giovedì 1 luglio 2010
ENRICO ZOFFOLI
E R E S I E
DEL MOVIMENTO
NEOCATECUMENALE
Pro manuscripto
Al LETTORI
Ho dovuto preparare questa nuova edizione dell'opuscolo perché
stimolato dalle richieste di un pubblico che non cessa d'informarsi
del gravissimo argomento, di riflettervi e prendere decisioni
cariche di responsabilità per la vita della Chiesa.
Nessuna reazione da parte dei Neocatecumenali: il silenzio e
rimasto impenetrabile, anche dopo aver indirizzato a tutti una
lettera aperta per invitarli ad un dialogo.
Ma, nonostante tale atteggiamento - ambiguo e non certo
favorevole alla loro causa - un pubblico sempre più vasto e
attento continua a studiare il pensiero, capirne e giudicarne il
contegno, prendere le dovute distanze da un Movimento che
si rivela sempre più chiuso, altero, come ci si poteva attendere
da una sètta ereticale.
La quale purtroppo continua a godere il favore di parte del Clero;
ciò preoccupa molti che si chiedono se esso ignori ancora il
fondo dottrinale del “cammino», rendendosi complice - sia pure
materiale - dell'oscuramento di numerose coscienze.
Non si tratta d'interessi personali, ma della fede, per la quale ogni
credente dovrebbe insorgere. Per risolvere tutto e rapidamente,
basterebbe che i Neocatecumenali si dichiarassero disposti a
professare le singole verità che danno l'impressione di aver
negato. Alludo, com'è ovvio, ai dirigenti e responsabili del
Movimento, non agli altri, forse ancora ignari di tutto.
Vorrei che almeno mi si dimostrasse di aver travisato il pensiero dei
Capi Carismatici; nel qual caso sarei disposto a ricredermi, purché
essi dichiarino pubblicamente di ripudiare o intendano modificare
radicalmente il testo da me esaminato.
Roma, 21 giugno 1991 L'AUTORE
INTRODUZIONE
Da molti anni il M.N. gode la stima, il favore e gli elogi di alcuni
membri della Gerarchia cattolica: sarebbe piuttosto laborioso
redigere una raccolta completa di tutte le espressioni di
compiacimento e benevolenza degli stessi Papi, Paolo VI e
Giovanni Paolo II.
Il suo «Cammino” è stato presentato ed encomiato come
metodo esemplare per un ritorno al più autentico Cristianesimo,
nella decisa eliminazione di tutte le scorie che attraverso i secoli
ne hanno deturpato il volto, tradito il messaggio.
Il successo ottenuto sembra sia evidente dal moltiplicarsi delle
«comunità” sorte in migliaia di parrocchie..., dall'erezione di
nuovi seminari, dall'attività missionaria svolta da nuclei familiari
in terre lontane di prima evangelizzazione. Tutto ha fatto
pensare ad uno straordinario intervento dello Spirito,
particolarmente provvidenziale in un'epoca di apostasia dalla
fede come la nostra.
Fonte ispiratrice del vasto fenomeno è un testo inedito che
raccoglie un corso di istruzioni, per “catechisti” tenuto nel
febbraio 1972, da Kiko Argϋello e da Carmen Hemandez a
Madrid. Forma un volume dattiloscritto di 373 pagine. Esso,
fotocopiato, circola come testo formativo dei nuovi apostoli.
Non può dirsi ufficiale solo perché riservato, non perché non
esprima idee e convinzioni degli autori. Finora non è stato mai
modificato o ritrattato; e nessuno, dal giugno 1990 ad oggi, ha
protestato per obbligarmi a rettificare in tutto o in parte il mio
giudizio critico.
Ripetutamente esaminato dagli anni '80 in poi, risulta che, tra
alcuni elementi positivi, il testo ne contiene numerosi gravemente
negativi, perché inconciliabili con fondamentali verità
del Cristianesimo proposte dal solenne magistero della Chiesa,
come credo di aver dimostrato nelle precedenti edizioni del
saggio. Il quale, essendo stato mandato ovunque in Italia,
dovrebbe avere informato moltissimi della pubblica accusa di
eresie da me sostenuta...
Non mi sono state chieste spiegazioni ne sono stato invitato ad
una verifica critica, ad un dibattito... Finora indifferenza e
silenzio hanno accolto il mio lavoro. Singolare e preoccupante
un atteggiamento del genere, soprattutto da parte di certi
responsabili dell'ortodossia cattolica. Come spiegarlo? Rimetto
tutto al giudizio di Dio e della storia. Ma appunto questo giudizio
mi stimola a riprendere la tesi di fondo le premesse del M.N.
sono eretiche; e ciò sottolineo specialmente per quanti hanno
ritenuto esagerato o addirittura calunnioso il titolo del “saggio”.
