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Canto gregoriano

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LA BEATA VERGINE MARIA

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RECITA IL SANTO ROSARIO ON-LINE

SAN MICHELE UCCIDE IL DRAGONE

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PROTETTORE DEL SITO Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

Antica Bibbia

Antica Bibbia

LA BIBBIA: IL LIBRO DI DIO


"Una lampada  su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terrreno arido e stepposo, una spada che penetra nella carne." 

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino".

"Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra , senza averla fecondata e fatta germogliare, perchè dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me - dice il Signore- senza avere operato ciò che desidero, senza avere compiuto ciò per cui l'avevo inviata".  "La Parola di Dio è viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore". "La Bibbia è l'intreccio fra Dio e la nostra storia; la Pasqua del Cristo nasce dalla crocefissione, la vita sboccia dalla morte. La Bibbia non celebra un Dio lontano ma un Dio incarnato che salva la nostra storia. Cercherò di meditare ogni giorno le parole del mio creatore, cercherò di conoscere il cuore di Dio dalle parole di Dio affinchè io possa ardentemente desiderare i beni eterni  e con maggior desiderio la mia anima si accenda di Amore per Dio e per il fratello".

I TESORI DELLA BIBBIA da meditare...... per es . cercate : AMORE.....

TESTI SEGRETI LIBRI

martedì 28 dicembre 2010

BUON ANNO NUOVO A TUTTI !!!

mercoledì 22 dicembre 2010

BUON NATALE A TUTTI !!!

