I neocatecumenali si difendono da queste accuse affermando che è loro intento ritornare ad un modo di essere della Chiesa come quello che caratterizzava le prime comunità cristiane e, sentendosi perseguitati, sostengono che ciò avviene perché chi segue questo cammino sarà in grado di effettuare delle scelte molto radicali e quindi sarà oggetto di persecuzioni come tutti coloro che seguono seriamente Gesù nella loro vita quotidiana.
Poiché sono stato per molti anni all’interno di una comunità neocatecumenale, mi accingo a scrivere queste riflessioni con il desiderio di offrire un piccolo contributo per la comprensione della personalità psicologica che si determina in coloro che aderiscono al “Cammino”; mi ha spinto a ciò anche la lettura di un libro dello psichiatra americano Jerry Bergman intitolato “I Testimoni di Geova e la salute mentale” (1996), avendo riscontrato fortissime analogie tra il “Cammino Neocatecumenale” e i “Testimoni di Geova”.
Ritengo opportuno, prima di esporre le mie considerazioni, chiarire il significato del termine “setta”: per alcuni esso sembra venire dal latino “secta”, participio passato del verbo “sequor”, che vuol dire seguire; la setta, quindi, sarebbe un gruppo che segue una persona in particolare e le dottrine che essa insegna.
Altri sostengono che proviene dal latino “sectus”, che vuol dire “tagliato”: la setta sarebbe quindi un gruppo che si è staccato da un’aggregazione maggioritaria.
Qualunque ne sia la corretta etimologia, oggi il termine setta ha assunto un significato fortemente negativo, soprattutto di chiusura mentale e partecipativa verso l’esterno, verso cioè coloro che non appartengono ad essa e non ne condividono le azioni e le idee.
Lo spazio limitato a mia disposizione mi impedisce di trattare approfonditamente, almeno per il momento, della tipologia del settario e quindi anche di evidenziare se il neocatecumenale rientra in questa figura, ma spero che la mia esposizione possa offrire qualche valido spunto di riflessione.
Il problema del condizionamento psicologico all’interno delle sette è oggetto di dibattito tra gli studiosi; secondo Frank (1974) i processi mentali che spingono una persona ad entrare in una setta sono simili a quelli utilizzati nella psicoterapia, dove si determina un rapporto rassicurante tra psicoterapeuta e paziente: nell’organizzazione settaria l’adepto si sente meglio e affronta i problemi della vita con più serenità e sicurezza insieme agli altri (fratelli di comunità, catechisti) che spesso diventano la proiezione inconscia delle rassicuranti figure genitoriali.
Le organizzazioni settarie sono, da sempre, accusate di praticare quello che comunemente viene chiamato “lavaggio del cervello”, ma attualmente si preferisce usare il termine “riforma del pensiero” coniato da Lifton (1961).
La persona che entra a far parte di un’organizzazione settaria modifica il proprio comportamento; ciò avviene in modo così sottile che quasi mai il soggetto ne ha percezione, a differenza di chi gli sta vicino che nota i cambiamenti, anche radicali, di ciò che viene chiamato “conversione” (ma si tratta di vera conversione?).
Ora, per chi non conosce il “Cammino Neocatecumenale” è necessario fare un breve sintesi di ciò che avviene, alla persona che lo segue, nell’arco di molti anni (20 e anche più, a seconda dello “spirito di conversione” dell’individuo): alla fine del Cammino, chi lo avrà percorso potrà affermare di aver compreso cos’è il battesimo, o, ancora meglio, lo avrà riscoperto.
Molto spesso chi entra nel Cammino è parente o amico di qualcuno che vi è entrato in precedenza e ne parla con entusiasmo fino alla pedanteria, spinto da un bisogno “missionario” di avere altri fratelli che condividano con lui le “meraviglie” del Cammino.
Chi decide di prendere contatto con il movimento deve partecipare a quindici catechesi, che in genere si tengono in parrocchia con cadenza bisettimanale, e al termine delle quali sarà tenuto a partecipare ad una “convivenza” che si tiene dalla sera del venerdì alla domenica pomeriggio, quando si formerà la comunità.
La convivenza è un crescendo di emozioni e novità che, specialmente per chi è lontano dalla fede, fa scattare un meccanismo di coinvolgimento molto forte ed incisivo, che riporta in superficie quel bisogno di Sacro e di senso della vita che sono presenti in ogni uomo e che, purtroppo, fanno la fortuna delle organizzazioni settarie.
