giovedì 1 luglio 2010
III
BASTA CON I SACRIFICI DI
ESPIAZIONE
GESÙ HA REDENTO L'UOMO SACRIFICANDO SE STESSO SULLA CROCE PER
ESPIARNE I PECCATI. ORA, APPUNTO I MERITI DELLA SUA OFFERTA
CRUENTA COSTITUISCONO L'UNICA RICCHEZZA CHE LA CHIESA DEVE
PROCURARE ALLE ANIME CON L'ESERCIZIO DEI SUOI POTERI. DUNQUE,
NEGATO IL SACRIFICIO DI CRISTO, LA CHIESA NON HA NULLA DA OFFRIRE
ALL’UOMO PECCATORE E DESTINATO A REDIMERSI, E NON SI COMPRENDE
PERCHÉ SIA STATO FONDATA. KIKO, APPUNTO PERCHÉ NEGA ALLA MORTE
DI CRISTO IL SIGNIFICATO, IL VALORE E IL MERITO DI UN AUTENTICO S A
C R I F I C I O, NON SA SPIEGARE LA FINALITÀ DELLA CHIESA, NE
QUINDI LA SUA ESISTENZA.
— Infatti, secondo lui, “le idee sacrificali e sacerdotali”
sarebbero proprie del paganesimo (p. 322); “l’idea del
sacrificio» farebbe “retrocedere all'Antico Testamento» (ivi).
“Anche Israele, per un certo periodo, ebbe questo tipo di culto
sacrificale», dal quale poi — secondo il nostro esegeta — sarebbe
passato “ad una liturgia di lode, di glorificazione» (p. 320).
Per cui i neoconvertiti della Chiesa primitiva avrebbero
trovato “nella liturgia cristiana i riti religiosi pagani (...)
che già il popolo d'Israele aveva superato» (ivi).
Carmen è convinta che “le idee sacrificali, che Israele aveva
avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo
nell’Eucaristia cristiana» (p. 333). - Ma quali «ragioni del tutto
contingenti» può aver avuto la Chiesa nel “permettere», non
solo, ma per imporre come fondamentale dogma di fede il
carattere sacrificale della celebrazione eucaristica? A questo
riguardo, Kiko e Carmen sembra che delirino. Noi li seguiremo
tornando sul concetto di «sacrificio» in generale.
Essi lo rifiutano perché privo d’uno scopo: «Offrire cose a Dio
per placarlo» - secondo loro - era proprio delle “religioni
naturali», pagane (p. 320). Ora, ciò suppone che Dio possa
“offendersi», adirarsi, esigere una riparazione che in qualche
modo restituisca a Lui ciò che l’uomo, peccando, gli ha
sottratto: «Forse che Dio ha, bisogno del sangue del suo Figlio,
del suo sacrificio, per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo
fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel
sacrificio di suo Figlio alla maniera degli dei pagani. Per
questo gli atei dicevano: “Che tipo di Dio sarà quello che
riversa la sua ira contro suo Figlio nella Croce?» (p. 333).
Sono molti i rilievi critici che espressioni del genere obbligano a
fare:
a) resta confermato che Kiko, non volendo saperne del
“sacrificio”, non solo rinnega la Chiesa Cattolica, ma rifiuta lo
stesso Cristianesimo che, anche nelle «confessioni-cristiane-noncattoliche
», riconosce nel Sacrificio del Calvario l'unica fonte
della salvezza per l'umanità peccatrice....
b) La Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, è piena, stracolma del
peccato, che Dio condanna perché “iniquità», “empietà”,
“infedeltà”, “ribellione», «apostasia”, “adulterio”, “tradimento»,
disprezzo di Lui, rifiuto del suo amore, ingratitudine..., e
pertanto o f f e s a , detestabile fatto morale implicante la
deliberata avversione a Dio. E allora, il peccato è tale, cioè
colpa, o nulla , riducendosi ad una “disgrazia” dovuta ad un
“errore”. Dunque, male involontario, moralmente non
imputabile; per cui non sottrae nulla all'uomo come persona,
non turba i suoi rapporti con Dio: quelli possibili — in bene o in
male — per l'atteggiamento della volontà libera, unico
soggetto di moralità come lo è del diritto.
c) Se dunque il peccato non è una pura «disgrazia” (ossia
incidente involontario, incolpevole, degno solo di compassione),
ma atteggiamento di protervia, Dio non può non essere adirato
contra il peccatore. Qui però Kiko torna ad equivocare, non
avendo mai capito in qual senso debba intendersi lo «sdegno»
di Dio, la sua «collera”, la terribilità della sua «vendetta”.