venerdì 17 dicembre 2010

LA TENERA SOLLECITUDINE DEL SANTO PADRE



DI:  SANDRO MAGISTER 
La discussione deliberatamente riaperta in campo cattolico da Benedetto XVI con le sue parole su AIDS e preservativo nel libro-intervista “Luce del mondo” ha registrato negli ultimi tre giorni altrettanti interventi di peso.
Il primo è del filosofo cattolico che si cela dietro lo pseudonimo di Giovanni Onofrio Zagloba, pubblicato da “Settimo Cielo”.
Il secondo è del teologo moralista Martin Rhonheimer, docente alla Pontificia Università della Santa Croce, pubblicato da www.chiesa nel servizio messo in rete ieri.
Il terzo è questo di oggi, del professor Alessandro Martinetti, di Ghemme in provincia di Novara, studioso di teologia e filosofia, discepolo del grande neotomista Gustavo Bontadini:
*
“IN BENEDETTO XVI VEDO LA TENERA SOLLECITUDINE DEL PADRE”
di Alessandro Martinetti
Per il pastore d’anime, il caso dei coniugi dei quali uno sia affetto da HIV non presenta soverchia difficoltà, quanto alle raccomandazioni da impartirsi a tali coniugi.
Non si tratta di fare dell’allarmismo gratuito sulla fallacia del condom (non si tratta cioè di sostenere che il condom protegge poco dal contagio). Una considerazione obiettiva sull’uso del condom ritengo debba condurre alla conclusione che il condom protegge (è profilattico, nel senso che previene il contagio), ma non del tutto, e questo basta a configurare un rischio altissimo, perché è sufficiente che l’uso del condom fallisca una sola volta per contrarre un virus potenzialmente esiziale.
Poiché il pericolo del contagio non è azzerato dall’uso del condom (anzi), il pastore dirà con chiarezza ai coniugi in questione che l’atto sessuale consumato adoperando il condom è moralmente disordinato e quindi biasimevole, perché non può qualificarsi altrimenti un atto compiendo il quale si corre il rischio di trasmettere o contrarre un virus così insidioso. E questo, prescindendo dall’indole contraccettiva o non contraccettiva dell’atto suddetto. Infatti, ammesso (e non concesso: la questione – come giustamente afferma Rhonheimer – è legittimamente dibattibile) che l’atto sessuale in questione non sia contraccettivo (ossia, che non comporti un rifiuto della strutturale, intrinseca apertura alla procreazione dell’atto coniugale), cioè che non contrasti con quanto proclamato dall’enciclica “Humanae vitae” (e in genere con l’insegnamento del magistero a riguardo della contraccezione), con ciò si ammetterebbe che l’atto sessuale in questione non è moralmente illecito in quanto contraccettivo, ma questo da solo non basterebbe a escludere che tale atto sia moralmente illecito, non in quanto contraccettivo ma per altre ragioni.
Anche Rhonheimer che altro fa se non qualificare come moralmente illecito l’atto in questione, nonostante tale atto non sia contraccettivo (come egli sostiene nell’articolo comparso su “The Tablet” nel 2004, e, in maniera meno recisa, nell’articolo scritto per www.chiesa)?
Certo, l’atto in questione non sarebbe – secondo Rhonheimer – “contro natura” (scrive per www.chiesa: “Se essi [i coniugi] non sono d’accordo [con chi li esorta all’astinenza, e compiono l’atto sessuale usando il condom], io non penserei che il loro rapporto sessuale sia ciò che i teologi morali chiamano un peccato ‘contro natura’ al pari della masturbazione o della sodomia, come alcuni teologi morali sostengono”). E tuttavia tale atto sarebbe moralmente illecito, anche secondo Rhonheimer. Se così non fosse, Rhonheimer non avrebbe motivi per non incoraggiare “mai una coppia a usare un preservativo” e per sostenere che “la completa astinenza sarebbe la scelta moralmente migliore, non solo per ragioni prudenziali (i condom non sono completamente sicuri nemmeno quando sono usati con attenzione e correttamente), ma perché corrisponde meglio alla perfezione morale – a una vita virtuosa – astenersi del tutto da atti pericolosi, piuttosto che prevenire i loro pericoli usando uno strumento che aiuta ad aggirare l’esigenza di sacrificio”.
Se una scelta non è la “moralmente migliore”, significa che essa contiene almeno un aspetto di illiceità/malvagità (come potrebbe altrimenti essere la scelta “non migliore”?), e che quindi va deplorata (giacché il male non può che essere deplorato). Concretamente, quindi, il teologo moralista, quand’anche non ritenga che l’atto in parola configuri un caso di contraccezione (e quindi ritenga che non sia la – inesistente – indole contraccettiva dell’atto a macchiare lo stesso di illiceità), deve dire con nettezza ai coniugi che il loro atto, seppure per ragioni che non attengono all’indole contraccettiva (supposta inesistente) dell’atto stesso, sarebbe moralmente disordinato, cioè che sarebbe moralmente illecito compierlo. Come asserisce Rhonheimer, “ciò che deve essere vinto, ed è normativo sconfiggere, è l’intrinseco disordine morale in quanto tale”.
Molto più impegnativo, per un teologo morale, è stabilire se il suddetto atto tra coniugi cada sotto la condanna della “Humanae vitae” (e in genere del magistero al riguardo), cioè se sia contraccettivo.
Su questo legittimamente si confrontano posizioni diverse. Il magistero non si pronuncia al riguardo, e che non lo faccia è anche testimoniato dal fatto che la congregazione per la dottrina della fede non abbia “censurato” né le affermazioni di chi ritiene contraccettivo tale atto, né di chi lo ritiene non contraccettivo (Rhonheimer stesso riferisce che la congregazione per la dottrina della fede, allora guidata dal cardinale Ratzinger, “non aveva trovato nessun problema” nel suo articolo “The truth about condoms”, difendente la non contraccettività dell’atto in questione).
Ma, quale che sia l’esito della disputa, la condotta del pastore non può mutare, per almeno due motivi:
1) se l’atto in questione è contraccettivo, esso va riprovato (cioè indicato come moralmente disordinato) sia perché contraccettivo, sia perché esponente a un grave contagio;
2) se invece l’atto in questione non è contraccettivo, esso va comunque riprovato, non perché contraccettivo, ma perché esponente a un grave contagio.
Il pastore si troverebbe invece in difficoltà nell’emettere un giudizio al riguardo se il condom procurasse una prevenzione infallibile dal contagio: in questo caso s’invaliderebbe infatti la considerazione 2. Ma si tratta di un’ipotesi che non eccede il livello teorico, giacché è ragionevole prevedere che mai l’uso del condom potrà garantire una protezione totale dal contagio.
Quanto a ciò che ha detto Benedetto XVI in “Luce del mondo”, ritengo si debba concordare con Rhonheimer laddove afferma:
“Le sue [del papa] affermazioni non dichiarano che l’uso del condom sia privo di problemi morali o sia in genere permesso, anche per finalità profilattiche [cioè, per evitare un contagio]. Papa Benedetto parla di ‘begründete Einzelfälle’, che tradotto letteralmente significa ‘giustificati singoli casi’ – come il caso di una prostituta – nei quali l’uso del condom ‘può essere un primo passo nella direzione di una moralizzazione, una prima assunzione di responsabilità’. Ciò che è ‘giustificato’ non è l’uso del condom come tale: non, almeno, nel senso di una ‘giustificazione morale’ da cui consegua una norma permissiva tipo ‘è moralmente permesso e buono usare in condom in questo e quel caso’. Ciò che è giustificato, piuttosto, è il giudizio che ciò può essere considerato un ‘primo passo’ e ‘una prima assunzione di responsabilità’. Papa Benedetto certamente non ha voluto stabilire una norma morale che giustifichi eccezioni”.
In altri termini, non solo il papa non coonesta la prostituzione, ma neppure svolge una considerazione come la seguente: “Visto che hai deciso di prostituirti e che sei affetto da HIV, è moralmente permesso e buono che tu usi il condom. Se ti prostituisci ti comporti male, quindi non prostituirti, ma, poiché hai deciso di prostituirti, almeno usa il condom per prevenire il contagio, perché è moralmente migliore (ossia, è moralmente meno malvagio) per chi si prostituisce ed è affetto da HIV usare il condom che non usarlo”.
Il papa non fa un discorso del genere, perché, come scrive Rhonheimer, “la sola cosa che la Chiesa può eventualmente insegnare circa, ad esempio, a uno stupro, è l’obbligo morale di astenersi da esso del tutto, non di portarlo a termine in una modalità meno immorale. Ci sono contesti nei quali le indicazioni morali perdono completamente il loro significato normativo poiché esse possono al massimo diminuire un male, non essere dirette al bene”. E ancora: “La Chiesa deve sempre  proporre alla gente di fare il bene, non il male minore; e la cosa buona da fare – e quindi da consigliare – non è di agire immoralmente e nello stesso tempo di diminuire l’immoralità minimizzando i possibili danni causati da essa, ma di astenersi dal comportamento immorale in tutto”.
Applicato al nostro caso: il papa, come ogni buon pastore, insegna al prostituto/a affetto/a da HIV l’obbligo morale di astenersi dalla prostituzione, che è intrinsecamente malvagia, di contrirsi e cambiare vita, e non esorta il/la prostituto/a a prostituirsi usando il condom. Se lo facesse, (A) esorterebbe a intraprendere una sorta di via morale (o meno immorale) per praticare l’immoralità: ma un pastore (e un semplice credente) deve incoraggiare alla perfezione morale tutta intera, e non a rimanere nell’immoralità in un modo per ipotesi meno immorale. Dico “per ipotesi meno immorale”, giacché l’uso del condom per evitare il contagio non renderebbe comunque meno immorale quell’atto immorale che è il prostituirsi.
Ciò che il papa fa è diverso (B). Egli osserva che se il/la prostituto/a utilizza il condom mostra un qualche senso di responsabilità almeno nei confronti di quel valore che è l’incolumità fisica altrui, e questo gesto di responsabilità “può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”, “un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana”.
La differenza tra A e B può sembrare cavillosa e labile, ma è essenziale. Per dirla ancora con Rhonheimer: “Il papa non sostiene che usare il preservativo per prevenire le infezioni di HIV significa agire responsabilmente [cioè il papa non sostiene la posizione A]. Una reale responsabilità, per delle prostitute, significherebbe astenersi completamente da contatti sessuali rischiosi e immorali e cambiare completamente il loro stile di vita. Se non lo fanno (perché non possono, o non vogliono), esse agiscono almeno soggettivamente [ecco la considerazione B, accettata dal papa] in un modo responsabile quando cercano di prevenire l’infezione, o almeno agiscono meno irresponsabilmente di quelle che non lo fanno, che è un’affermazione alquanto diversa [dalla posizione A]“.
Se il papa avesse assunto la posizione A, sarebbe incorso nello stessa svista del cardinale Danneels, il quale (affermando – come fece nel 2004 – che “se una persona infetta da HIV ha deciso di non rispettare l’astinenza, allora deve proteggere il suo partner e può farlo in questo caso usando un preservativo”, altrimenti infrangerebbe “il quinto comandamento”) giunge proprio ad abbracciare la posizione A, cioè di fatto si rivolge alla persona affetta da HIV nel modo seguente: “Visto che non osservi l’astinenza, è moralmente giustificato e financo doveroso – giacché agendo altrimenti violeresti nientemeno che un comandamento – che tu usi il condom”. Per dirla ancora con Rhonheimer: “Noi non possiamo dire che essi ‘dovrebbero fare così’ oppure sono ‘moralmente obbligati’ a farlo, come il cardinale Danneels sembrava suggerire”.
Per sintetizzare schematicamente la distinzione tra la posizione A e la B, è forse utile richiamare quanto mi sembra di avere acquisito nell’argomentazione dispiegata fin qui, e cioè:
1) occorre sempre amare, ricercare e raccomandare di praticare una condotta perfettamente morale;
2) una condotta intrinsecamente immorale (quale il prostituirsi) non è resa morale né meno immorale da un atto compiuto nell’esplicarla (nel caso, dall’usare il condom);
3) non è lecito incoraggiare il/la prostituto/a affetto/a da HIV a usare il condom (se lo si facesse, si contravverrebbe a 1 e si trascurerebbe 2);
4) la valutazione sulla qualità morale di una scelta deve sempre tener conto del contesto in cui la scelta è operata: poiché nel caso in esame la scelta di usare il condom è operata da chi ha scelto pure di prostituirsi (se la prostituzione è coatta, ossia non è scelta ma è imposta, cambierà la valutazione morale dell’atto), occorrerà riconoscere che la scelta di usare il condom non diminuisce né estingue l’immoralità del prostituirsi, e quindi non può essere raccomandata dal pastore (cfr. 3);
5) tuttavia, poiché la scelta di usare il condom, per quanto strettamente ad essa intrecciata, non s’identifica con la scelta di prostituirsi, è lecito al pastore, pur non trascurando il profondo intreccio tra le due scelte, valutare in sé stessa la scelta di usare il condom, e giudicare che essa, sebbene non raccomandabile (per le ragioni illustrate), è meno immorale (è improntata a un certo “senso di responsabilità”) dell’opposta, cioè della scelta di non usare il condom, perché esercita una premura per la salute dell’altro maggiore di quella che si eserciterebbe se si scegliesse di non usare il condom.
Mi pare che le affermazioni di Benedetto XVI in “Luce del mondo” siano congruenti con le considerazioni sviluppate in questi cinque punti. Ci vedo anche la tenera sollecitudine del padre, pronto in ogni circostanza ad avvistare e “sorprendere”, per avvalorarlo e incoraggiarlo e rinfocolarlo, ogni barlume di bene, ogni soprassalto di resipiscenza che affiori dal fango in cui si è cacciato il figliol prodigo.
Quanto al caso di coniugi dei quali uno sia affetto da HIV, il papa non ne parla, “simpliciter”. Quindi chi vuole estendere le considerazioni del papa a siffatto caso compie un’operazione un po’ azzardata. Tuttavia, se si esegue questa operazione, occorre a mio sommesso avviso:
1) tenere presente che – come scrive Zagloba – “lo si fa, naturalmente, a proprio rischio e pericolo e senza in alcun modo impegnare l’autorità del papa”;
2) tenere in considerazione i cinque punti enucleati in precedenza.
Pertanto, anche nel caso in oggetto il pastore (o il fedele laico) a mio avviso non deve (cfr. sopra, n. 3) – come invece sostiene Zagloba – “dire al coniuge del malato che il Signore lo chiama a una difficile croce, a una particolare unione alla croce di Cristo, e anche dirgli che avere rapporti non protetti è peggio che avere rapporti protetti e se non riesce a compiere interamente il dovere morale cerchi almeno di non mettere in pericolo la vita propria e quella della persona amata”. Questa somiglia tanto alla posizione del cardinale Daneels, opportunamente – a mio avviso – criticata da Rhonheimer perché – come illustrato – finisce per risolversi nell’esortazione: “non peccare, ma se pecchi almeno fallo in modo morale, fa’ ciò che è moralmente buono pur nel peccato, cioè usa il condom”. Esortazione che però – come lamentato da Rhonhemeir – trascura che “sarebbe semplicemente privo di senso stabilire delle norme morali per dei comportamenti intrinsecamente immorali”; “la Chiesa deve sempre  proporre alla gente di fare il bene; […]  la cosa buona da fare – e quindi da consigliare – non è di agire immoralmente e nello stesso tempo di diminuire l’immoralità minimizzando i possibili danni causati da essa, ma di astenersi dal comportamento immorale in tutto”. Talché “non dirò loro [a persone promiscue, o ad omosessuali, infetti da AIDS i quali usino il preservativo] di non usare il preservativo. Semplicemente, non parlerò loro di ciò e presumerò che, qualora scelgano di avere rapporti sessuali, manterranno almeno un certo senso di responsabilità.”
Quest’ultima citazione, tratta dall’articolo di Rhonheimer “The truth about condoms”, mi pare chiarisca bene quale debba essere il contegno di un pastore nel caso in oggetto.
Oso dirmi convinto che papa Joseph Ratzinger non terrebbe, nel caso, contegno altro da quello presentato e raccomandato da Rhonheimer. Del quale, in conclusione, mi piace segnalare la genuina umiltà (che è propria di chi auspica il trionfo della verità e non delle proprie opinioni) e la filiale devozione nei confronti della Chiesa, testimoniate limpidamente da queste dichiarazioni contenute nella chiusa dell’intervista resa a “Our Sunday Visitor”:
“Spero che le cose diventino più chiare in un prossimo futuro tramite qualche ulteriore pronunciamento delle autorità della Chiesa o qualche precisazione ufficiale: il che non significa, per inciso, che mi attendo di essere convalidato in tutte le mie vedute. Se ciò che ho scritto contribuisce a rendere le cose più chiare, mi sentirò completamente ripagato dei miei sforzi, anche se dovesse emergere che mi sbagliavo sotto qualche rispetto. Frattanto dovremmo discutere queste questioni in spirito di comunione e di mutuo rispetto”.
Per quel che vale, anche il sottoscritto argomenta cercando di non sbagliare, ma senza la pretesa di aver indubitabilmente ragione, e comunque rimettendosi all’autorità magisteriale.