* * *
I Neocatecumenali ci tengono ad esibirsi come membri zelanti
della Chiesa Cattolica, fedelissimi al Papa; i loro incontri con Lui
— specialmente in certe udienze pubbliche — sono clamorosi,
spettacolari quanto reclamizzati. Tutti devono sapere che essi
compongono la Chiesa più vera, superiore a quella dei comuni
credenti, che non seguono il “cammino” indicato da Kiko.
Ambiscono talmente di essere ritenuti docili alle direttive del
Papa — e potersi quindi affermare ed anzi imporre che hanno
osato far credere di aver ottenuto dalla S. Sede la solenne
approvazione del Movimento quando, il 30 agosto del '90, il
Pontefice si limitò a scrivere a mons. Cordes, loro assistente, una
patema — ma privata — lettera di compiacimento della loro
opera...
In Italia, alcuni vescovi e parroci, si ritennero obbligati ad
accettare e favorire il «cammino» neocatecumenale, avendo
letto nel documento pontificio: «Auspico, pertanto, che i Fratelli
nell'episcopato valorizzino e aiutino — insieme con i loro
presbiteri - quest'opera per la nuova evangelizzazione, perché
essa si realizzi secondo le linee proposte dagli iniziatori...”.
Ovviamente si eccedette, perché dopo qualche tempo, su AAS
1990; p. 1513 chiunque poteva leggere e meditare la seguente
precisazione: “La Mente del Santo Padre, nel riconoscere il
Cammino Neocatecumenale come valido itinerario di
formazione cattolica, non è di dare indicazioni vincolanti agli
Ordinari del luogo, ma soltanto di incoraggiarli a considerare
con attenzione le Comunità Neocatecumenali, lasciando
tuttavia al giudizio degli stessi Ordinari di agire secondo
esigenze pastorali delle singole diocesi».
Il problema che torno a sollevare è questo: i presupposti del
«cammino», neocatecumenale si conciliano con la dottrina
cattolica? Quali i rapporti dei Neocatecumenali con la Chiesa?
Per saperlo, unica fonte di una ricerca oggettiva ed esauriente
resta il documento citato: il solo realmente completo...; il solo
ritenuto autorevole perché fedele al pensiero di Kiko e
Carmen...; il solo ancora inalterato e quindi sicuro criterio di un
giudizio criticamente valido.
Segue che:
a) riferendomi ad esso, nessuno potrà rimproverarmi di aver
“inventato”, attribuendo agli autori del testo quel che essi non
hanno mai pensato...;
b) Kiko e Carmen possono respingere l'accusa di “eresia»
soltanto se disposti a fare una pubblica professione di fede
contraria agli errori che sono stati loro attribuiti.
In conclusione, penso di poter sostenere ancora l'accusa di
eresia contro i Neocatecumenali che hanno capito e accettato
il contenuto dottrinale del documento; per cui la loro
influenza nella Chiesa costituisce una seria minaccia per l'ortodossia
cattolica. La buona fede, se può salvarli, non dispensa
però nessuno dal dovere di smascherare i loro errori.
Linguaggio, questo, che potrà sembrare ingenuo, superato,
soltanto da chi non crede più nella verità ed è ormai estraneo
alla Chiesa che continua ad insegnarla e difenderla.
Parte Prima
L E I D E E
“Lo Spirito dichiara apertamente
che negli ultimi tempi
alcuni si allontaneranno dalla
fede, dando retta a spiriti menzogneri
e a dottrine diaboliche,
sedotti dall'ipocrisia di impostori
già bollati a fuoco nella loro
coscienza...» (1Tm 4,1s)
I
NIENTE REDENZIONE
GESÙ CRISTO HA FONDATO LA CHIESA PERCHÉ QUESTA, ATTRAVERSO I
SECOLI, APPLICASSE ALLE ANIME I FRUTTI DELLA SUA REDENZIONE; NEGATA
LA QUALE, LA CHIESA NON HA ALCUNA RAGIONE SUFFICIENTE
D'ESSERE DAVANTI A DIO NÉ DAVANTI ALLA SOCIETÀ UMANA E ALLA
STORIA. ORA, IL M.N. NELLA DOTTRINA DI KIKO RESPINGE LA “REDENZIONE”;
DUNQUE È FUORI E CONTRO LA CHIESA CATTOLICA.
In realtà, secondo Kiko, all'attuale «processo di
desacralizzazione e di crisi di fede, lo Spirito Santo (...) ha risposto
con il Concilio”. In che modo? “Il concilio ha risposto rinnovando
la teologia. E non si è parlato più di dogma della redenzione …”
(p. 67).
