, che si è prodotta tra politici e storici, scaturisce dal modo,
discutibile e inadeguato, di porre la questione. Anzitutto perché la risposta giuridica e politica non è
alternativa a quella culturale; l’una non esclude l’altra. E semmai sarebbe auspicabile una sinergia.
Ma a ciò si aggiunge la carenza effettiva di un ampio dibattito pubblico che abbia per protagonisti
gli intellettuali. Affidare tutto agli storici, come avviene nel contesto italiano, è un rischio.
Si assume per questa via che gli storici siano ‘esperti’ del settore, che la storia abbia una
‘oggettività’ scientifica che si impone da sé. Si tratterebbe allora di dimostrare, provare e aumentare
quantitativamente il materiale. Ma la storia è racconto, e decisivo, nel racconto, è come vengono
interpretati i fatti. È una terribile ingenuità credere che con un dato in più si smonti il dispositivo del
negazionismo. I limiti della ‘dimostrazione’ storica vengono qui alla luce in modo ineluttabile. La
risposta a chi nega l’annientamento non può essere basata su cifre e dati, su prove e verifiche. I
motivi sono almeno due.Anche di fronte alla prova più schiacciante i negatori continuano a negare. Lo fanno perché
perseguono una strategia precisa. Non esercitano una critica storica, non praticano lo scetticismo
metodico per arrivare, attraverso il dubbio iperbolico, alla certezza. Al contrario, sono armati di
convinzioni al punto di elevare i loro fantasmi a dogmi. Come doberman, chini crudamente
sull’osso che non smettono di rodere, i negatori si attaccano a un piccolo particolare, al brandello di
una prova che alla fine non muterebbe l’entità del crimine. Sono specialisti del rivolgimento
dialettico:  il minuscolo diventa maiuscolo. Loro scopo non è la ricerca, ma semplicemente la
negazione. Ogni argomento diventa strumento per raggiungere il fine: negare l’innegabile delle
camere a gas. Si comprende perché c’è chi ha proposto di parlare di ‘denegazione’ con l’intento di
sottolineare che non si tratta di semplice negazione, ma di rifiuto aprioristico che il negazionista
oppone alla realtà, comunque venga provata, verificata, dimostrata.
Il dibattito storico è votato al naufragio. È impossibile trovare argomenti per confutare il
negazionista che si trincera nel luogo della sua  ‘denegazione’. Ma c’è di più. Se la tesi non è
confutabile, il dibattito storico finisce per legittimarla. Ogni discussione, ogni controversia,
presuppone una sorta di reciprocità, ammette una liceità e fondatezza delle tesi opposte. Chi discute
con il negazionista sul piano dell’indagine storica, inoltrandosi nel particolare, se per un verso
ottiene solo una negazione, per l’altro accetta e conforta  ― inconsapevolmente ― l’impostura. 
Ma il negazionismo è una tesi da controbattere? Si può davvero parlare di tesi o anche solo
di ‘opinione’? E dunque rientra nella libertà di opinione? A ben guardare no.
Il negazionismo è la
soppressione stessa delle  condizioni per un confronto; abolisce e nullifica la realtà condivisa nel
dialogo da cui scaturisce la comunità democratica. In tal senso il negazionismo pone un problema
che non è solo logico, ma è anche deontologico, etico, politico. Chi nega, in effetti annulla e
cancella il luogo della frattura da cui, con fatica, dopo la Shoah, sono sorte in Europa le democrazie,
ne pregiudica il fondamento e il legame.
Il crimine del negazionismo non è, e non può essere, reato di opinione, perché il
negazionismo non è un’opinione, non è un’ipotesi interpretativa come un’altra. Il motivo della
libertà di opinione, sollevato da chi in Italia si è dichiarato contrario alla legge, perde qui valore. Per
contro, accettare il negazionismo come ‘opinione’ vuol dire accoglierlo nell’ambito del discorso
democratico. È venuto però il momento di riconoscere che il negazionismo è un totalitarismo del
pensiero perseguito in una salda continuità con il totalitarismo del passato.
L’opinione dei negazionisti è la  ‘verità’ di Hitler.  Non deve sfuggire la complicità tra
l’annientamento e la  negazione, tra i nazisti di ieri e gli odierni  “assassini della memoria” ―
espressione di Yerushalmi ripresa da Vidal-Naquet. Non si tratta allora di introdurre prove e argomenti per confutare una tesi che è una negazione. Si tratta invece, a partire dall’‘accaduto’, che
si sottrae all’obliquità delle domande, di interrogarsi su questo nesso.
La prima questione riguarda i negazionisti. Chi sono oggi coloro che dichiarano che le camere a
gas non hanno avuto luogo? Chi sono coloro che tentano di organizzare una menzogna così
enorme? I negazionisti sono gli hitleriani della seconda e terza generazione. Sono andati costruendo
il luogo della loro negazione nell’ombra propizia di decenni. Hanno approfittato di un
atteggiamento eccessivamente difensivo, di un racconto affidato alla memoria, alla testimonianza,
all’archivio e al lavoro degli storici. Come se si trattasse solo di passato, non anche, e soprattutto, di
futuro. Hanno fatto buon uso di silenzi e rimozioni, di insabbiamenti e amnesie, di uno sterminio
che non riusciva a essere articolato e scandito a chiare lettere.
I primi negazionisti sono stati i nazisti stessi. Già nell’estate del 1944 le SS cominciarono a
cancellare ad Auschwitz le tracce dei loro crimini bruciando gli elenchi dei convogli di ebrei
deportati; nel 1945 fecero saltare le camere a gas e i crematori. Il sogno di Hitler era un mondo
judenrein, un mondo ‘puro’, ‘depurato’ dagli ebrei. Gli assassini, si sa, cercano di far sparire le
tracce del delitto. Il totalitarismo nazista presenta una novità: mira a cancellare in modo sistematico
non solo le tracce del delitto, ma anche quelle delle vittime. Non si accontenta di negare i crimini,
ma nega che le vittime abbiano mai potuto esistere. Di qui  la ‘menzogna’ dei sei milioni ribadita
dai negazionisti di oggi che, facendo ciò, si pongono esplicitamente nel solco di Hitler. Con la loro
negazione intendono perseguire la politica di annientamento, in certo modo portarla a termine.
Che cosa significa infatti negare l’esistenza delle camere a gas? Significa insinuare che