giovedì 16 dicembre 2010

RIVELAZIONI SUL VATICANO. WIKILEAKS.


DA: IL GIORNALE.IT

Cari amici, da una scorsa più approfondita e attenta della prima ondata di cablogrammi sul Vaticano resi noti da Wikileaks (è probabile che nuove ondate di documenti finiscano prossimamente online) emerge un quadro diverso rispetto a quello che i media – italiani e internazionali – ha fornito a ridosso della loro pubblicazione.
Come si ricorderà – e come si può leggere nel precedente post – l’attenzione è stata attirata da report confidenziali nei quali il numero due dell’Ambasciata americana presso la Santa Sede criticava la gestione della Curia vaticana, giudicandola inadeguata ai tempi, e soprattutto la gestione della comunicazione.
Dalla lettura di tutto il material messo online da Wikileaks – come peraltro fa acutamente osservare il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università G. Marconi di Roma, in quest’analisi pubblicata su La Bussola quotidiana - la diplomazia vaticana dell’ultimo decennio non esce affatto male, anzi.
Il Vaticano appare come un vero “global player”, presente su tutti gli scenari più “caldi” del mondo, che interviene sempre in difesa dei diritti umani, della dignità delle persone, dei diritti dei più deboli. Quella della Santa Sede, stando a quanto si legge dai file di Wikileaks, e cioè dalla percezione che ne hanno gli americani, è una diplomazia bene informata, seconda solo a quella degli Stati Uniti per numero di rappresentanze nel mondo, che sa sfruttare l’immenso e capillare patrimonio rappresentato dalla presenza della Chiesa cattolica nelle più diverse aree del mondo.
Emerge, ancora, l’immagine di una diplomazia per nulla appiattita con le grandi superpotenze, che si smarca quando è necessario dagli Stati Uniti, che invita al dialogo, che promuove la pace. Vi rimando, per le citazioni, all’ottimo articolo del professor Napolitano.
Dunque, a uscire a pezzi dalle rivelazioni di Wikileaks è, almeno in linea di principio, la diplomazia americana, dato che si è potuta verificare la diffusione di queste notizie. Certo, restano molti, moltissimi dubbi sull’intera operazione. E non si può scartare a priori l’ipotesi che queste fughe di notizie possano essere state in qualche modo pilotate. Dato che più d’uno ha osservato, infatti, che almeno la seconda ondata di rivelazioni non risulta essee affatto negativa, nel complesso, per l’attuale amministrazione americana e per i suoi obiettivi strategici.
Un ultimo appunto, riguarda l’informazione italiana. Intervistato da La Stampa in merito alle rivelazioni di Wikileaks, il direttore de L’Osservatore Romano, Gian Maria Vian, ha giustamente parlato di “un eccessivo zelo”, da parte dei diplomatici Usa, ”nel riferire opinioni circolanti in ambienti diversi”, specificando: “soprattutto di giornalisti italiani”. E’ vero, noi giornalisti italiani abbiamo molte responsabilità. Vorrei però ricordare che le critiche più aperte e dirette nei confronti della governance vaticana e della gestione dell’informazione da parte della Santa Sede non sono venute dai media del Belpaese, quanto piuttosto da Oltreoceano e proprio da vaticanisti e commentatori del calibro di George Weigel o di John Allen, che lo stesso Vian nell’intervista definisce “particolarmente autorevole e informato”. Come dimostra, ad esempio, il resconto di questa conferenza.
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mercoledì 15 dicembre 2010