La convivenza inizia con un rito molto suggestivo detto “lucernario”: si rimane al buio per alcuni minuti, dopo di che entra il presbitero con il cero pasquale acceso che squarcia queste tenebre angoscianti; il sabato, dopo una lunga catechesi su come gli ebrei preparavano la pasqua e come tale preparazione abbia poi introdotto la pasqua cristiana, si tiene la celebrazione eucaristica secondo le modalità neocatecumenali della celebrazione del sabato sera: un altare ornato di fiori, in mezzo alla chiesa, con intorno i fratelli della novella comunità e i catechisti (questi ultimi, ovviamente, soltanto durante le convivenze).
Durante la preghiera dei fedeli chiunque può pregare liberamente, ad alta voce, secondo le sue intenzioni, e anche prima dell’omelia del presbitero chiunque può “rendere partecipi i fratelli di ciò che il Signore gli ha comunicato in quelle letture, e come attraverso il Cammino ha cambiato la sua vita”; queste confidenze sono un elemento molto importante del cammino, in quanto attraverso di esse viene data una interpretazione esistenziale della propria vita alla luce di ciò che si legge nelle scritture e prepara il neocatecumenale ad aprire il suo cuore ai fratelli di comunità su quelli che sono gli elementi, i fatti, gli episodi più nascosti e inconfessabili della sua vita.
Questa apparente liberazione diventa però una tremenda arma a doppio taglio, perché se da una parte il “fratello” si sente “liberato” ed accettato perché, come ripetono continuamente i catechisti, “Dio ti ama così come sei”, dall’altra sapere che dei laici come te conoscono la tua vita in ogni sua piega recondita, crea un legame di ambigua dipendenza dal momento che il laico, non essendo tenuto al segreto confessionale come il presbitero, porta, come si può facilmente immaginare, a pettegolezzi certamente non edificanti.
La celebrazione neocatecumenale termina con una danza finale, paragonata a quella che David fece intorno all’Arca di Dio.
La vita della comunità prosegue con ritmi bisettimanali, fatti di preparazioni alle celebrazioni, celebrazione della Parola e celebrazione Eucaristica al sabato sera.
Si arriva così al Primo Scrutinio, in genere dopo due anni, ma molto dipende dalla recettività dei membri della comunità a ciò che insegnano i catechisti. È la prima esperienza forte, in quanto è una tappa in cui l’adepto comincia a denudarsi nel proprio intimo: infatti in questo “passaggio” vi è un forte appello a “provarsi nei beni”, cioè a staccarsi dalle cose a cui si è più attaccati, come, per esempio, il denaro: si viene infatti “invitati”, dai catechisti, a donare qualcosa di personale a cui si è particolarmente legati (non necessariamente soldi ma anche preziosi o altro) a qualcuno che non saprà mai da chi viene il dono.
Ma c’è un momento, in questo rito, che a volte assume forme drammatiche per chi le vive: è quando ogni “fratello” deve dire qual è la sua croce davanti a tutta la comunità e ai catechisti; è un momento di forti emozioni perché ha l’effetto catartico e liberatorio di rendere pubbliche croci che spesso si confessano tra le lacrime e con grande resistenza interiore. Molti in questa occasione mentono perché si vergognano: è il primo passo forte del Cammino e molti sono gli abbandoni. Ma i catechisti rassicurano chi rimane: “non tutti sono stati invitati ad essere sale e luce, il Signore ha invitato te”.
Si viene così a creare un Io apparentemente più forte, una identità di salvato un po’ speciale, di chiamato ad una missione nella Chiesa che non a tutti è data: comincia ad essere calata, sottilmente, una camicia di forza che lega sempre di più, specialmente le persone con un Io debole e poco strutturato che, dopo alcuni anni, non riusciranno a trovare niente fuori del Cammino e nessuno fuori dei “fratelli” di comunità.
Dopo un anno dal Primo Scrutinio, generalmente, si affronta lo “Shemà” (Ascolta Israele), in cui si ribadisce la necessità del segno, cioè il privarsi nei beni.
Ma la vera svolta avviene nel Secondo Scrutinio, quando l’adepto neocatecumenale dovrà prendere decisioni serie e pesanti per la propria vita, in quanto chiamato ad essere sale e luce; si rafforza sempre di più la convinzione che soltanto nel Cammino c’è salvezza, mentre fuori di esso si è fuori dalla Chiesa. Spesso i catechisti ripetono a coloro che sono tentati di abbandonare il Cammino “fuori del Cammino sarai nella morte perché questa è la strada che il Signore ha scelto per te”.