Eppure numerose pagine dell'Antico Testamento sono
eloquentissime al riguardo (cf.: Es 32,12; Nm 16,22,46; Gs
22,18,20; Dt 29,24; Sal 2,13; 29,6; 75,8; 77, 21,31; Ger 4,8; Bar 2,13;
Dn 9,16, ecc). Di «ira» si parla anche nel N.T.: (Rm 1,18; 2,5; 9,22;
Ef 2,3; Col 3,6; Ap 6,16; 14,10,19; 19,15, ecc.). E sarà soltanto
con grande i r a che alla fine dei tempi il Cristo Giudice griderà
ai malvagi: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno!...” (Mt 25,41).
Certamente metaforica l'espressione “ira di Dio”. Ma I'evidente
figura retorica non annulla il reale contenuto del suo
atteggiamento di fronte al male: Egli, se giusto, non può non
riprovarlo, punirlo, fare sperimentare al peccatore la follia della
sua scelta nella privazione del bene a cui egli stesso si
condanna preferendo il male... (cf. S. TOMMASO, S. th., I, q. 3,
a. 2, 2um; q. 19, a. 11, c.; q. 59, a. 4, 1um; q. 162, a. 3,c; Suppl.,
q. 99, a. 3; S.c.G., I, cc. 89-91; II, c. 28).
Forse Kiko non ha mai letto la Miserentissimus Redemptor di Pio
XI intorno al culto dovuto al S. Cuore, dove all'ossequio della
consacrazione aggiunge quello della riparazione, a cui «siamo
stretti da un più potente motivo di giustizia e di amore: di
giustizia, per espiare l'offesa recata a Dio con le nostre colpe
e ristabilire con la penitenza, l'ordine violato; di amore, per
patire insieme con Cristo paziente e saturato di obbrobri... Questo
dovere di espiazione incombe a tutto il genere umano... E per
verità, già fin dal principio del mondo gli uomini riconobbero
in qualche modo il debito di tale comune espiazione, mentre
per un certo istinto naturale si diedero, anche con pubblici
sacrifizi, a placare la divinità....
Riepilogando: il peccato-offesa di Dio esige la soddisfazione
della sua giustizia; soddisfazione che redime l'uomo dai mali
che ha meritato peccando; soddisfazione-redentrice operata
dal Cristo solo col sacrificio della Croce; sacrificio ch'è il fondo
inesauribile della ricchezza della Chiesa, («del sangue
incorruttibile dispensatrice eterna”); Chiesa che Kiko demolisce
rifiutando il Sacrificio di Cristo; sacrificio che egli - se
fosse realmente cattolico — dovrebbe accettare dal Magistero
di tutti i secoli, e particolarmente da quello del grande
Concilio di Trento (D-S 1530-1531) e dall’ultimo, il Vaticano II da
cui Kiko si attendeva il rinnovamento della teologia, ma che di
fatto - a proposito del Sacrificio è rimasto fedele alla
Tradizione Apostolica (cf. SC 12,47, 48, 55; LG 11,25,28,34;
PO 2, 5, 13, 14).
IV
PECCATO IMPOSSIBILE
LA CHIESA, IMPEGNATA A DISTRIBUIRE ALLE ANIME I TESORI DELLA
REDENZIONE, DI FATTO NON FAREBBE NÉ OTTERREBBE NULLA, SE È
CERTO CHE LA REDENZIONE SUPPONE IL PECCATO, E SE IL PECCATO NON È
STATO NÉ SARÀ POSSIBILE ALL'UOMO IN QUNATO QUESTI NON PUÒ
EVITARLO, COME SOSTIENE KIKO.
— Infatti: secondo lui — fedelissimo discepolo di Lutero –
“l’uomo non può fare il bene perché si è separato da Dio,
perché ha peccato ed è rimasto radicalmente impotente e
incapace, in balia dei demoni. È rimasto schiavo del Maligno. Il
Maligno è il suo signore. Per questo non valgono né consigli, né
sermoni esigenti. L'uomo non può fare il bene (...). Non puoi
compiere la legge; la legge ti dice di amare, di non resistere
al male, ma tu non puoi: tu fai quello che vuole il Maligno” (p.