PER P. MACIEL: DAMNATIO MEMORIAE





La damnatio memoriae di Maciel per salvare i suoi legionari

Paolo Rodari

Marcial Maciel è morto per la seconda volta. E’ quella definitiva. Nelle scorse ore, infatti, sul fondatore della Congregazione dei legionari di Cristo e del movimento di laici denominato Regnum Christi scomparso nel 2008 – pedofilo, tossicomane, morto lasciando diversi figli naturali avuti da più donne – è calata la “damnatio memoriae” da parte delle gerarchie della Santa Sede.
Con un decreto ufficiale il cardinale Velasio De Paolis, delegato pontificio per la Legione, in pratica il “commissario” del Papa, ha fissato le regole comportamentali che i legionari devono seguire di qui in poi rispetto alla memoria del loro fondatore. Marcial Maciel, in sostanza, deve scomparire del tutto dalla vita della Legione. Deve essere dimenticato e niente deve parlare di lui. Il decreto è preciso e dettaglia nei minimi particolari le regole alle quali i legionari devono attenersi.
Nei centri della Congregazione non possono essere collocate fotografie del fondatore da solo o con il Papa.
Le date relative alla sua persona (nascita, battesimo, onomastico e ordinazione sacerdotale) non si possono festeggiare. L’anniversario della sua morte, il 30 gennaio, è un giorno dedicato particolarmente alla preghiera e niente più. Gli scritti personali di Maciel e le sue conferenze non possono essere messe in vendita nelle case editrici o nei centri e opere dei legionari. Alla cripta del cimitero di Cotija (stato messicano del Michoacán dove Maciel ha iniziato tutto) e dove riposano i resti mortali della famiglia di Maciel, si deve dare il valore che ha ogni sepoltura cristiana come luogo di preghiera per l’eterno riposo dei defunti. I centri di ritiro a Cotija possono continuare a offrire gli stessi servizi che hanno offerto finora, ma devono avere al proprio interno un luogo dedicato alla preghiera, alla riparazione e all’espiazione. Tra tante restrizioni, una sola concessione: chi lo desidera può conservare privatamente foto di Maciel, leggere i suoi scritti o ascoltare le sue conferenze.
Con questo decreto, duro ma che nella sostanza mette per iscritto regole già adottate nei mesi scorsi dalla Congregazione, il Vaticano conferma la chiara volontà di sganciare la Legione dal suo fondatore. E, quindi, di salvarla: l’albero, ovvero Marcial Maciel, deve essere definitivamente abbattuto, mentre i suoi frutti, i legionari, hanno diritto all’esistenza e affinché maturino a dovere devono seguire con fedeltà e obbedienza le indicazioni delle autorità della Santa Sede.
Può da una mela marcia nascere qualcosa di buono? Evidentemente sì, questo pensano il Papa e i suoi collaboratori. Nonostante tutto il male che può aver fatto in vita Maciel, per la chiesa la Congregazione dei legionari e il suo ramo laico hanno diritto all’esistenza e, se possibile, allo sviluppo.
La linea l’ha data Papa Ratzinger nel libro “Luce del mondo” scritto con Peter Seewald. Qui Benedetto XVI ha definito il fondatore dei Legionari “un falso profeta che ha condotto una vita immorale e contorta”. E ancora: “Per me, Marcial Maciel rimane una figura misteriosa. Da un lato c’è un tipo di vita che, come ormai sappiamo, è al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, stramba. Dall’altro vediamo la dinamicità e la forza con cui ha costruito la comunità dei legionari”. Quindi le parole sul futuro della Congregazione: “Ci sono da apportare delle correzioni, certamente, ma nel suo insieme la comunità è sana. Ci sono tanti giovani che con entusiasmo vogliono servire la fede. E non bisogna distruggere questo entusiasmo. In definitiva molti di loro sono stati chiamati al giusto da una figura sbagliata. E questa è una cosa singolare, la contraddizione per cui un falso profeta abbia potuto avere anche un effetto positivo. A tutti questi giovani, e sono tanti, bisogna infondere coraggio. E’ necessaria una struttura nuova affinché non cadano nel vuoto ma, guidati correttamente, possano ancora rendere un servizio alla chiesa e agli uomini”.

Pubblicato sul Foglio mercoledì 15 dicembre 2010

L'INCONTRO DEL PAPA CON I VESCOVI GIAPPONESI : SEMAFORO ROSSO PER IL CNC



Pope meets with Japanese bishops to discuss Neocatechumenal Way
http://www.catholicnews.com/data/stories/cns/1005099.htm
By Carol Glatz - Catholic News Service

VATICAN CITY (CNS) -- Japanese bishops, including the president of the bishops' conference, met with Pope Benedict XVI and top Vatican officials to discuss the Neocatechumenal Way.
The Dec. 13 meeting with four Japanese bishops had been called by Pope Benedict, said the president of the Catholic Bishops' Conference of Japan, Archbishop Leo Jun Ikenaga of Osaka.
He told Catholic News Service that the meeting lasted nearly two hours and included the Vatican secretary of state, Cardinal Tarcisio Bertone, and "several other cardinals."
While the archbishop would not comment on the substance of the meeting, he said the bishops would have to have further discussions with the Vatican and the Neocatechumenal Way's co-founder, Kiko Arguello.
The Japanese bishops "have to make a plan to proceed," he said, adding, "We have to proceed slowly."
The meeting came more than a year after the Neocatechumenal Way's Redemptoris Mater seminary in Takamatsu was closed.
Bishop Francis Osamu Mizobe of Takamatsu and the diocesan pastoral council wanted to shut down the seminary because of concerns that the activity of the Way's members was damaging the unity of Japan's small Catholic community.
The Vatican conducted an investigation in 2007, and in 2008, Cardinal Bertone released a letter announcing the seminary would be closed and that many of the seminarians and faculty would be transferred to the Redemptoris Mater seminary in Rome.
According to an April 2009 news release on the Japanese bishops' website, the Neocatechumenal Way disagreed with the closure.
The bishops' concerns with the Way and the seminary were so strong that they traveled to Rome twice in early 2008 after their "ad limina" visit in December 2007.
They met with Vatican officials and the pope to discuss what Tokyo Archbishop Peter Takeo Okada, then-president of the bishops' conference, said was "a serious problem."
"The powerful sect-like activity of Way members is divisive and confrontational. It has caused sharp, painful division and strife within the church," the archbishop said Dec. 15, 2007, in an address to the pope during the bishops' "ad limina" visit, made every five years to report on the status of the dioceses. The archbishop appealed to the pope for assistance, saying his input "was direly needed."
Quella che segue è la traduzione. Penso che molte sono le sfumature da cogliere ; ma la vicenda mi sembra già decifrabile nella sostanza. Due ore di discussione col Papa, Bertone e "diversi altri cardinali" per non considerare affatto conclusa, pare, la questione, dato che esiste il piano dei vescovi, ma occorre procedere con molta cautela e ci saranno altre discussioni...
JAPAN-NEOCATECUMENAL Dec-14-2010 (370 words) XXXI
Pope meets with Japanese bishops to discuss Neocatechumenal Way

Il Papa incontra i vescovi giapponesi per discutere del Cammino NeocatecumenaleCITTA' DEL VATICANO (CNS) -- I vescovi giapponesi, incluso il presidente della conferenza episcopale giapponese, hanno incontrato papa Benedetto XVI e altre personalità del Vaticano per discutere del Cammino Neocatecumenale. L'arcivescovo di Osaka, Leo Jun Ikenaga, ha fatto sapere che l'incontro, tenuto il 13 dicembre 2010 con quattro vescovi giapponesi, era stato richiesto dallo stesso papa Benedetto. L'arcivescovo Ikenaga ha detto a Catholic News Service che l'incontro è durato quasi due ore; erano presenti il cardinale Tarcisio Bertone e "parecchi altri cardinali". Anche se non ha voluto dare commenti sul contenuto dell'incontro, ha detto che i vescovi giapponesi hanno in programma ulteriori discussioni in Vaticano e con Kiko Arguello, co-fondatore del Cammino Neocatecumenale. I vescovi giapponesi, ha aggiunto, "stileranno un piano su come procedere", poiché "dovremo procedere lentamente". L'incontro è avvenuto più di un anno dopo che è stato chiuso il seminario neocatecumenale Redemptoris Mater di Takamatsu. Il vescovo Francis Osamu Mizobe di Takamatsu e il consiglio pastorale diocesano decisero di chiudere quel seminario per le preoccupazioni destate dall'attività dei membri del Cammino, che danneggiavano l'unità della piccola comunità cattolica in Giappone.
Il Vaticano aveva infatti aperto un'inchiesta nel 2007 e, nel 2008, il cardinal Bertone aveva inviato una lettera per annunciare che il seminario sarebbe stato chiuso e che la facoltà e molti dei seminaristi sarebbero stati trasferiti nel seminario Redemptoris Mater a Roma. Secondo un comunicato stampa dell'aprile 2009 sul sito web della conferenza episcopale giapponese, il Cammino Neocatecumenale non era d'accordo per la chiusura.
Le preoccupazioni dei vescovi a proposito del Cammino e del seminario erano così forti che si recarono a Roma due volte all'inizio del 2008 dopo la loro visita "ad limina" del dicembre 2007. Incontrarono il Papa ed altre personalità del Vaticano per discutere su ciò che l'arcivescovo di Tokyo, Pietro Takeo Okada, allora presidente della conferenza episcopale giapponese, definì "un problema serio".
"La potente attività simile a una setta, condotta dai membri del Cammino, produce divisioni e contrasti. Ha portato acute e dolorose divisioni e lotte all'interno della Chiesa", disse l'arcivescovo il 15 dicembre 2007 direttamente al Papa durante la visita "ad limina" dei vescovi, che si tiene ogni cinque anni per metterlo a conoscenza dello stato delle diocesi. L'arcivescovo fece appello al Papa domandando assistenza, dicendo che c'era "una terribile necessità" di indicazioni dal Papa.