Concetti simili vengono ripetuti anche in altre occasioni e per altri motivi; a pagina 20 degli “Orientamenti alle equipes di catechisti per il secondo scrutinio battesimale” (uno dei “sacri testi” del Cammino Neocatecumenale) Kiko Arguello afferma: “Ho visto un parroco che ci ha fatto la guerra per tutta la vita e che ci odiava. È bastato un momento, un tachicardia un po’ forte un notte perché quest’uomo riprendesse la sua vita seriamente, è cambiato completamente”. Quindi, per il Sig. Arguello quel parroco ha avuto una provvidenziale tachicardia per accettare il Cammino!
Di esempi così, tra i fratelli di comunità, se ne raccontano molti, specialmente da parte dei catechisti, che così inducono sempre di più le persone a vedere questo Cammino come l’unico, o perlomeno il migliore che la Chiesa possa offrire.
Caratteristica di questo secondo scrutinio è la rinuncia ai cosiddetti “idoli” e, una volta che la comunità ha superato questa fase, c’è la richiesta della decima dei propri guadagni, da versare, come sempre si fa in occasione delle collette tra i N. C., in un sacco che, per spregio, viene definito della spazzatura (quale simbolo negativo del denaro).
Il Cammino continua con “l’iniziazione alla preghiera” in cui l’adepto, dopo opportune catechesi, scopre o riscopre la bellezza dell’orazione e inizia a pregare con la liturgia delle ore; le coppie che “camminano” insieme lo fanno strutturando sempre più l’adesione alla comunità con i figli, i quali siccome possono essere considerati “idoli”, come insegnano i catechisti, la sera possono essere lasciati a casa, accuditi da baby sitter o nonni o altri se i genitori, in un moto di pietà, risparmiano loro la prolissità delle celebrazioni!
Altri passaggi sono la Redditio, in cui viene consegnato il Credo, e la Traditio, finita la quale il N. C. davanti a tutta l’assemblea racconta tutta la sua vita, spesso con i particolari più inopportuni, per dire quanto il Cammino ha cambiato la sua vita, e quindi recita il Credo.
Il Cammino termina con “l’elezione”, ove si scopre o riscopre il battesimo.
La brevità dello spazio mi ha imposto di sintetizzare in modo vistosamente lacunoso lo snodarsi del Cammino, ma vorrei comunque offrire alcune considerazioni.
Lungo il Cammino vi è un controllo sottile e impercettibile di ciò che l’individuo fa nel frequentare la comunità; all’inizio, infatti, si richiede un impegno relativamente breve: si deve partecipare alle due celebrazioni settimanali ed alla loro preparazione, quando è necessario.
La persona acquista così, pian piano, un linguaggio, un modo di fare, sempre più intonato allo spirito del Cammino; tutta la sua vita cambia in funzione del Cammino, che è l’unica cosa che l’appaga.
Le informazioni vengono tenute nascoste; i testi di cui si servono i catechisti non sono pubblicati; ad un parroco prima fu negato che vi fossero dei testi di riferimento, poi fu detto: “Ma anche tu devi convertiti, non sei ancora giunto a questa fase del cammino”!
Attraverso l’impegno nel Cammino, che come ribadiscono i catechisti “è tempo dato a Dio”, la persona viene aiutata a non pensare, quando manifesta i suoi dubbi e perplessità a qualche “fratello”, o ancora di più ai catechisti, viene detto che è Satana a volerlo allontanare da Dio; il più delle volte, quando si hanno tentazioni di questo genere si viene invitati a parlarne ai catechisti.
Questi ultimi diventano, a poco a poco, i padroni della vita. I peccati del passato vengono usati per condizionare, o peggio, denigrare la persona. Dopo tanti anni si ha una profonda convinzione: i catechisti non sbagliano mai!
Ma uno degli elementi più gravi è il controllo delle emozioni della persona attraverso il senso di colpa e la paura. Nella prima catechesi, parlando della vasca battesimale in cui si deve scendere per guardare in faccia i nostri peccati, come insegnano i catechisti, uno di essi disse: “dovete scendere nella fogna per poi risorgere con Cristo”, ed un altro catechista disse: “la comunità comincia a crescere quando litigate e tirate fuori il putridume che avete dentro di voi”. Tutto ciò è molto diverso da quella metanoia (conversione) che insegna la Chiesa, la quale ci ricorda innanzi tutto che siamo stati salvati dall’amore di Dio e ci fa sentire la gioia della Sua misericordia pure in mezzo alle nostre miserie.