130. Cf. p. 135).
L'uomo «È profondamente tarato. È carnale. Non può fare a
meno di rubare, di litigare, d'essere geloso, di invidiare, ecc.,
non può fare altrimenti. E non ne ha colpa.... (p. 138). Per
questo, appunto, “non servono discorsi. Non serve dire:
“Sacrificatevi, vogliatevi bene, amatevi”! E se qualcuno ci
prova, si converte nel più gran fariseo...” (p. 136). — Kiko è in
perfetta linea con Lutero, che ha lasciato scritto: «Acconsenti
dunque a ciò che tu sei, angelo mancato, creatura abortita. Il
tuo compito è di mal fare, perché il tuo essere è malvagio!»
(da J. MARITAIN, Tre Riformatori, Morcelliana, 1964, p. 48).
Dunque:
a) se non posso evitare il male che mi tiranneggia, neppure
posso compiere il bene. Ciò significa che non sono libero; e se
non posso disporre di me, non si può dare né bene né male
morale, mancando la responsabilità. Ed ecco l'uomo ridotto
alla condizione della marionetta, per la quale non ha senso la
“conversione”, non dice nulla il dovere di corrispondere alla
grazia della penitenza; grazia che deve far sempre leva su di
una volontà sostanzialmente normale, sana, che ponga
l'uomo nella possibilità di rispondere di sé, di acquistarsi dei
meriti, di piacere a Dio...;
b) contro il protestantesimo, il Concilio di Trento aveva
rivendicato energicamente il libero arbitrio, ossia la facoltà di
assecondare o rifiutare la grazia (D-S 1554-1555). Fin dal 431, i
Capitula pseudo-clementina avevano sottolineato che noi
siamo cooperatori della grazia di Dio, la cui bontà agisce in
modo che i suoi “doni” si trasformino in altrettanti nostri “meriti”
(ivi, 248). Kiko però — come vedremo — respinge il Concilio di
Trento, mentre tesse ampi panegirici del Vaticano II, che anche a
questo riguardo continua ed anzi approfondisce il grande solco della
Tradizione (cf. GE 10; DH 1,2,5,7; GS 4,6,9,13,17,31,37,39,68,74,75,
ecc.).
c) Stando alle perentorie dichiarazioni del fondatore del M.N., I
Santi, che si sono sforzati di correggere la propria natura,
dominarne gl'istinti, accogliere e assecondare la Grazia,
raggiungere un notevole grado di maturità interiore, realizzare
un invidiabile livello d'intimità con Dio..., sarebbero stati dei
presuntuosi illusi… Ma, nell'ipotesi, la prima ad illudersi
sarebbe stata la Chiesa, loro Madre e Maestra, che poi li ha
proposti al culto e all'imitazione dei fedeli...
d) Se l'uomo non può fare il bene né evitare il male, quale
beneficio avrebbe tratto dalla Redenzione di Cristo, buon
Pastore che cerca e ritrova la pecora smarrita (Lc 15,6), Medico
venuto per guarire i malati (Mt 9,12), Buon Samaritano che
salva il viandante aggredito dai ladroni (Lc 10, 29-35), ecc.? A
che scopo avrebbe sacrificato se stesso per lasciare poi gli
uomini, ladri, assassini, adulteri, ecc.? Se Egli non ha vinto il
peccato, meritando la grazia che rigenera, trasformando le
pietre in figli di Abramo, il Vangelo è tutto un'utopia, il
Cristianesimo un'impostura, la Chiesa una società inutile.
V
CRISTO NON È MODELLO DI
SANTITÀ PER NESSUNO
LA CHIESA È IL CORPO MISTIC0 DI CRISTO; IL QUALE, APPUNTO
PERCHÉ SUO CAPO E MEDIATORE, È ANCHE SUPREMO MODELLO DI
SANTITÀ PER I CREDENTI. MODELLO SUBLIME, MA - CON LA SUA GRAZIA
- REALMENTE IMITABILE DA TUTTI SECONDO LA PARTICOLARE
VOCAZIONE DI CIASCUNO. KIKO LO NEGA …; MA, SE AVESSE
RAGIONE, LA CHIESA QUALE TIPO IDEALE DI PERFEZIONE DOVREBBE
PROPORRE AI FEDELI, SE QUESTI POSSONO PIACERE AL PADRE
SOLTANTO SE SI CONFIGURANO AL SUO DIVIN FIGLIO?... COSA PUÒ
INSEGNARE AL MONDO, COME PUÒ EDUCARE LE ANIME E OSARE DI
DICHIARARNE LA SANTITÀ, PRESCINDENDO DAL CRISTO, UNICA VIA
CHE CONDUCE ALLA VITA? UNICO MAESTRO DI VERITÀ, ED ANZI LA
VERITÀ IN PERSONA? EGLI CI HA COMANDATO DI RESTARE INSERITI IN
LUI COME I TRALCI NELLA VITE PER TRARNE LA LINFA VITALE DELLA
GRAZIA CHE CI RENDE SIMILI A DIO STESSO NELLA PARTECIPAZIONE
ALLA SUA BEATITUDINE.