Il Concilio Vaticano II però insegna tutto l'opposto, perché
Gesù, “con la sua obbedienza ha operato la redenzione (LG 3).
— Egli “ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le
persecuzioni...” (ivi, 8);
— “il popolo messianico (...) è pure da Lui assunto ad essere
strumento della redenzione...” (ivi, 9);
— “lo stato religioso (...) testimonia la vita nuova ed eterna
acquistata dalla redenzione di Cristo...” (ivi, 44);
− Volendo Dio misericordioso e sapientissimo compiere la
redenzione del mondo (...), mandò il suo Figliolo …” (ivi, 52);
— «Questa unione della Madre col Figlio nell'opera della
redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale
di Cristo...” (ivi, 57);
− nella celebrazione della Messa “si attua l'opera della nostra
redenzione...” (SC 2; cf. UR 12; PC 5; AA 2,5; DH 11; PO 13; GS
67, ecc.).
II
L'UOMO NON PUÒ OFFENDERE DIO
GESÙ HA OPERATO LA REDENZIONE DEL MONDO ESPIANDO IL
PECCATO QUALE OFFESA DI DIO; ORA, SE L’UOMO,
PECCANDO, NON PUÒ OFFENDERE DIO, È CERTO CHE NON HA
ALCUN DOVERE DI ESPIARE; MA SENZA ESPIAZIONE NON SI DÀ
REDENZIONE; DUNQUE, NEPPURE QUESTA AVREBBE AVUTO LUOGO, E
LA CHIESA, ISTITUITA APPUNTO PER CONTINUARE L'OPERA
REDENTRICE DEL CRISTO, NON AVREBBE UNO SCOPO: L'UMANITÀ
PUÒ FARNE A MENO.
Kiko non riesce a concepire il peccato come offesa di Dio;
pensa soltanto - ed è ovvio, come nella Chiesa tutti i teologi
hanno sempre insegnato molti secoli prima di lui — che
l'uomo non può “rubare a Dio in sua gloria...”; non «può recare
danno a Dio (...), perché allora Dio sarebbe vulnerabile e non
sarebbe Dio …”(p. 182). Chi ha potuto mai supporlo?... Dunque,
è ben altro il senso che la Chiesa ha sempre attribuito al peccato
come offesa di Dio: appunto il senso che Kiko ignora,
spiegando — lo vedremo subito — come egli non possa
concepire il dovere dell'espiazione.
Egli sappia - e con lui quanti lo seguono - che l'uomo col suo
peccato, pur danneggiando realmente solo se stesso, o f f e n
d e Dio in quanto commette l'ingiustizia di negarGli quel che Gli
e dovuto: il cordiale riconoscimento del suo sovrano dominio,
e quindi la sua dignità di Valore assoluto, Fine ultimo, Legge
suprema... L'uomo, peccando, Lo rifiuta, per cui presume di sé,
talmente che, se dipendesse da lui, arriverebbe a sopprimerlo...;
egli non sopporta la propria radicale subordinazione
all'«ALTRO»; ed è appunto in questo tentativo che consiste tutta
l'intrinseca perversione della volontà umana, e in questo senso
dobbiamo parlare di «offesa di Dio», anche se Dio, in Sé, resta
inalterato. Non è forse Gesù che parla dei «nostri debiti» con
Lui? (Mt 6,12). Non è forse la giustizia che comanda di
soddisfarli?
— Anche il Concilio, a proposito del perdono ottenuto dalla
misericordia di Dio, parla «delle offese fatte a Lui..”. (LG 11); e S.
Tommaso, più autorevole interprete della dottrina della
Chiesa, riassumendo e anticipando il pensiero di un vero esercito
di Padri e Teologi, ritiene il peccato vera offesa di Dio (S. th., I-II,
q. 47, a. 1, 1um; q. 71, a. 6, 5um; q. 73, a. 8, 2um; q. 21, a. 4,
1um; Suppl., q. 13, a. 1, 1um).
Tutto può riassumersi richiamando il supremo dei doveri: quello
dell'amore di Dio. Ora, rifiutarsi di amarlo, non significa
offenderlo
Kiko, negando la possibilità, nega la necessità della riparazione e il
conseguente beneficio della redenzione, come ricupero di tutti i
beni derivanti dall'amore del Sommo Bene. La Chiesa è stata
fondata da Gesù perché, con la grazia dei sacramenti da lei
amministrati, l'uomo possa partecipare alla Passione espiatrice e
redentrice... Se, in tal senso, non continua l'opera di Cristo, a che
si riduce la sua azione?... come può affermare di «servire» al
mondo?... come può giustificare la propria esistenza di società
superiore a tutte le altre?...
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