Hitler non abbia raggiunto la meta, che la guerra totale contro gli ebrei non sia finita. Vuol dire
assumerne la necessità ― ontologica ― nel domani. Come ha scritto Alain Badiou, la negazione di
quel che ha avuto luogo è il “dover essere dell’antisemitismo assoluto”. I sopravvissuti alla Shoah
sono perciò intollerabili per i negazionisti essendo ebrei che vivono malgrado e oltre la Shoah.    
I negazionisti odierni, i nazisti universitari, hanno prosperato nelle accademie, in quelle
italiane non meno che in quelle tedesche e francesi, dove per troppo tempo ha avuto fortuna il
discutibile veto di Theodor W. Adorno e, al cospetto di una assolutizzazione del male radicale, si è
imposto il silenzio del dire e del comprendere. Ma dal non dire al negare il passo è breve. E facendo
della Shoah un indicibile incomprensibile, la si è relegata nel dominio del mistero, nella sfera
occulta della mistica, la si è resa un nulla. Ha contribuito l’argomento della ‘unicità’ che ha finito
per astrarla dalla storia. Articolata nel linguaggio,  inserita nella storia di cui fa parte, la Shoah è
evento  unprecedented, “senza precedenti” ― come suggerisce Emil Fackenheim ― affinché si sia
spinti a cercare precedenti nel passato e si vigili perché non divenga precedente nel futuro.I negazionisti hanno fatto buon uso anche della definizione sbrigativa e pericolosa del
nazismo come  ‘follia’. Senza dubbio non c’è stato finora  ― a parte eccezioni come quella di
Emmanuel Lévinas  ― l’interesse e il bisogno di interrogarsi seriamente sul nazismo come
fenomeno politico, filosofico, culturale. Così i negazionisti hanno trovato e trovano complicità,
udienza e  audience, si avvalgono di una orchestrazione mediatica, traggono profitto da un
nazionalismo razzista che ha il gusto per il marchio e lo statuto speciale. La politica del nazismo va
ancora indagata e messa a fuoco; questa politica non è passata e superata; al contrario ha un
rapporto di collusione con le politiche criminali.
Il nesso tra l’annientamento perseguito da Hitler e la negazione dei nazisti di oggi legittima e
anzi richiede una legge analoga a quella che esiste in Francia dal 1990 e in Germania dove, dopo
anni di rimozione, nel giugno del 1985 è stata varata la legge di modifica del codice penale n. 21
che punisce come oltraggio alle vittime la negazione dei crimini nazisti. Risultato anche di un aspro
dibattito, noto come Historikerstreit, a cui hanno partecipato storici, intellettuali e filosofi, la legge
stabilisce che la “menzogna su Auschwitz” è illegale. Integrazioni sono state apportate nel 1992, nel
2002 e nel 2005 mettendo l’accento sulla  Volksverhetzung, cioè sull’incitamento di parte della
popolazione all’odio e alla violenza.
Quali sono gli effetti? La legge tedesca non ha ovviamente eliminato il fenomeno, ma ha
sottratto ai negazionisti lo spazio pubblico: quello delle università, dei giornali, dei media. Ha così
contribuito a ridurne drasticamente le pubblicazioni e ha dato i mezzi sia per intervenire nella rete
sia per sciogliere le associazioni che sono il serbatoio degli hitleriani di nuova generazione.
Soprattutto ha marcato un limite che, lungi dall’essere una intrusione inopportuna nel dominio
del pensiero, salvaguarda le condizioni di possibilità del discorso democratico che con difficoltà ha
ripreso a svilupparsi a partire dal blocco di orrore che nel secolo scorso ha incrinato la storia
mondiale. È necessario dunque che la legge, di cui in Italia si è fatto promotore Riccardo Pacifici,
sanzioni coloro che oggi fanno apologia del crimine negandone l’esistenza e che così intendono
offrire a Hitler una vittoria postuma.
Lasciarli nelle loro nicchie? Ne hanno anche troppe nei meandri della rete. Là dove reale e
virtuale, prova e rumore, ragionevole e assurdo, tutto è equiparato, i negazionisti trovano estro e
ispirazione per rendere attuali e concreti i loro fantasmi. D’altronde un malinteso senso del perdono
e dell’oblio ha fornito da tempo un terreno fertile al fiorire della loro pubblicistica.
A questo proposito varrebbe la pena chiedersi perché una legge contro la  “menzogna su
Auschwitz”, come la chiamano i tedeschi, o contro il negazionismo, non esista in Italia. Accanto al
proverbiale disincanto cinico verso la legge (inefficace perché spesso non rispettata), c’è una
profonda influenza cattolica che tocca forse anche il mondo ebraico. Se la giustizia non è di questo mondo, a che dovrebbe servire una legge? Se ciò che conta è il perdono, perché mai gli ebrei
dovrebbero chiedere risarcimenti?
Del tutto sbagliato è concepire la legge come una soluzione pratica di tutto, una risposta
definitiva. La legge è uno strumento indispensabile e in nessun modo alternativo alle possibilità
offerte dalla cultura. Si deve sottolineare in tal senso un’altra differenza che allontana l’Italia da
altri Paesi europei. Certamente ha prevalso finora il rito della celebrazione, la vigilanza in alcune
date, ma questo non ha trovato il sostegno di iniziative durature e di largo respiro inserite
stabilmente all’interno delle istituzioni scolastiche e universitarie. Mancano in Italia cicli di lezioni,
corsi di studio, dottorati sulla Shoah (visti anzi con un certo sospetto). Il che è evidente nelle
pubblicazioni dove prevalgono i racconti e scarseggiano le riflessioni. La didattica della Shoah non
si è ancora sviluppata e  ‘come parlarne’ non è davvero ancora un tema. Su tutto ciò si dovrà
intervenire. Perché per smascherare i negazionisti occorre saper scegliere le parole giuste. Jacques
Derrida ha indicato la difficoltà di raccogliere la parola dalla cenere contro  “l’affermazione del
fuoco senza luogo né lutto”.
Ma nel frattempo la  ‘negazione’ deve essere dichiarata crimine, deve essere passibile di
condanna, affinché nel futuro non si lasci scivolare il mondo nel dubbio. Le camere a gas e lo
sterminio degli ebrei d’Europa hanno avuto luogo. Questo luogo non è in questione. Piuttosto in
questione deve essere il luogo di chi lo nega. Perché un mondo in cui venga messa in dubbio
l’esistenza delle camere a gas è un mondo che già consente la politica del crimine, la politica come
crimine.