martedì 14 dicembre 2010

RINGRAZIAMENTI E PREGHIERA




Carissimi lettori,
volevo ringraziarvi tutti per la vostra attenzione. Questo blog riceve, in questo periodo, tra le 100 e le 200 visite giornaliere e in meno di un anno dalla sua nascita, ha toccato le 12.000 presenze. Considerando il fatto che non è un blog tradizionalista e non insegue facili sensazionalismi devo dire che sono lusingato e contento di avere suscitato tanto interesse. Continuerò percio' come sempre a fornirvi un punto di vista asettico e scevro da qualsiasi coloritura politica. La religione non ha appartenenze politiche e ho sempre deplorato che la Chiesa si occupasse di questioni troppo mondane. Non mi piace l'immagine della Chiesa come centro di potere e non mi piace l'immagine che taluni sacerdoti e porporati danno del loro ruolo come potenti e non come apostoli. Ringraziandovi calorosamente tutti, anche coloro che mi seguono dall'estero, vi esorto a pregare per le sorti di questa nostra Italia così vessata dagli abusi dei potenti e dalle organizzazioni mafiose che hanno ucciso tante persone che incarnavano lo spirito più bello e nobile del nostro paese. Preghiamo per le famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, per i precari, per i disoccupati. Preghiamo insieme in Cristo+ e grazie ancora a tutti.
Auguri a tutti di buone feste.

lunedì 13 dicembre 2010

EUCARESTIA NEOCATECUMENALE: SINTESI DEI PUNTI CONTESTATI








DA: INTERNETICA.


Consiglio veramente a tutti la lettura di questo articolo, completo esaustivo e corredato da moltissimi link ad altrettanti articoli ed approfondimenti... (N.D.R.)

Il succo delle indicazioni della lettera Vaticana al movimento neocatecumenale riguarda anche le modalità di distribuzione dell'Eucaristia: se è stato approvato l'uso del pane e del vino, viene però richiamata l'attenzione alla loro distribuzione non intorno alla 'mensa' ma processionalmente da parte del presbitero.

Non si tratta di un dato solo formale, dal momento che i neocatecumenali pongono l'accento sul 'banchetto' e vivono e sottolineano la convivialità a decremento del 'sacrificio'. Osservate le dimensioni impressionanti della 'mensa', rispettivamente, di Porto S. Giorgio e della Domus Galileae, ques'ultima predisposta per la missione dei sacerdoti in Europa del 2006, con la channucchià al posto della croce!
Il discorso è complesso e da non sottovalutare, perché da come viviamo, interpretiamo e celebriamo questi momenti ne va dell'autenticità e della profondità del nostro rapporto con il Signore secondo i Suoi insegnamenti trasmessi nella e dalla Chiesa. Lex orandi, lex credendi!
Vivere la liturgia, alla presenza del Signore, così come Lui ci ha insegnato, è indispensabile per riattualizzare per noi, per la Chiesa e per il mondo il 'memoriale' della sua morte e resurrezione, perché si operi nella nostra vita e nella nostra storia - e nella storia - la trasformazione e la ricapitolazione di tutto quanto connota il nostro essere-nel-mondo secondo la volontà del Padre: "Eccomi, io vengo..."

Certamente tutto questo non può avvenire se il sacramento viene snaturato oltre che nella sua forma anche nella sua sostanza.
Magari può venir fuori una terapia di gruppo - e non sempre è scontato che succeda neppure questo -, una dinamica esaltante e consolatoria, un salutare approccio con la Scrittura; ma tutto questo nulla ha a che fare con l'Eucarestia.
In sintesi: La Messa per i neocatecumenali non è un "sacrificio" e quindi in luogo dell'altare, non c'è che la mensa, e nell'Eucaristia si celebra un convito di festa fra fratelli uniti dalla medesima fede nella Risurrezione; il pane e il vino consacrati sono soltanto il simbolo della presenza del Cristo risorto, che si esaurisce con la celebrazione ed unisce i commensali comunicando loro il proprio spirito, rendendoli partecipi del suo trionfo sulla morte. Conseguenza della predicazione neocatecumenale secondo la quale la passione e morte di Cristo non è stata un vero sacrificio offerto al Padre per riparare il peccato e redimere l'uomo, che resta inesorabilmente peccatore (il che è vero, ma non si tiene conto dell'effetto della grazia) e, per godere i frutti della sua opera, basta riconoscersi peccatori e credere nella potenza del Cristo risorto (il che elimina totalmente la 'risposta' e la responsabilità personale).
E così anche le parole della consacrazione "questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi" non hanno il significato pregnante custodito dalla Chiesa e quindi l'Eucaristia non viene vissuta in tutta la sua sacralità, potenza trasformatrice, momento fondante e sorgente inesauribile della vita di fede nel Signore, riattualizzazione della sua MORTE E RISURREZIONE 'fate QUESTO in memoria di me'

È per questo che le celebrazioni, pur ricche del fervore dei canti e delle risonanze alla Parola proclamata, che molta presa hanno sulla emotività delle persone, alla fine sono altra cosa rispetto alla celebrazione 'cattolica' che viviamo come ci è stata trasmessa dalla Chiesa. Nelle celebrazioni neocatecumenali abbiamo visto tanta esaltazione e poco raccoglimento ed anche banalizzazione del mistero (...prima di celebrare i 'sacri misteri'... ricordate?)

Viene negata anche la 'Comunione dei Santi' ritenendo che lo Spirito circoli solo ed esclusivamente nella concreta ristretta comunità di appartenenza. È per questo che le celebrazioni sono così parcellizzate ed escludono la grande Assemblea dei fedeli della Parrocchia.
Ricordo che al sacerdote neocatecumenale che mi riprendeva proprio sulla 'Comunione dei Santi' dicendomi che lo Spirito circola solo nella Comunità concreta, risposi con le parole di Paolo (1Cor 9,24) che dice che la nostra 'buona battaglia' somiglia alla gara della corsa nello stadio, alla fine della quale ognuno si aspetta la corona della vittoria e nel corso della quale, come dagli spalti 'come un ronzio d'api' arriva l'incoraggiamento degli spettatori (come dice in Eb 12, 1 "Circondati da un nugolo di testimoni") così giunge a noi l'incoraggiamento della Comunione dei Santi. È un'immagine molto bella che mi ha sempre molto confortata e rafforzata. Lo accolse come misticismo spicciolo; ma ho avuto conferma dal mio Padre spirituale che è qualcosa di davvero grande e forte che non può che nutrire la nostra fede e ci immette in una realtà che è il vero 'mondo a venire' il Regno già qui sulla nostra tribolata terra e nella nostra vita e nella nostra storia. E nella celebrazione si realizza la comunione non solo con l'assemblea dei presenti, ma anche con tutta la Chiesa di ieri di oggi di domani, terrestre e celeste, nel tempo e fuori del tempo contemporaneamente.