Ma la colpevolizzazione, che è ben diverso dal riconoscersi umilmente peccatori, è uno dei mezzi più importanti per controllare le emozioni e i sentimenti delle persone. L’umiltà male interpretata può condurre alla rinuncia a se stessi come elemento alienante, costruendo così personalità che tendono ad un ideale talmente alto che si sentono colpevolizzate se non riescono a raggiungerlo.
Ai membri delle comunità viene inculcato che essi fanno parte di un elite privilegiata nella Chiesa, destinati a portare la salvezza nel proprio ambiente di lavoro, in famiglia o addirittura in terre di missione, come nel caso dei “catechisti itineranti”.
Come già scritto, spesso si sentono dai catechisti frasi tipo: “Voi il Signore ha scelto e invitato e non altri”; frasi simili portano a credere di avere avuto una “elezione speciale” gratificando inconsciamente il proprio Io frustrato.
Altro elemento caratteristico del N. C. è lo zelo con il quale si fa ciò che dicono i catechisti, e soprattutto il fondatore del Cammino: infatti nelle comunità le celebrazioni si fanno non in chiesa ma in un sala, l’altare deve essere un tavolo, la patena, il calice, la croce, il leggio e quant’altro deve essere rigorosamente firmato “Kiko”! Tutto ciò ha del maniacale! In una parrocchia non neocatecumenale la sposa ha preteso che tutto fosse celebrato nello stile “ispirato” a Kiko, con croce, altare, calice, patena, canti etc.
Chi per anni ha assuefatto a questo stile il proprio rapporto con Dio, difficilmente riesce poi a distaccarsene e a vivere la propria fede sempre nella Chiesa ma in modo diverso! Si crea una dipendenza psicologica che porta le persone a controllarsi reciprocamente e a demonizzare tutti coloro, anche vescovi e presbiteri, che non condividono il cammino. Un catechista disse “È bene che abbiamo vescovi e preti contrari, perché questo rafforza il nostro cammino, è il segno che siamo sulla strada giusta”.
Molti neocatecumenali sembrano aver perso quelle capacità logico-critiche che rendono il vero cristiano uno che, come dice la scrittura, rende ragione della sua fede! È vero che molti criticano il Cammino, ma non hanno poi il coraggio di lasciarlo perché lo identificano con la Chiesa; forse non sanno, o non vogliono sapere, che la Chiesa è uno spazio ben più ampio e libero di quello che propone Kiko e i suoi catechisti! Si crea all’interno delle comunità un effetto euforizzante e autogratificatorio che raggiunge il suo acme nella veglia pasquale che si celebra per tutta la notte, e in cui vengono amministrati i battesimi dei bambini che, crescendo, subiscono via via nel tempo questo tipo di formazione religiosa molto discutibile.
A proposito dei bambini scrivevamo prima che i neocatecumenali sono in genere molto prolifici perché loro sarebbero aperti alla vita, ma poiché i figli non devono essere idoli vengono lasciati anche fino a tarda notte in balia di nonni e baby-sitter, perché Dio viene prima di tutto, e Dio viene identificano col Cammino. Quando nel secondo scrutinio viene chiesto di gettare l’idolo della nostra vita, non so se qualche neocatecumenale abbia mai sospettato che forse per qualcuno l’idolo potrebbe essere il Cammino stesso!
Molti dimenticano che un cammino deve essere un mezzo per arrivare a Dio e non il fine.
Volendo chiudere queste riflessioni, necessariamente sintetiche, sul Cammino vorrei sintetizzare che:
Crescere nella fede è crescere nell’amore, non fare sia pure per tanti anni delle cose, preparare e celebrare, fare dei passaggi o altro. L’inganno che c’è in molti N. C. è credere che “facendo delle cose” per anni ci si converta, ma dovrebbe essere di monito quello che un documento della S. Sede pubblicò nel 1986 da parte del Segretariato per l’unione dei cristiani dal titolo “Il fenomeno delle sette o nuovi movimento religiosi: Sfida pastorale” la pagina 3 “Uno spirito del genere (si sta parlando dell’intolleranza delle sette) può riscontrarsi nei gruppi di fedeli appartenenti a chiese o a comunità ecclesiali”.
A questo punto si pongono alcune domande che non hanno trovato risposta. Perché i testi di Kiko sono così rigorosamente segreti? Perché i neocatecumenali non rendono pubbliche le loro entrate? Hanno mai pensato che le critiche fatte loro, sia dottrinali che metodologiche, potrebbero esser dettate dall’amore per la verità e non da diavoli persecutori che ce l’hanno con loro? Hanno mai riflettuto, vista la familiarità che hanno con la Parola, su quel versetto di Osea che dice “Misericordia io voglio non sacrifici”? (Os 6,6).