— Tutto questo non sarebbe vero, secondo Kiko che, al riguardo,
presume di capovolgere duemila anni di Cristianesimo
predicato e vissuto: “Gesù Cristo non è affatto un ideale di
vita. Gesù Cristo non a venuto per darci l’esempio e per
insegnarci a compiere la legge” (p. 125).
“La gente – incalza - pensa che Gesù Cristo è venuto a darci
una legge più perfetta della precedente (l’ebraica) e che, con la
sua vita e la sua morte, la sua sofferenza soprattutto, ci ha dato
l'esempio perché noi si faccia lo stesso. Per queste persone (ossia
per tutti i Santi) Gesù è un ideale, un modello di vita...” (p. 126).
Non basta: “... Molta gente pensa (...): ci ha dato l'esempio con
la sua vita, dicendoci: “Vedete come faccio lo? Così fate anche
voi”. Se poi chiedi alla gente: “Tu lo fai?”, ti rispondono: “Via, io
non sono Gesù Cristo, non sono mica un santo …”. Il
cristianesimo non è per nulla un moralismo. Perché, se Gesù
Cristo fosse venuto a darci un ideale di vita, come avrebbe
potuto darci un ideale talmente alto, talmente elevato, che
nessuno può raggiungere?” (p. 126).
Qui la mistificazione è palese, irritante, anche per il credente
più superficiale e distratto:
a) In tutto il N.T. l'invito a seguire e imitare Cristo, di partecipare
alla sua Passione, condividere i suoi sentimenti, ecc. è così
frequente e insistente che se ne potrebbe ricavare un florilegio
del più alto interesse. Ricordo qualche espressione presa a
caso:
- “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di
me...» (Mt 10,38; 16,24s; Mc 8,34s; Lc 9,23s; 17,23; Gv 12,25);
- «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà
nelle tenebre...» (Gv 8,12);
- «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che
sono mite e umile di cuore...» (Mt 11,29);
- «Rimanete nel mio amore...» (Gv 15,9). «Questo è mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi
ho amati» (Gv 15,12). «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli
carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche
Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio
in sacrificio di soave odore» (Ef 5,1-2);
- “Fatevi miei imitatori, COME IO LO SONO DI CRISTO (1cor 11,1).
- «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù...»
(Fil 2,5). «Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte...». «Siamo stati completamente
uniti a Lui con una morte simile alla sua...». “Il nostro uomo
vecchio è stato crocifisso con Lui...»; «siamo morti con Cristo...»;
morti al peccato, ma viventi per Dio in Cristo Gesù» (Rm 6,1-11);
- Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne
seguiate le orme...» (1 Pt 2,21).
Kiko, perciò, fa supporre che non abbia mai letto il N.T., o
abbia creduto che nessuno dei suoi «catechisti” avrebbe
verificato la fondatezza delle sue affermazioni;
b) se Cristo non è Tipo esemplare di santità per tutti i fedeli, la
Chiesa li inganna quando stimola a seguire l'esempio dei Santi e
venerarne la memoria: la loro santità è tutta e solo quella del
Cristo e certamente non altro li rende venerabili...;
c) Se non siamo tenuti ad imitare Cristo, la Chiesa erra
gravemente quando impone ai suoi figli il dovere di santificarsi
secondo la loro condizione, lottare contro se stessi, far trionfare
in sé l'amore che li trasforma in Lui. Kiko forse ignora quanto
al riguardo insegna il Vaticano II; secondo il quale «il Signore
Gesù, Maestro e Modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai
singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la
santità della vita; di cui Egli stesso è Autore e
perfezionatore...». “Tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado
sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e al-la
perfezione della carità seguendo l'esempio di lui (Cristo) e
fattisi conformi alla sua immagine...» (LG 40).
Perché tradire in modo così sleale il pensiero della Chiesa che
tanto fedelmente riflette la volontà di Cristo? Soltanto un
estraneo a Cristo e alla Chiesa avrebbe potuto esprimersi
come Kiko.
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