Poste queste non banali divergenze con il 'sensus fidei' trasmesso dalla Chiesa, la celebrazione liturgica perde tutta la sua solennità e la sua bellezza e crediamo venga snaturata della sua realtà più vera.

Il pensiero di Benedetto XVI sul modo di celebrare l’Eucaristia è bene espresso nel libro “Rapporto sulla Fede”. In esso è riportata l’intervista di Vittorio Messori all’allora Card. Joseph Ratzinger. A pag. 130 leggiamo: «La Liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La Liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la Liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma che qui accade. Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella Liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi. Per il cattolico, la Liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere “predeterminata”, “imperturbabile”, perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata “la vecchia rigidità rubricistica”, accusata di togliere “creatività”, ha coinvolto anche la Liturgia nel vortice del “fai-da-te”, banalizzandola perché l’ha resa conforme alla nostra mediocre misura».

Negli "Orientamenti alle équipes di catechisti per la fase di conversione", viene riportate questa catechesi di Kiko: "Non c’è Eucaristia senza assemblea. È un’assemblea intera che celebra la festa e l’Eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione dell’assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. È da questa assemblea che sgorga l’Eucaristia" (p. 317).

Il Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica "Ecclesia De Eucharistia " (2003), al n. 31, scrive invece: "Si capisce, dunque, quanto sia importante per la vita spirituale del Sacerdote, oltre che per il bene della Chiesa e del mondo, che egli attui la raccomandazione conciliare di celebrare quotidianamente l’Eucaristia, "la quale è sempre un atto di Cristo e della Sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano fedeli".

Vogliamo ricordare che ogni cristiano è consapevole di quanto sia importante il coinvolgimento dell'assemblea, ma non si sognerebbe mai di dimenticare che il sacerdote celebra in 'persona Christi', il cristiano vive, partecipa, accoglie... e l'assemblea non è formata soltanto dalla sua comunità, ma è in comunione con la Chiesa di ieri di oggi di domani, terrestre e celeste, nel tempo e fuori del tempo contemporaneamente

Se c'è del positivo, nel richiamare l'attenzione sulla maggiore concretezza e coinvolgimento con i fratelli per viverlo comunitariamente, i contenuti formativi non sono quelli insegnati nella e dalla Chiesa e, in realtà, si determina una grande concentrazione dell'esperienza nell'ambito delle singole comunità con vera e propria esclusione degli 'altri'.

Aggiungiamo anche che, nell’Eucaristia vissuta secondo gli insegnamenti della Chiesa, si realizza quell' "eccomi", così totalizzante e pregnante che coinvolge la nostra vita a 360 grandi in tutta la sua ampiezza (pensieri, desideri, impegni, azioni e relazioni rapporti con gli altri) e spessore (profondità del nostro essere e sua relazione con gli altri, con il mondo e con il Signore). È difficile da spiegare così, è più bello ed efficace dirselo a voce e soprattutto viverlo. Quel fate QUESTO in memoria di ME è il punto chiave di tutto. Cosa intendiamo per QUESTO? Se si tratta del dono totale di noi al Padre, perché, 'ricordandosi' (ri-attualizzazione, non semplice ricordo) del Suo Figlio, operi anche in noi la trasformazione in Cristo, accettando il nostro affidamento-dono totale e trasformandolo in 'sacrificio santo perenne gradito a Dio' e non solo nel momento dell'Eucaristia, ma facendo di noi un' 'Eucaristia vivente', allora forse c'è un qualcosa d'altro e di oltre a quel che dice Kiko e non ci sembra ininfluente per una fede cristiana vera.

Ribadiamo dunque che non è la stessa cosa celebrare un ‘banchetto escatologico’ (insegnamento neocat) o il 'sacrificio di Cristo', nato morto e risorto che poi ci invita ANCHE al 'banchetto' nuziale d'intimità con Lui, preparato dal Padre prima di tutti i secoli (insegnamento della Chiesa). Fa differenza, e non poco, perché se partecipo solo a un convito, sono un commensale, che condivide l’allegria (le inaudite parole di Kiko al Papa) se partecipo a un sacrificio, sono uno che si dona e riceve da Cristo il dono di donarsi come ha fatto LUI e come di certo non insegna Kiko... [vedi anche sua intervista del giugno 2008]

A seguito dell'approvazione dello Statuto, ci soffermiamo in particolare sull'art.13 che rinvia, nella sua nota 49:
Mentre la Lettera del Card. Arinze, oltre alle peculiarità evidenziate, richiama al rispetto dei libri liturgici. il Santo Padre nel suo discorso la ricorda: "ha impartito a mio nome alcune norme concernenti la Celebrazione eucaristica", riportiamo - dalla Istruzione Redemptionis Sacramentum:

[77.] In nessun modo si combini la celebrazione della santa Messa con il contesto di una comune cena, né la si metta in rapporto con analogo tipo di convivio. Salvo che in casi di grave necessità, non si celebri la Messa su di un tavolo da pranzo[159] o in un refettorio o luogo utilizzato per tale finalità conviviale, né in qualunque aula in cui sia presente del cibo, né coloro che partecipano alla Messa siedano a mensa nel corso stesso della celebrazione.
...
[79.] Infine, va considerato nel modo più severo l’abuso di introdurre nella celebrazione della santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni.
Alla luce di quanto accade nella realtà: Assemblea seduta intorno all'enorme mensa; risonanze; assenza di Adorazione alla Consacrazione anche col divieto di inginocchiarsi; prevalenza di simboli ebraici non solo esteriori ma anche nella teologia che sottende il rito; danza davidica finale, possiamo effettivamente dire che i neocatecumenali NON rispettano il loro statuto. E, non rispettandolo, non rispettano la volontà del Papa.

Possiamo e dobbiamo dirlo, ma poi?
Ci imbatteremo sempre nelle loro piroette, nell'arroganza e nella prepotenza che conferisce loro la sicurezza e la certezza di essere protetti dai loro potenti sponsor curiali, forti pur sempre di un'approvazione, per quanto anomala essa sia...

Tutto lo statuto, così com'è formulato (anche col silenzio su tante prassi anomale non regolate), è fatto per dare veste formale al cammino e risulta volutamente 'fumoso': frutto di un "dire e non dire" che - attraverso allusioni decriptabili solo da chi può leggere tra le righe perché conosce il cammino dall'interno e lo valuta col giusto spirito critico - fa diventare 'commestibile' ciò che commestibile non è... e ne conosciamo tutti i motivi: questo sito li ha ben documentati.

Ma non sarà di certo la triste evidenza delle potenti protezioni e della inarrestabile invasione di tutta la realtà ecclesiale che ci farà rinunciare a denunciare le serie storture prodotte da insegnamenti e prassi che fanno del cammino un'"entità" a sé, dai connotati giudeo-luterano-gnostici, identificabili solo frequentandolo perché molto ben criptati sia dallo statuto che dalla propaganda ingannevole presso le diocesi, le parrocchie e sul web...

Continuiamo citando dalla Misterium Fidei di Paolo VI

[...] 4. E affinché sia evidente l'intimo nesso tra la fede e la pietà, i padri del Concilio, confermando la dottrina che la Chiesa ha sempre sostenuto e insegnato e il Concilio di Trento ha solennemente definito, hanno voluto premettere alla trattazione del sacrosanto Mistero Eucaristico questa sintesi di verità: « Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio Eucaristico del suo corpo e del suo sangue, a perpetuare così il sacrificio della Croce nei secoli fino al suo avvento, lasciando in tal modo alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, in cui si riceve Cristo, l'anima si riempie di grazia e ci si largisce il pegno della gloria futura ».(1)
5. Con queste parole si esaltano insieme il Sacrificio, che appartiene all'essenza della Messa celebrata quotidianamente, e il Sacramento, di cui i fedeli partecipano con la santa Comunione mangiando la carne di Cristo e bevendone il sangue, ricevendo la grazia, che è anticipazione della vita eterna; e la «medicina dell'immortalità », secondo le parole del Signore: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.(2) [...]