Grazie
Gli ultimi 2-3 anni sono stati per me davvero “infernali”: volevo andare via ma mio marito temporeggiava, voleva aspettare ancora, avere le prove di quello di cui mi lamentavo a più non posso….che lui era al servizio totale dei catechisti, che ci sfruttavano economicamente, che ci stavano “rubando” la vita, che le donne non contavano nulla (dovevano fare figli e tacere ), che i catechisti avevano un potere assoluto e insindacabile.
Appena i catechisti hanno capito che chiedevo spiegazioni, che volevo più chiarimenti sul cammino, hanno cominciato ad isolarmi, a non parlarmi, anche a ridicolizzarmi davanti a tutti, consigliando a mio marito di tenermi a bada perchè il….diavolo mi stava tentando!!!
Finalmente al 2 passaggio mio marito ha aperto gli occhi e siamo usciti da quell’incubo: quanti soldi sono stati raccolti in quel passaggio e quante persone ho visto piangere. Adesso mi sono ripresa la mia vita. Gesù Cristo quando annuciò la sua Parola, non voleva certo tutto questo, ASSOLUTAMENTE.
Grazie per aver avuto la pazienza di leggermi.
Miriana
se qualcuno può darmi informazioni a riguardo.. grazie
Anche io ho fatto parte delle “comunità”! Anzi a dire il vero erano i miei genitori che ne facevano parte!! Erano catechisti ed erano anche arrivati alle battute finali del Cammino…Di conseguenza io sono nato e cresciuto nel Cammino e le testimonianze che ho letto sù sono assolutamente reali, vere: in merito alla raccolta dei soldi (che poi diventa quasi una sorta di imposizione), al condizionamento psicologico (che è a dir poco martellante), alla condizione della donna (ridotta ad una semplice “sforna-figli a ripetizione”), al fatto che devi raccontare tutte le cose della tua vita (e che poi vengono raccontate in giro uscendo anche fuori dall’ambiente del cammino ahimè)…insomma è tutto vero!!!!
Mio padre ha fatto per amore dei cosiddetti “Fratelli di comunità” cose che, se potessi ritornare indietro nel tempo, gli avrei di sicuro spaccato la testa!!! E purtroppo mia madre (proprio per la condizione di asservimento a cui sono soggette le donne) purtroppo gli ha lasciato fare!! E’ stato l’errore più grande della sua vita anche se per orgoglio non lo ammette mai!! Raccontare qui quello che abbiamo dovuto passare è impossibile: mio padre ha perso il lavoro (aveva un ottimo lavoro e guadagnava molto bene) e quando ha smesso di lavorare non avevamo un soldo in banca proprio perchè dava a tutti a destra e manca!! Ma non è neanche questo il problema!! Dopo aver aiutato a tutti quelli che venivano a bussare alla porta di casa mia a chiedere soldi, nel momento in cui lui si è trovato in difficoltà tutti quanti gli hanno girato le spalle…soprattutto quei bastardi a cui aveva dato anche il cuore (e che nel frattempo si erano belli e sitemati)!! Non solo…non potendo più garantire quella decima che lui versava periodicamente per riempire il c…o a Kiko e a quell’altra Carmen, conoscendo i suoi problemi, i suoi catechisti lo hanno praticamente declassato: gli hanno tolto la responsabilità della sua comunità e gli hanno detto che non poteva fare il catechista: evento che (non stò scherzando) mio padre e mia madre hanno vissuto quasi come se avessero perso un figlio!!!
Per quanto mi riguarda, avevo già abbandonato il cammino prima che i miei genitori avessero questi problemi, proprio perchè avevo capito l’ipocrisia e la perfidia di questi mentecatti!! Ma vi assicuro che è stata molto dura dover affrontare questa strada: le umiliazioni e la solitudine a cui vieni sottoposto è a dir poco sconvolgente!!
Beh…adesso mi fermo perchè al solo pensiero mi viene ancora il sangue acido…Ciò che consiglio a tutti è quello di stare alla larga da questa massa di cialtroni, deboli e ipocriti soprattutto!!! Non è vero che al di fuori del cammino…anzi…è proprio fuori dal cammino che si apprezza di più la vita con le sue diversità!!
In bocca al lupo e mi auguro che la mia testimonianza possa servire a qualcuno!!!
Nessun commento:
Posta un commento