 Milano - Il presidio di Forza Nuova, una trentina di persone a duecento metri dal teatro Franco Parenti di Milano, è stato sgomberato dalle forze dell'ordine. I militanti sono stati scortati nell'adiacente piazzale Libia, dove erano in corso la manifestazione di Militia Christi, la messa di padre Floriano Abrahamowicz e il presidio dei Cristiano Padani con bandiere leghiste al seguito. Tutti attenti nel dissociarsi gli uni dagli altri. Lo spettacolo di Castellucci è andato in scena poco dopo le 21. Blindatissimo, grazie a polizia e carabinieri, ma poco convincente, stando ai commenti raccolti all'uscita.







QUESTO REPORTAGE DEL PROGRAMMA DELLA TV FRANCESE "GLI INFILTRATI"
(LES INFILTRE'S) ILLUSTRA I RAPPORTI TRA CATTOLICI TRADIZIONALISTI LEFEBVRIANI E GRUPPI DELL'ESTREMA DESTRA. PARTICOLARI RACCAPRICCIANTI: I CAMPI DI ADDESTRAMENTO PARAMILITARI E UNA SCUOLA GESTITA DAI TRADIZIONALISTI CHE INSEGNA L'ODIO RAZZIALE E L'ANTISEMITISMO. 
UN LOCALE CELATO SOTTO UNA CHIESA TRADIZIONALISTA E FORNITO DAI SACERDOTI IN CUI SI INSEGNA L'AUTODIFESA DA UN MILITARE DELL'ARMATA FRANCESE. 
VERI E PROPRI GRUPPI NEO-NAZISTI CHE VANNO A BRACCETTO CON LA MESSA IN LATINO DEI LEFEBVRIANI.
TITOLO:  ALL'ESTREMA DESTRA DEL PADRE (IN FRANCESE).









































INTERVISTA A DON ANDREA GALLO










Qualche pagina da: COME IN TERRA COSI' IN CIELO


II vascello fantasma

Nel 1960 fui nominato cappellano della nave Garaventa, il riformatorio

 temuto da ogni ragazzo genovese.
 Accettai volentieri perché avevo studiato all'Istituto nautico e amavo

 il mare, ero entusiasta di stare con
 questibatôsi, come si chiamavano in dialetto, ovvero monelli, meno

 conosciuti degli scugnizzi o dei gavroche
 
letterari, ma ugualmente fiori di strada, senza casa né famiglia

. Eravamo in porto, nel ventre del vecchio
posamine Crotone concessoci dalla Marina militare e la situazione a

 bordo era delicata.

All'inizio ero addetto alla lettura dei fascicoli, un lavoro noioso perché proprio
 non mi importava
 del loro passato. Mi interessava invece il loro futuro e per questo non credev

o nei metodi repressivi
 che venivano usati. Chi infrangeva le regole doveva fare il giro di chiglia o

 veniva rapato a zero,
 incorreva in punizioni secondo me inutili. Cominciai a farli scendere da

 quel vascello fantasma.
 Li portavo a terra a piccoli gruppi, andavamo al luna park. Una volta due

 ragazzi scapparono.
Il più piccolo raggiunse una zia a Torino, l'altro si diresse in Valle d'Aosta.

 Furono presto ritrovati e
 prima del loro ritorno a bordo dovetti fare una lunga chiacchierata con il

 resto dell'equipaggio che si
 preparava a pestarli perché avevano tradito il cappellano che stava dalla loro

 parte. Li convinsi a non
vendicarmi. Entrai nel magazzino buio della banchina e da dietro una cassa

 spuntò uno dei due fuggitivi.
 Chiuse la porta alle mie spalle e prese una trave. Pensai, stavolta le busco.

 Mi arrivò a un palmo dal naso
 e disse: «Qui non ci vede nessuno. Ora lei mi restituisce le bastonat

perché ho compiuto un'azione malvagia».
 Eccola la scuola di redenzione sul mare: non il collegio correzionale ma
 il rapporto di fiducia.
 La fuga stessa può essere uno strumento pedagogico.

IL PARADISO





(Lc. 23, 39-43)

L’ultima affermazione del Credo suona così: Credo... la vita eterna. Ebbene, esiste una vita eternamente felice che chiamiamo "Paradiso".
Gesù ce ne ha parlato tante volte e ce ne ha voluto dare sicurezza quando, morente sulla croce, disse al ladrone pentito: "Oggi sarai con me in Paradiso" (1); e quando, alla vigilia della sua morte, affermò: "Vado a preparare per voi un posto, affinché dove sono io siate anche voi" (2).
Il celebre scrittore moderno Vittorio Messori sostiene, con forti prove, che la Chiesa Cattolica, tra le tante religioni che esistono, si dimostra l’unica vera religione anche per la sua stupenda escatologia (vale a dire per il suo sublime discorso sugli ultimi avvenimenti dell’uomo: morte, giudizio, inferno, paradiso) e soprattutto per la sua meravigliosa teologia sul Paradiso.




A – IL PARADISO DEI NON CRISTIANI non è Paradiso. Le religioni non cristiane in genere insegnano un Paradiso alquanto materiale o razzista o determinista.
1) Le religioni orientali come l’Induismo, il Buddismo parlano di "reincarnazioni" dell’anima (che sono delle assurdità) e di passaggi in soggiorni con dee e serve compiacenti e poi di dissolvimento nel nirvana o nel nulla.
2) Il Musulmanesimo professa un Paradiso razzista perchè riservato solo ai Maomettani e parla molto di un Paradiso materiale ove vi sono ruscelli di latte, laghetti, giardini, alberi fruttiferi, cavalli, profumi, pranzi succulenti e interminabili. Parla di altri vantaggi che sono soltanto per l’uomo, e perciò ha un marcato colore antifemminista: per esempio, a un semplice beduino mussulmano sono promesse 500 fanciulle, 800 donne sposate e 4.000 vergini! (3)
Allah getta all’inferno tutti coloro che non sono Mussulmani.
3) Le Sette, come quella dei Testimoni di Geova, dei Mormoni, ecc., professano un paradiso spietatamente settario e razzista.
4) Tutte le religioni o chiese protestanti o evangeliche insegnano che Cristo Dio ha fatto e fa ogni cosa, e l’uomo non fa nulla nell’opera della salvezza, perciò hanno come conseguenza inquietante la tenebrosa dottrina della predestinazione che grava senza scampo su ogni escatologia nata dalla così detta riforma protestante.
Lutero, Zuinglio, Enrico VIII e i loro teologi e predicatori non insistevano troppo su questa inevitabile conseguenza della predestinazione per non spaventare (dicevano) i loro fedeli. Invece Calvino fu più sincero, e insisteva nel ripetere: "Per gli uni viene predestinata la vita eterna (o Paradiso), per gli altri la dannazione eterna. Noi non siamo che massa di corruzione, senza diritto a dire nulla. E i nostri meriti e demeriti non influiscono minimamente sulla nostra sorte eterna che viene decisa da Dio, e le nostre eventuali proteste non sono che grugniti di porci". Questa escatologia, che è comune a tutto il Protestantesimo, è spaventosa e terrificante! (4). Tuttavia oggi i fratelli separati protestanti stanno riesaminando le posizioni dei loro Fondatori.






B – IL PARADISO DEI CATTOLICI: è biblico, perfetto, entusiasmante. La Chiesa Cattolica da duemila anni presenta, in base alla Bibbia e alla sana ragione, un Paradiso aperto a tutte le persone, quindi non razzista e non predeterminato. È aperto a tutti, anche a coloro che appartengono ad altre religioni, purché siano in "buona fede" (cioè siano convinti, senza loro colpa, che la religione che professano sia vera) e abbiano volontà retta e collaborino alla grazia di Dio.
Non esiste predestinazione, da parte del Signore, all’inferno o al Paradiso: sarebbe la più grave ingiustizia.




Dio non determina, ma desidera la salvezza e non vuole la dannazione. Gesù, dice la Bibbia, "vuole che tutti gli uomini si salvino". Egli salverà chiunque vuol essere salvato, chiunque liberamente dirà il proprio sì alla sua opera salvifica.
Il Cattolicesimo annuncia, nel nome di Cristo Dio, un Paradiso meraviglioso che appagherà pienamente tutte le più alte e le più nobili aspirazione dell’uomo: aspirazioni della mente, della volontà, del cuore, a vantaggio sia dell’anima come del corpo risuscitato e quindi spiritualizzato.
Nella patria della perfezione non esisterà più il corpo terreno ossia materiale e con esigenze terrestri: cibo, profumo, sesso, denaro, ecc., poiché – come afferma S. Paolo – "è sepolto un corpo materiale e risorgerà un corpo spirituale" (5), e, come dice Gesù, "alla risurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel Cielo" (6).




È indescrivibile l’incanto del Paradiso; i discorsi più alati e gli scritti più sublimi sono appena come piccoli balbettii di lattanti; ma se vogliamo balbettare qualcosa, lo possiamo descrivere con queste parole: Visione. Amore. Gioia. (Visio. Dilectio. Delectatio).
1) Visione di Dio: si tratta di visione intellettuale, che appagherà totalmente l’intelletto e l’intera persona umana. Desideriamo una felicità piena, assoluta, che non termini mai. Questo desiderio è in tutti, quindi è stato creato da Dio, perciò deve essere realizzato, se viviamo da buoni figli di Dio, altrimenti Dio non sarebbe più Dio perchè non sarebbe sapiente, giusto e buono. Ma non riusciamo a realizzarlo su questa terra. Dunque lo realizzeremo in quell’altra vita che chiamiamo Paradiso: "Io – dice la Bibbia – per la tua giustiziacontemplerò il tuo volto (o Dio), al risveglio (della risurrezione dei corpi) mi sazierò della tua presenza" (7); in altre parole: io, vedendo te, o Dio, sarò completamente sazio di felicità.
S. Giovanni apostolo, estasiato scrive: "Carissimi, fin da ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si manifesterà, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo come Egli è" (8).
S. Paolo afferma: "Ora vediamo (Dio), come in uno specchio, in maniera confusa; ma alloralo vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto; ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto". "Correte in modo da conquistare il premio!" (9).
2) Amore di Dio: Tutti desideriamo di essere amati infinitamente. Solo Dio può soddisfare pienamente questo bisogno, come esclama S. Agostino: "O Signore, Tu ci hai creati per Te e il nostro cuore sarà sempre inquieto fin che non si riposa in Te!" Soltanto quando entreremo nella dimora del Padre celeste sarà soddisfatto questo nostro desiderio di amore, poiché allora torrenti infiniti di amore da Dio si riverseranno su di noi e dal nostro cuore saliranno verso Dio; e così, in maniera sempre nuova, per tutta l’eternità.




Quindi scomparirà per sempre ogni lamento, ogni dolore, come ci dice S. Giovanni che ci descrive il Paradiso quale città di Dio tutta splendore e amore: "Vidi un nuovo cielo e una nuova terra... Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal Cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono. Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà il Dio con loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto né lamento, né affanno, perchè le cose di prima sono passate" (10). Navigheremo per sempre nell’oceano dell’amore di Dio! 
3) Gioia, gioia, senza fine! In Paradiso, dunque, vedremo Dio mediante l’intelletto elevato e confortato da una qualità speciale, interna e permanente, chiamata "luce della gloria": "alla tua luce – dice il Salmo – vediamo la Luce" (11). Vedendo Dio, bellezza e bontà infinita, non potremo non amarlo di un amore senza misura; e perciò non potremo non gioire di una gioia perfetta ed eterna.




S. Agostino arriva ad affermare: "La dolcezza della celeste gloria è tale che se ne cadesse una sola stilla nell’inferno, renderebbe dolci le sue amarissime pene".
S. Paolo, elevato al terzo Cielo, poté dire: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparate Dio per coloro che lo amano" (12). Con ciò voleva dirci che le gioie del Paradiso superano all’infinito i nostri più alti desideri e le più ardite immaginazioni umane.
Perciò, il Sommo Poeta canta: "O gioia! o ineffabile dolcezza! / o vita intera d’amore e di pace! / o senza brama sicura ricchezza!" (13). "Luce intellettuale piena d’amore, / amor di vero ben, piena di letizia, / letizia che trascende ogni dolzore!" (14) cioè ogni dolcezza.