Motivi di sollecitudine pastorale e di ansietà

9. Tuttavia, Fratelli Venerabili, non mancano, proprio nella materia che ora trattiamo, motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere.

10. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l'animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definita dalla Chiesa, oppure interpretarla in maniera che il genuino significato delle parole o la riconosciuta forza dei concetti ne restino snervati.

11. Non è infatti lecito, tanto per portare un esempio, esaltare la Messa così detta «comunitaria» in modo da togliere importanza alla Messa privata; né insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella ss. Eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo Sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla «transignificazione» [predicata da Kiko] e «transfinalizzazione» come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l'opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente.

12. Ognuno vede come in tali opinioni o in altre simili messe in giro la fede e il culto della divina Eucaristia sono non poco incrinati.

13. Affinché dunque la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà Eucaristica, che investe tutta la Chiesa, non sia frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni, abbiamo deciso di parlare di questo grave argomento a voi, Venerabili Fratelli, comunicandovi sopra di esso il Nostro pensiero con apostolica autorità.

14. Certamente noi non neghiamo in coloro che divulgano tali opinioni il desiderio non disprezzabile di scrutare un sì grande Mistero, sviscerandone le inesauribili ricchezze e svelandone il senso agli uomini del nostro tempo; anzi riconosciamo e approviamo quel desiderio; ma non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede.

Confrontiamola con l'insegnamento di Kiko tratto dagli "Orientamenti"

Gesù Cristo gli dà ancora un altro nuovo significato, un nuovo contenuto al segno: questo pane è il mio corpo che si consegna alla morte per voi. Gesù Cristo non si inventa il segno che era antichissimo; dà pienezza al segno, un nuovo significato. Perché lui compie la Pasqua, lui compie il passaggio dalla schiavitù della morte alla terra promessa che è l’arrivo al Padre,… la vera Gerusalemme” (OR, p. 306).

“Con il Concilio di Trento, nel XVI secolo, si fissa tutto rigidamente. “In quest’epoca nascono tutte le filosofie sull’Eucarestia.
“Quando non si capisce quello che è il sacramento, a causa della svalorizzazione enorme dei segni come sacramenti, e quando non si capisce quello che è il memoriale, si comincia a razionalizzare, a voler dare spiegazioni del mistero che c’è dentro. Precisamente perché, il mistero trascende la sua unica spiegazione, c’è il sacramento. Il sacramento parla più dei ragionamenti. Ma a quel tempo, poiché non si capisce…, si cerca di dare spiegazioni filosofiche del mistero. E così incominciano i dibattiti su: “come è presente?” Lutero non negò mai la presenza reale, negò solo la parolina ‘transustanziazione’ che è una parola filosofia (sic) che vuole spiegare il mistero.

“La Chiesa primitiva non ha mai avuto problemi circa la presenza reale… Ma la cosa più importante non sta nella presenza di Gesù Cristo. Egli dice: “Per questo sono venuto: per p a s s a r e da questo mondo al Padre”. Ossia, la presenza fisica nel mondo ha uno scopo che è il resuscitare dalla morte. Questa è la cosa importante. La presenza è un mezzo per il fine che è la Sua opera: il mistero di Pasqua. La presenza è in funzione dell’Eucarestia, della Pasqua” (OR, p. 325). Nell'intervista rilasciata nel giugno 2008, il giorno dopo l'approvazione degli Statuti, Kiko esprime apertamente i riferimenti alla Pasqua ebraica.

È forse questa la 'iniziazione cristiana cattolica', che in ogni caso non è monopolio del cammino, che di questa espressione ha fatto il suo 'cavallo di Troia' per introdursi sempre più aggressivamente nella Chiesa, minandone l'unità e le verità dal di dentro...?
Ulteriori osservazioni:
1. DALL'ORIENTAMENTO ALLE EQUIPE DI CATECHISTI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE DI KIKO ARGUELLO:
"Il pane e il vino non sono fatti per essere esposti, perché vanno a male. Il pane e il vino sono fatti per essere mangiati e bevuti. Io dico sempre ai sacramentini che hanno costruito un tabernacolo immenso: se Gesù Cristo avesse voluto l’Eucaristia per stare lì, si sarebbe fatto presente in una pietra che non va a male. Il pane è per il banchetto, per condurci alla Pasqua. La presenza reale è sempre un mezzo per condurci ad un fine, che è la Pasqua. Non è assoluto. Gesù Cristo è presente in funzione del mistero Pasquale."
Ecco il perché i NC NON SI INGINOCCHIANO MAI durante la Consacrazione. Ecco anche perché non ammettevano l'Adorazione Eucaristica. Solo da poco, pensiamo per i rilievi mossi, ma anche per l'importanza dell'Adorazione più volte richiamata dai nostri Papi, almeno a Roma, nella Parrocchia dei Martiri Canadesi, la fanno, introdotta di recente del tutto ostentatamente, una sola volta al mese.

2. TRATTO DAL LIBRO "INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DELLA LITURGIA" DI J. RATZINGER
"...La transustanziazione (trasformazione del pane e del vino), l'adorazione del Signore nel Sacramento, il culto eucaristico con l'ostensorio e le processioni - tutte queste cose, ci viene detto, non sono che errori medievali, da cui bisognerebbe distanziarsi il più presto possibile. La superficialità con cui vengono messe insieme idee di questo genere può solo suscitare meraviglia....
...Nessuno dica allora: l'Eucaristia deve essere mangiata e non adorata. ... la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall'adorazione..."

La nostra fede ci fa essere d'accordo col secondo, e non col primo.
In conclusione, secondo la dottrina cattolica, Jesuah ha Nozrì, il Mashiah, Figlio di Dio, si trova “veramente” nell’Eucaristia e non simbolicamente; “sostanzialmente” e non con una presenza soltanto virtuale o temporanea; “realmente” e non in ragione della nostra fede, interamente con tutto il suo corpo, con tutta la sua anima e con tutta la sua divinità.

La verità non detta è che Kiko e Carmen si sono fermati alla "lavanda dei piedi", che è un "rito di inversione" che introduce al discepolato (questo è il vero significato dello "stare seduti" - detto anche nella lettera al Papa - mentre Cristo passa a "servirli"!!!!) ma l'ultima cena, oltre alla lavanda dei piedi e a poter essere vista come "banchetto nuziale, escatologico", come certamente è, riporta all'istituzione dell'Eucaristia e alla prefigurazione del Calvario e della Resurrezione (per che cosa dunque si chiama Eucaristia, cioè rendimento di grazie, lode, ecc.???!!!) È questo il vero significato cattolico della Messa, non solo l'iniziazione al discepolato durante un banchetto ed inoltre, per la Chiesa, la lavanda dei piedi è anche il simbolo della Confessione Sacramentale, che è chiesta dal Signore per essere "mondi" alla partecipazione del Sacrificio!

E tutta la celebrazione è un rendimento di grazie (non solo il momento del ringraziamento finale come subdolamente predica Kiko criticando la Chiesa nelle sue catechesi (OR, p. 330) e una riattualizzazione del 'mistero pasquale', ma non per vivere solo il momento della 'Risurrezione', ma il mistero nella sua interezza: 'Passione, Morte e Risurrezione' del Signore Gesù...
Ancora sull'Eucaristia:
La Chiesa, oltre che con gli esempi ufficiali dei nostri Papi, si è espressa molto chiaramente per quanto concerne la celebrazione dell'Eucaristia in documenti chiarissimi: ne citiamo soltanto tre: "Misterium fidei" di Paolo VI, la "Mane nobiscum domine" e la "Redemptionis Sacramentum", fortemente voluti dal defunto pontefice, quasi a suggello del suo grandioso pontificato ed eredità comune per tutti i credenti.

Peraltro lo stesso Ratzinger, ancora cardinale nel documento "La Comunione nella Chiesa", a pagina 110 , commentando la Lettera ai Corinzi, affermava: "Lo sguardo dell'apostolo è al riguardo innanzitutto rivolto alla comunità locale di Corinto, che ha perduto il vero senso del radunarsi, nella misura in cui i gruppi pur essendo gli uni accanto agli altri tuttavia rimangono separati. Ma l'orizzonte al di là della dimensione locale si apre sulla Chiesa nel suo insieme:tutte le assemblee eucaristiche nel loro insieme sono in realtà un'assemblea, perché il corpo di Cristo è soltanto uno e il popolo di Dio può essere soltanto uno....le comunità devono celebrare l'Eucaristia in tal modo che esse possano radunarsi tutte tra di loro, a partire da Cristo e per mezzo di Cristo. Chi non celebra l'Eucaristia con tutti, fa solo una caricatura dell'Eucaristia. Si celebra l'Eucaristia con l'unico Cristo e pertanto con tutta la Chiesa o non si celebra affatto. Chi nell'Eucaristia cerca solo il proprio gruppo, chi in essa o attraverso di essa non si inserisce in tutta quanta la Chiesa e non oltrepassa il suo punto di vista particolare, egli fa esattamente ciò che viene rimproverato ai Corinzi. Egli si siede, per così dire, con la schiena rivolta verso gli altri e distrugge così l'Eucaristia per lui stesso e la disturba per gli altri. Egli fa allora soltanto la sua cena e disprezza la Chiesa di Dio (1 Cor. 11,21ss)".

Ma come può ritrovarsi dentro tali schemi colui il quale, digiuno di ogni fondamento teologico, sinceramente ma disarmato e sprovvisto di ogni capacità di riflessione, si accosta all'Eucaristia in chiave neocatecumenale? Alla fine succede che "rifiuta" ogni altra Eucaristia celebrata fuori dal Cammino come rituale non inconcludente, ma nettamente inferiore per portata e contenuto!
Personalmente ho vissuto un grande disagio nell'ascoltare quella predicazione aberrante e anche nel vivere il momento della 'comunione' nel 'grande chiasso' o quello finale del ringraziamento nella sguaiatezza (le cosiddette esaltanti danze davidiche) invece che nella intimità col Signore, che ero - e sono - solita 'gustare' nelle celebrazioni cosiddette 'normali', quelle dei cristiani di serie B senza chitarre, canti ritmici dallo stile gitano, capaci di esaltare e proiettarci fuori di noi stessi più che di raccogliere le potenze del nostro animo per rivolgerle al Signore.
Che dire poi della preghiera Eucaristica II, la sola usata dai neocatecumenali, nella quale il sacerdote ringrazia Dio “per averci ammessi alla tua presenza a compiere il sevizio sacerdotale”, confondendo il suo ruolo Ministeriale, con il sacerdozio comune... (cavalcato, distorcendolo, sempre da Lutero e seguaci vari...)?

Non a caso la lettera di Arinze richiede al punto 6):
6. Il Cammino Neocatecumenale deve utilizzare anche le altre Preghiere eucaristiche contenute nel messale, e non solo la Preghiera eucaristica II.

È opportuno inoltre non trascurare, sull'Eucaristia, altre riflessioni basate, la prima, sull'Ordinamento generale del messale romano e la seconda sul Catechismo della Chiesa Cattolica. Degli importanti documenti, ritenuti irrilevanti per chi si nutre solo delle catechesi kikiane, si trascrivono i punti d'interesse:

Dall'Ordinamento generale del Messale romano
44. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all'altare; quella del diacono che porta all'ambone l'Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la Comunione. Conviene che tali azioni e processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.
...
86. Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l'accordo delle voci, l'unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere «comunitario» della processione di coloro che si accostano a ricevere l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione s'interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione.
...
160. Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente.
Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.

Stralcio dal Catechismo della Chiesa Cattolica

1373 « Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi » (Rm 8,34), è presente in molti modi alla sua Chiesa: [Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 53.] nella sua parola, nella preghiera della Chiesa, « dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro » (Mt 18,20), nei poveri, nei malati, nei prigionieri, [Cf Mt 25,31-46.] nei sacramenti di cui egli è l'autore, nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro. Ma « soprattutto [è presente] sotto le specie eucaristiche ». [Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 7: AAS 56 (1964) 100-101.]

1374 Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l'Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa « quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti ». [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, q. 73, a. 3, c: Ed. Leon. 12, 140.]
Nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. [Cf Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, canone 1: DS 1651.]
« Tale presenza si dice "reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente ». [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei: AAS 57 (1965) 764.]

1375 È per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa nell'efficacia della parola di Cristo e dell'azione dello Spirito Santo per operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, afferma:
« Non è l'uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa parola trasforma le cose offerte ». [San Giovanni Crisostomo, De proditione Iudae homilia, 1, 6: PG 49, 380.]
E sant'Ambrogio, parlando della conversione eucaristica, dice:
Dobbiamo essere convinti che « non si tratta dell'elemento formato dalla natura, ma della sostanza prodotta dalla formula della consacrazione, ed è maggiore l'efficacia della consacrazione di quella della natura, perché, per l'effetto della consacrazione, la stessa natura viene trasformata ». [Sant'Ambrogio, De mysteriis, 9, 50: CSEL 73, 110 (PL 16, 405).] « La parola di Cristo, che poté creare dal nulla ciò che non esisteva, non può trasformare in una sostanza diversa ciò che esiste? Non è minore impresa dare una nuova natura alle cose che trasformarla ». [Ibid., 9, 52: CSEL 73, 112 (PL 16, 407).]

1376 Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: « Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione ». [Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, c. 4: DS 1642.]

1377 La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo. [Cf Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, c. 3: DS 1641.]

1378 Il culto dell'Eucaristia. Nella liturgia della Messa esprimiamo la nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino, tra l'altro, con la genuflessione, o con un profondo inchino in segno di adorazione verso il Signore. « La Chiesa cattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana ». [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei: AAS 57 (1965) 769.]

1379 La santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire in modo degno l'Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, la Chiesa ha preso coscienza del significato dell'adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche. Perciò il tabernacolo deve essere situato in un luogo particolarmente degno della chiesa, e deve essere costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento.

1380 È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi nel suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza sacramentale; poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell'amore con il quale ci ha amati « sino alla fine » (Gv 13,1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, [Cf Gal 2,20.] e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore:
« La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell'amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell'adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione ». [Giovanni Paolo II, Epist. Dominicae Cenae, 3: AAS 72 (1980) 119.]

Il comportamento della comunità credente - che ovviamente ne rispecchia anche l'atteggiamento interiore - suggerito dal Messale (tra l'altro riguarda proprio uno dei richiami della lettera di Arinze) mi sembra perfettamente consono al significato GRANDE di quel che si sta facendo: l'accostarsi, per riceverlo, al Signore in corpo, sangue, anima e divinità...

Vogliamo renderci conto della banalizzazione o, peggio, della profanazione implicita conseguente alla prassi neocatecumenale? E che dire della prassi di non curarsi dei frammenti del pane consacrato, degli insegnamenti che irridono - ora ufficialmente non più - la pratica dell'Adorazione eucaristica nonché dei loro Tabernacoli 'vestiti' di nero [vedi]?

Meditiamo su Ef 4,11-14: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore."