venerdì 2 luglio 2010
ENRICO ZOFFOLI
POTERE E OBBEDIENZA
NELLA CHIESA
Pro manuscriptu
PREMESSA
La Chiesa emerge su tutte le società umane
particolarmente per il potere che esercita e il
conseguente dovere di obbedire che né risulta per i
credenti.
È lo stesso potere di Cristo, suo vero ed unico Capo;
per cui ha un senso solo dipendentemente dai rapporti
soprannaturali dell’uomo col Dio Vivente e, quindi,
nell’ambito della grazia, in vista della salvezza eterna
possibile per i meriti del Redentore del mondo.
Dunque, potere trascendente per la sua origine, la
natura, la finalità. Esso, proprio di Dio, attraverso la
mediazione del Cristo, è partecipato ed esercitato
dalla Chiesa, fondando quel suo regime sovrumano
che esclude la democrazia come la grazia supera la
natura.
Si tratta però del POTERE DELL'AMORE che crea,
eleva, redime; dal quale è doveroso dipendere solo
per goderne tutto bene possibile, esclusivo fine» della
gerarchia che comanda e dell'assemblea dei fedeli
che obbediscono per conseguirlo.
Così, nella Chiesa, la trascendente potenza
dell’Amore concilia «Autorità divina» e «libertà umana»,
come l'umanesimo ateo si è sempre ostinato a negarlo,
seguendone tutte le resistenze e i rifiuti del mondo, e
tutti gli equivoci e i tradimenti dell'elemento umano
che, pur essendo nella Chiesa, non è della Chiesa
perché da essa non assimilato, per cui non ne risponde.
Per questo, una teologia del potere e
dell'obbedienza cristiana non prescinde dalla storia,
che gli anticlericali di tutte le risme si compiacciono di
citare per colpire la Chiesa e irridere la sua fede,
commettendo però l'errore di condannare soltanto se
stessi.
Roma, 25 marzo 1996
L'AUTORE
I
POTENZA E VOLONTÀ DEL DIO VIVENTE
Dio può ogni cosa, potendo realizzare tutte le infinite
possibili partecipazioni dell'essere. Se dunque è Causa
Prima che crea, è anche Fine Ultimo, che finalizza,
essendo il Bene a cui ogni cosa tende per attuare
pienamente se stessa; e ciò perché Egli è pure
Provvidenza sovrana che tutto dirige e sostiene.
Ora, creazione, conservazione e premozione sono
affermazioni di un Potere trascendente, a cui risponde
ogni cosa come ad un comando categorico,
irresistibile.
Questa la fondamentale obbedienza della creatura,
che solo subordinandosi al volere di Dio realizza,
conserva e perfeziona se stessa.
Se soltanto l'essere è bene, Dio, partecipando
l'essere, comunica la propria bontà, compie il primo e
indispensabile atto dell'Amore che tutto dona, nulla
esige, nulla riceve.
Così, la creatura, obbedendo a Lui, dà soltanto a se
stessa: la sua dipendenza da Dio costituisce un'autoaffermazione
attuata quale incontenibile amore di sé,
per cui il dovere dell'obbedienza coincide col diritto ad
un'autonomia che è soltanto coerenza o identità di sé
a sé, partecipazione analogica dell'unità di Dio, Essereper-
essenza.
Segue che i precetti della legge naturale - riflesso
della Legge eterna nell'uomo - non sono imposizioni
costrittive e alienanti, ma sapienti indicazioni dell'unico
modo nel quale la creatura può amare se stessa,
realizzando lo scopo per cui è stata creata.
E con più ragione i precetti della legge di grazia
mirano unicamente a consentire all'uomo la
partecipazione alla vita trinitaria, che lo eleva oltre tutti
i limiti della sua natura: la piena passività al volere di Dio
esaurisce tutte le possibilità di sviluppo proprie della
persona umana animata dallo spirito.
II
PRIMATO E REGALE POTENZA DI CRISTO
Gesù, Verbo Incarnato, è la personale rivelazione del
Dio Creatore e Provvidenza, suprema comunicazione di
Colui che è l'ESSERE FILIALE alla natura umana assunta,
che per Lui sussiste ed opera, emergendo come Sintesi
di tutto il creato e il creabile.
Essendo Archetipo universale, è per il Cristo che l'uomo
ha un valore e la sua storia un senso, affermandosi
ad un livello che solo l'infinita gratuità dell'Amore di Dio
può spingersi.
Il suo Regno non conta sudditi che Gli debbano del
proprio, perché tutto ricevono dalla sua liberalità inéffabile.
Gesù è un Pastore che dal gregge non trae alcun
profitto, avendo Egli sacrificato Se stesso per salvarlo,
difendendolo da lupi e mercenari.
È Giudice soltanto per dare a ciascuno anche più del
suo, avendoglielo fatto acquistare per i suoi meriti ed
essendo venuto per dar la vita e darla in abbondanza;
per guarire e salvare il mondo, non per condannarlo.
Egli dà l'acqua viva che disseta in eterno; dà Se
stesso come Pane disceso dal cielo; è l'unica Via che
conduce al seno del Padre; è la stessa Verità che ne
rivela il Mistero.
Invita a prendere il suo giogo che però è leggero;
esorta a rivolgersi a Lui per dare a tutti gioia e conforto.
Se non abolisce la Legge antica è solo perché intende
superarla con la propria. Stimola a chiedere, perché
vuol dare; a bussare, perché desidera aprire,
dichiarando che riceve infallibilmente chiunque chiede
quel che il Padre ha stabilito di dargli, non essendo vero
né possibile alcun bene che sia estraneo ai suoi disegni.
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È l'unico Maestro che richiama la necessità della
morte e ne fa anzi gli elogi, alludendo però a quella
che è superamento di quanto è illusorio ed effimero.
Secondo Lui, la vera vita, feconda ed eterna, la
suppone come condizione necessaria. Ed è per questo
che - per il «Regno dei cieli» - invita a vendere tutti gli
averi e voltar le spalle persino alle persone più care.
Percorre la Palestina, affascina moltitudini che l'ascoltano
e seguono ovunque; si circonda di discepoli e
compie prodigi, ma dopo esser vissuto lunghi anni
confinato nel suo borgo, nell'oscurità della sua
condizione di artigiano, deciso ad affrontare povertà e
disagi, rivalità di nemici potenti ed astuti, rifiuti,
persecuzioni, condanne.
Davanti ai suoi giudici non esita a dichiarare il carattere
messianico della sua missione e persino la sua dignità
regale; ma, insieme, si lascia schernire e
flagellare... Se volesse, potrebbe difendersi, ma
preferisce cedere, non volendo opporre violenza a
violenza... Del resto, il suo regno non è di questo
mondo. Per questo esorta ad imparare da Lui umiltà e
mitezza, ad essere semplici come colombe, e proclama
la beatitudine dei pacifici quali figli di Dio.
Ha parenti, amici, ammiratori e specialmente
discepoli che lo seguono, volenterosi e affezionati; sono
da Lui mandati ad annunziare la venuta del regno e nel
suo nome compiono anche miracoli.
Ma non s'illude, prevedendo che uno di loro lo
tradirà; il più zelante giurerà di neppur conoscerlo; tutti
gli altri lo abbandoneranno al suo destino. Tutto è stato
da Lui predetto, spiegando ai suoi la sublime finalità
della sua morte, volontariamente subìta ed anzi
desiderata perché necessaria per la salvezza del
mondo.
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Egli, Signore e Maestro, lava i piedi agli Apostoli, da
Lui esortati ad imitarlo, perché il primo tra loro deve
comportarsi come se fosse ultimo, seguendo il suo
esempio, venuto solo per servire, non per essere servito.
L'unico vero primato da ambirsi è quello di un servizio
ispirato dall'amore che sa creare e redimere...
Radicale, perciò, il capovolgimento dei rapporti sociali
di tutti i livelli, come alta e inconfutabile è la
proclamazione di valori soprannaturali, incompatibili
con tutti gli umani criteri e passioni che dominano la
storia del mondo.
Se è intransigente e talvolta anche terribile, è solo per
difendere il decoro del culto, la sacralità del Tempio,
per poter smascherare l'ipocrisia di dotti e potenti,
colpire i falsi e degeneri figli di Abramo, riaffermare la
legge di Mosé contro insulse tradizioni farisaiche.
Così, tra Lui e il potere religioso e civile della sua
nazione il contrasto è profondo, insanabile. Secondo
Sinedrio, Gesù è un ribelle, la libertà con la quale
s'impone alle folle è presunzione e insolenza, e ciò
soprattutto quando si attribuisce prerogative divine: Egli
bestemmia! I suoi pretesi miracoli sono opera del
demonio, la sua eloquenza è demagogica; inaudita,
incomprensibile, assurda la sua dottrina. Spacciandosi
per Figlio di Dio, è reo di morte. Che sia perciò
crocifisso!
Così, nel caso di Gesù - assolutamente irripetibile - i
detentori del potere sono dalla parte della menzogna e
della sopraffazione; mentre la verità e la giustizia sono
da quella del Condannato.
La somiglianza del processo di Socrate al suo è innegabile.
Appunto quel che gli onesti, seguendo la
ragione, hanno sentenziato dopo l'ultimo respiro del
Crocifisso; e credenti, alla luce della fede, non hanno
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più cessato di ripetere.
III
«LA MIA CHIESA»
Morto, risorto e asceso al cielo, Gesù intende continuare
la sua opera redentrice illuminando le coscienze,
santificando le anime, dirigendo la vita dei credenti.
La sua luce è quella irradiata dal Verbo, la santità è
quella stessa del suo Spirito, la vita non può essere altra
da quella di una natura restaurata e sublimata dalla
grazia, di cui Egli è la fonte per i meriti del suo Sacrificio
di espiazione e redenzione.
Essenzialmente superiore a tutte le società umane, la
vera Chiesa di Cristo, quanto alla sua anima, alla sua
struttura, ai suoi poteri, alle sue proprietà e al suo destino,
non dipende dai fedeli che la compongono e
neppure dal Clero che la dirige. Tutti infatti la
suppongono perché fondata da Cristo, scaturita dalla
trascendente vitalità del Verbo Incarnato che ne è il
Capo, mentre per l'azione vivificante del suo Spirito è
stabile e coerente, tutta gloriosa, senza macchia né
ruga, santa e immacolata (Ef 5,27), capace di
ambientarsi e vivere ovunque e sempre, evolversi e
prevalere contro tutta la potenza del Maligno.
Perciò, quanti le appartengono - chierici e laici - per
se stessi, di proprio, non hanno nulla di positivo, non esibendo
che i limiti di una natura umana decaduta, con
tendenze al male, causa di tutte le sciagure della vita,
delle infinite tragedie della storia.
Soltanto se prevenuti dalla Grazia che li incorpora al
Cristo, essi compongono la Chiesa quali suoi membri:
alcuni come semplici fedeli in virtù del battesimo...; altri
come suoi ministri, rappresentanti visibili di Cristo per
l'Ordine sacro.
Proprio perché appartengono alla Chiesa e NON
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SONO LA CHIESA, tutti possono separarsi da essa con lo
scisma, cadere in errore con l'eresia, perdere la grazia
col peccato; mentre la Chiesa, Madre e Maestra, resta
inalterata e inalterabile, conservando ed anzi
aumentando la ricchezza e fecondità della sua vita,
con l'unità, la santità e la potenza di espansione e
sviluppo che la distinguono da tutte le società umane.
Soltanto i membri che in tutto o in parte
l'abbandonano, sono destinati a perire come i tralci
recisi dalla Vite che è Cristo; mentre la loro defezione
nulla sottrae alla Chiesa e ai fedeli che vi perseverano,
restando uniti tra loro nella doverosa dipendenza dalla
gerarchia.
* * *
Sopra tutti emerge il Papa, Vicario di Cristo, Successore
di Pietro, Vescovo di Roma, Capo del Corpo
episcopale succeduto al Collegio apostolico. Egli
possiede la pienezza dei poteri in quanto supremo
Maestro di verità, Sommo Pontefice nel sacerdozio,
esclusivo Capo responsabile nel governo della Chiesa.
Ma resta una creatura umana, capace di peccare,
bisognoso del perdono di Dio per l'applicazione dei
meriti di Cristo. Per se stesso, dunque, il suo primato non
fonda quel fatto eminentemente personale che è la
santità; ossia non lo rende moralmente esemplare, non
lo sottrae ai giudizi e alle condanne altrui, potendo
comportarsi -nella sua condotta privata - contro la
dottrina che insegna, come documenta la storia...
Se il Papa, come tale, non è santo, come Maestro
invece è infallibile ogni volta che si rivolge alla Chiesa
universale per definire in modo categorico, chiaro e
irrevocabile il senso della Parola di Dio tramandata e
scritta riguardante la fede o i costumi. Si tratta,
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appunto, del magistero ex cathedra impartito da solo,
oppure dirigendo e approvando le decisioni di un
Concilio Ecumenico.
Dunque, assolutamente parlando - potrebbe errare
quando insegna come dottore privato1, esprimendo
opinioni personali, rivolgendosi a particolari gruppi di
fedeli, riferendosi a rami del sapere estranei al deposito
della fede.
Questa limitazione è indicata dalla stessa definizione dogmatica del Concilio
Vaticano I, che dichiara il Papa infallibile solo come persona pubblica, ossia quando
insegna «ex cathedra», come Pastore e Dottore universale: «… cum omnium
Christianorum pastoris et doctoris munere fungens...» (sess. IV, c. 4, D-S 3074). «La
Chiesa» — e non questo o quell'individuo, questo o quel gruppo di fedeli — ha bisogno
del Papa soltanto in quanto Papa. Solo quando insegna come tale è nécessario che
sia infallibile. Non può supporsi tuttavia, che egli arrivi a sostenere il contrario di quanto
la Chiesa ha sempre insegnato ed egli ha creduto: F. Suarez, contro molti, sostiene che
il Papa non può cadere néll'eresia (cf. De fide, disp. X, sect. VI, n. 11). S. Roberto
Bellarmino è d'accordo (De Romano Pontifice, IV, c. 6). D'altra parte, secondo la
predizione di Gesù, Pietro, una volta ravveduto, avrebbe dovuto confermare i fratelli
nella fede (Lc 22, 32). Fede che egli ovviamente avrebbe conservato anche nei suoi
successori: il carisma dell'infallibilità — nei limiti indicati dal Vaticano I — può conciliarsi
benissimo con la personale fedeltà al dogma, tale da escludere qualsiasi caduta
nell'eresia; esclusione non certo assoluta, ma relativa ad un puro dono dello Spirito, che
non può permettere un vero e proprio contrasto tra le intime convinzioni del Papa
come «persona pubblica» e del medesimo come «persona privata». La dicotomia
sarebbe insostenibile anche dal punto di vista di una normale psicologia umana.
Inoltre, può non avere una cultura enciclopedica,
non essere particolarmente versato e autorevole
neppure in campo teologico e biblico, non essere un
buon diplomatico, un oratore eloquente, e néanche un
pastore zelante, avveduto, potendo meritarsi pertanto i
più severi giudizi della storia.
* * *
L’autorità con la quale si pronunzia infallibilmente alle
condizioni indicate non dispensa il Papa dal grave
dovere di pregare, studiare, consultarsi con gli esperti. I
suoi giudizi ex cathedra implicano necessariamente il
rispetto di tutte le precedenti definizioni del Magistero,
non potendosi permettere di affermare o negare nulla
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di realmente contrario a quanto la Chiesa universale ha
sempre creduto e professato. I suoi interventi, perciò,
possono unicamente confermare, precisare e
sviluppare ab intra il complesso delle verità rivelate,
trasmesse dagli Apostoli e contenute nella Sacra
Scrittura, secondo quanto san Vincenzo di Lerino ha
stupendamente chiarito a proposito dell'evoluzione dei
dogmi, inconciliabile con qualsiasi genere di
trasformismo e storicismo (cf. Common. I, c. 23, PL, 50,
667-8).
Il Papa, dunque, viene meno al suo dovere di Pastore
e Dottore universale, se:
- permette la diffusione di dottrine teologiche e teorie
morali contrarie alla fede; oppure tarda ad
intervenire e opporsi efficacemente ai rispettivi autori
responsabili...;
- approva o si adatta ad una prassi liturgica meno
rispettosa dell'onore di Dio, meno adatta a stimolare,
conservare e aumentare la fede e lo zelo pastorale
dei ministri, il fervore e la perseveranza dei fedeli...;
meno sollecita a prevenire sacrilegi e irriverenze,
principalmente contra Mistero Eucaristico, sollevando
gravi dubbi sulla verità dei dogmi, provocando
discussioni sulla credibilità del Magistero, sulla vera
Chiesa di Cristo;
- promuove un ecumenismo equivoco, che induce a
supporre che tutte le religioni siano oggettivamente
vere, capaci di salvare le anime, per cui la Chiesa
Romana non sarebbe la sola che, fondata da Cristo,
rappresenta l'unico Ovile del suo Gregge, al quale
tutti almeno potenzialmente - appartengono...;
- non si cura della più oculata scelta dei Pastori delle
diocesi; non si preoccupa dell'ortodossia dei
professori di Seminari e Università cattoliche...; si fida
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ciecamente della competenza e rettitudine dei
collaboratori.
* * *
I Vescovi sono Maestri, Pastori, Pontefici e Capi delle
rispettive diocesi a cui sono destinati dalla S. Sede. Ma,
per ciò stesso, nessuno può dirsi virtuoso, anche se più
obbligato di tutti a santificarsi...; nessuno infallibile,
anche se presume di conoscere quanto riguarda il
dogma, la morale e la storia per insegnare e
correggere chi erra.
Pertanto, assolutamente parlando, tutti possono
essere disonesti, riprensibili, fare buon viso all'errore,
cadere nell'eresia, propagarla o favorirne la diffusione,
non curarsi di condannarla; provocare scismi e dare
scandalo con la propria condotta, come comprova
una lunga storia di apostasie e defezioni...
I Vescovi sono maestri infallibili soltanto quando, dispersi
nelle varie diocesi del mondo o riuniti in Concilio
ecumenico, si uniformano al Magistero personalmente
infallibile del Papa. (Cf. Lumen gentium, 25).
Sacerdoti, parroci, confessori e padri spirituali, in virtù
del loro carattere sacro o autorizzati ad una data
mansione dai superiori, non sono né possono ritenersi
santi e, assai meno, infallibili maestri di verità. La loro
credibilità è relativa al grado di sintonia della loro
dottrina con quella della Chiesa, in nome della quale si
presentano e si pronunziano...
I fedeli, membri del Corpo Mistico per il battesimo,
sono elementi della Chiesa da ritenersi passivi nel senso
che ad essi spetta principalmente ricevere,
dipendendo dalla gerarchia che, in virtù dell'Ordine
sacro, funge da intermediaria dell'opera redentrice di
Cristo.
Ma appunto per questo anche i membri del Clero, in
quanto battezzati, si trovano a livello di tutti i semplici
fedeli, dipendendo dai ministri del culto per quanto
concerne le loro personali esigenze di vita cristiana...
Perciò, anche il Papa e i Vescovi, i parroci e i padri
spirituali devono frequentare il sacramento della
penitenza, cioè ricevere l'assoluzione sacramentale,
dipendere dal giudizio del confessore.
* * *
Riepilogando, nell'ambito dei rapporti tra Dio e l'uomo,
l'assoluto primato di Dio si risolve nell'amore
infinitamente liberale per il quale Egli dà tutto, mentre
l'uomo tutto riceve per il fatto stesso di dipendere da
Lui, compiendo la sua volontà...
Anche Gesù nella sua obbedienza al Padre spinta
fino alla morte, non solo non ha perduto nulla, ma tutto
ha ricevuto nell'affermare la sovrumana potenza della
sua mediazione salvifica, procurando a Sé, e
all'umanità redenta, la massima gloria e beatitudine
desiderabili.
La Chiesa, sua Sposa, è stata da Lui fondata solo
perché sia Madre di Santi, strumento di salvezza
universale per l'esercizio di un potere divino,
comunicato ai membri della gerarchia unicamente per
far conoscere tutta e solo la verità rivelata; elevare e
intensificare la partecipazione dei fedeli al Sacrificio
Eucaristico, culmine e fonte di tutto il culto e della vita
cristiana; stimolarli alla santità quale perfezione
dell'amore di Dio e del prossimo, secondo la vocazione
di ciascuno.
Dunque, il sacerdote deve dare, non ricevere. Dare
non qualcosa di proprio, ma soltanto quel che a sua
volta riceve da Cristo, non avendo nulla di suo... Dare,
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uniformandosi al volere di Dio, volto unicamente al
bene dei fedeli, come questi devono obbedire soltanto
per ricevere tutto e solo quel bene dai rispettivi
superiori.
Quando questi non lo danno, ovviamente ne privano
i fedeli, perdendo ogni diritto ad essere creduti e
obbediti. Nel qual caso i fedeli - non obbedendo - non
offendono Cristo, ma un suo nemico nel suo indegno
ministro; non si ribellano alla Chiesa, ma ad un suo
intruso che tenta demolirla. Soltanto lui, comportandosi
contro le finalità del suo sacerdozio e abusando dei
suoi poteri, è responsabile del dissidio che turba la pace
della comunità ecclesiale, non potendo i fedeli
adattarsi ad una dottrina errata, ad una prassi contraria
alla dignità del culto, alla santità della vita cristiana.
IV
TRADIZIONE APOSTOLICA
Ci volle tutto il fuoco dello Spirito perché a
Pentecoste gli Apostoli, dal primo all'ultimo, scoprissero il
mistero della divina Persona di Gesù, la verità della sua
dottrina, il senso della sua opera redentrice.
Nessuno, prima, era riuscito ad intendere che Egli era
la suprema rivelazione del Padre, Bene infinito che tutto
dona e nulla esige, imponéndo all'uomo l'unico dovere
di obbedire lasciandosi amare da Lui nel più
incondizionato abbandono alla sua volontà.
Soltanto allora intuirono nel Maestro la Luce del
Verbo nel suo insuperabile contrasto con le tenebre
che non l'avevano accolto, con la nazione ebraica
che l'aveva respinto, con una Umanità deviante e
dispersa, bisognosa della sua sollecitudine di Pastore
disposto a morire per salvarla.
Allora, insomma, si convinsero che Gesù era venuto
non per essere servito, ma per servire, per fondare un
regno che non era di questa mondo, soddisfare le
brame dei figli di Abramo secondo la promessa e, in
loro, riconciliare tutti col Padre.
Ed ecco che, dalla Pentecoste in poi, la Chiesa sorge
con la sua ben delineata struttura visibile e gerarchica,
non provvista che del potere di dare mediante un
sacerdozio ministeriale volto a rendere per tutti efficace
l'espiazione redentrice del Fondatore.
È quanto la Chiesa dei tempi apostolici ha potuto
attuare e trasmettere, documentato negli Atti, nelle
Lettere degli Apostoli, nell'Apocalisse.
L'esempio di Paolo è eloquentissimo per l'ansia di
comunicare i tesori della grazia a tutte le chiese, da lui
fondate e non fondate, istruirle, dirigerle e anche
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riprenderle con la stessa lealtà, vigore e disinteresse del
Maestro.
L'autorità con la quale s'impone e quella stessa eminentemente
paterna di Dio, e l'obbedienza che esige
non priva nessuno dei suoi beni, degli affetti, dell'onore,
della libertà goduta secondo lo spirito della Nuova
Alleanza. «Parlo come a figli - non cessa di ripetere -;
rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro
cuore!» (2Cor 6, 13). «La nostra bocca vi ha parlato
francamente, Corinzi, e il nostro cuore sia tutto aperto
per voi» (2Cor 6, 11).
È l'apertura, la confidenza, la tenerezza, la gioia con
cui Paolo è consapevole di non dare nulla di proprio,
mentre esprime tutto quel che Dio gli rivela, per cui il
vigore con cui insegna non ha nulla di umano. «La
nostra lettera siete voi, lettera scritta non con inchiostro,
ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di
pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. Questa
è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a
Dio. Non però che da noi stessi siamo capaci di
pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la
nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri
adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera, ma
dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita»
(2Cor 3, 2-6).
Questo medesimo è lo Spirito da cui vuole sia
animato anche Timoteo. «Non essere aspro nel
riprendere un anziano - raccomanda - ma esortalo
come fosse tuo padre, i più giovani come fratelli, le
donne anziane come madri e le più giovani come
sorelle» (1Tm 5, 1-3). Con suggerimenti del genere Paolo
non teme che il prestigio di Timoteo come Pastore sia
menomato. Egli si preoccupa anche che nessuno gli
manchi di rispetto per la sua giovane età (1Tm 4, 12),
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ed esorta ad intervenire senz'altro per riprendere alla
presenza di tutti alcuni presbiteri veramente colpevoli
(1Tm 5, 19).
All'Apostolo non interessa tanto la persona umana,
quanto la difesa della verità, la gloria di Dio, la dignità
del sacerdozio...
Appunto per questo, anche Pietro raccomanda ai
Pastori il dovere di pascere il gregge che Dio ha loro
affidato, «sorvegliandolo non per forza, ma volentieri
secondo Dio, non per vile interesse, ma di buon animo,
non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma
– avverte - facendovi modelli del gregge» (1Pt 5, 2-4).
Il divieto di non «spadroneggiare» fa supporre che fin
d'allora certo Clero si attribuisse un potere diverso ed
anzi incompatibile con quello realmente ricevuto da
Dio in virtù dell'Ordine sacro, unico motivo del rispetto e
dell'obbedienza che gli è dovuta; Ordine che, stando
al comando e all'esempio di Gesù, obbliga solo a
servire, non a farsi servire e temere.
* * *
Che poi il sacerdozio si distingua dall'uomo che ne è
insignito è confermato dallo stesso linguaggio usato da
Giovanni nello scrivere ad alcuni vescovi dell'Asia
Minore, non del tutto esemplari.
Potrebbe tacere, ammonirli privatamente, ma
preferisce ripren-derli scrivendo un libro, che ovunque
sarebbe stato letto anche dai fedeli. Perciò non teme
di scandalizzare nessuno, dovendo tutti conoscere la
verità e distinguere i veri dai falsi pastori, e ciò perché i
veri si confermino nel bene, e i falsi si convertano...;
perché fedeli e infedeli non confondano il ministro di
Dio con l'uomo, attribuendo soltanto all'uomo i limiti e
gli errori che la natura induce a commettere, e al
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ministro di Dio la grazia che redime ed eleva, fondando
tutti i doveri del cristiano.
«Ho da rimproverarti - scrive al vescovo di Efeso che
hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda
dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere
di prima.
Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo
candelabro dal suo posto... » (Ap 2, 4-5).
Anche col vescovo di Pergamo usa «una spada
affilata a due tagli». «Ho da rimproverarti alcune cose -
e il caso è particolarmente grave, trattandosi di
complicità nell'eresia -; hai presso di te seguaci della
dottrina di Balaam, quale insegnava a Balak a
provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a
mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi
alla fornicazione. Così pure hai di quelli che seguono la
dottrina dei Nicolaiti. Ravvediti dunque, altrimenti verrò
presto da te e combatterò contro di loro con la spada
della mia bocca» (Ap 2, 12-16).
Quasi identica la colpa che Giovanni rimprovera al
vescovo di Tiàtira, nonostante i suoi meriti. Egli lasciava
fare liberamente ad una donna che si spacciava per
profetessa, parlava e seduceva i fedeli, «inducendoli a
darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli
idoli (…). Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e
coloro che commettono adulterio con lei in una
grande tribolazione, se non si ravvederanno dalle opere
che ha loro insegnato. Colpirò a morte i suoi figli e tutte
le chiese sapranno che lo sono Colui che scruta gli
affetti e i pensieri degli uomini e darò a ciascuno di voi
secondo le proprie opere» (Ap 2, 20-23). «Così parla il
Figlio di Dio», aveva premesso Giovanni, tanto caro al
suo cuore. Precisamente Colui che ha gli occhi
fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo
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splendente (Ap 2, 18).
«Conosco le tue opere», dice pure al vescovo di Laodicea.
«Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi
freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei né
freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu
dici: «Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di
nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un
povero, cieco e nudo...» (Ap 3, 15-17).
Così, dei sette vescovi della provincia asiatica
soltanto quelli di Filadelfia e di Smirne meritano il
compiacimento di Giovanni, «la corona della vita» (Ap
2, 11).
* * *
Pur dovendo ammirare il clima spirituale della Chiesa
apostolica, saremmo ingenui se ritenessimo che tutti i
primi cristiani fossero dei santi: la realtà storica è ben
diversa, come hanno confermato i rimproveri di
Giovanni persino ai vescovi... Quel che, nonostante
tutto, è innegabile è che quei nostri primi padri nella
fede - illuminati dagli Apostoli - potevano distinguere
bene la verità in sé dalle idee e dalla condotta di
uomini anche insigniti del carattere sacro.
Smascherando pubblicamente i lati negativi degli
uomini, gli Apostoli garantivano l’autenticità della
Parola di Dio, l'ortodossia della predicazione, la
illuminata elezione dei Pastori, la fede e serenità della
comunità ecclesiale.
Non altra la ragione per la quale anche gli
Evangelisti, scrivendo le memorie del Maestro, destinate
ad essere lette, meditate e celebrate in tutte le chiese,
non si fecero scrupolo di informare anche neoconvertiti
dal paganesimo dell'ignoranza, della
rozzezza, delle ambizioni, della viltà di quegli Apostoli
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che ovunque figuravano come Capi responsabili e
banditori della nuova religione. A loro interessava far
conoscere Gesù, non se stessi; si gloriavano di
pubblicare quanto Egli aveva operato anche in loro,
trasformandoli in nuove creature... Erano convinti che la
Parola di Dio è credibile per se stessa, non per l’onesta,
la cultura e l'eloquenza dei predicatori...
Paolo non né fa mistero: «Non mi sono presentato ad
annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di
parola o di sapienza.... Io ritenni infatti di non sapere
altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questo Crocifisso
(...). La mia parola e il mio messaggio non si
basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla
manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché
la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana,
ma sulla sapienza di Dio» (1Cor 2, 1-5).
Proprio perché restasse salda la verità del Vangelo
(Gal 2, 5), Paolo, ad Antiochia, si permise un intervento
meritevole della più attenta riflessione.
Appunto in quella città si verificava che i cristiani giudaizzanti
si ostinavano ad imporre ai pagani convertiti
la pratica della circoncisione. Ora, Pietro, pur essendo
convintissimo non meno di Paolo della piena validità
della Nuova Alleanza implicante l'aboli-zione della
Legge antica, permetteva agli Ebrei di comportarsi
secondo le loro tradizioni.
Ma su ciò Paolo non transige, pur essendo stato
«accanito nel sostenere le tradizioni dei padri», sì da
perseguitare «fieramente la Chiesa di Dio e la
devastasse...» (Gal 1,13-14). Egli dissente apertamente
dal Capo della Chiesa, osando informare i fedeli della
Galazia di tutto l'accaduto: «Quando Cefa venne ad
Antiochia, MI OPPOSI A LUI A VISO APERTO PERCHÉ
EVIDENTEMENTE AVEVA TORTO.
23
Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di
Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma
dopo la loro venuta, cominciò ad evitarli e a tenersi in
disparte per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei
lo imitarono nella simulazione, al punto che anche
Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.
«Ora, quando vidi che NON SI COMPORTAVA
RETTAMENTE SECONDO LA VERITÀ DEL VANGELO, DISSI A
CEFA IN PRESENZA DI TUTTI: “SE TU CHE SEI GIUDEO, VIVI
COME I PAGANI E NON ALLA MANIERA DEI GIUDEI,
COME PUOI COSTRINGERE I PAGANI A VIVERE ALLA
MANIERA DEI GIUDEI?...» (Gal 2, 11-14).
L'intervento di Paolo è singolare perché rivela la vera
natura dei rapporti correnti tra Pastori e Pastori, tra
Pastori e fedeli nell’età apostolica.
Certamente Paolo aveva ragione, essendo
preoccupato di salvare il fondamento stesso della fede
cristiana; mentre Pietro aveva torto cedendo ad un
errata misura di prudenza umana, pur essendo anche
prima di Paolo convinto che la salvezza non dipende
dalla Legge di Mosé, ma dalla Croce di Cristo (cf. At
15,10-11; 10, 10-43).
Conclusione: Pietro, primo Vicario di Cristo, mancò al
suo dovere, se non tradendo la verità, permettendo
però che i fedeli restassero almeno dubbiosi, confusi.
Dal suo comportamento, infatti, i giudaizzanti potevano
confermarsi nella convinzione di essere ancora
obbligati a praticare le prescrizioni mosaiche...; mentre i
pagani potevano almeno sospettare che la fede in
Cristo non fosse del tutto sufficiente alla salvezza. Pietro,
insomma, fu un pavido, ed è per questo che - sia pure
alle spalle – dagli illuminati «veniva biasimato» , mentre
Paolo osò riprenderlo in pubblico (Gal 2, 11).
Perciò, i limiti del potere della Gerarchia obbligano
24
ad una obbedienza altrettanto limitata: il dovere di
«camminare dritti secondo la verità del Vangelo» (Gal
2, 14) prevale sull'altro di obbedire e tacere. L’autorità
umana cessa - quanto al suo esercizio - quando
oltrepassa i suoi confini e offende la verità o non la
difende come e quanto necessario perché non sia
tradita. «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini» (At 5, 29), aveva dichiarato Pietro stesso
davanti al Sinedrio di Gerusalemme, alludendo alla
verità appresa dal Maestro e ben capita alla luce del
suo Spirito.
Appunto tale lealtà e fortezza rappresenta l'avvio
della Tradizione apostolica, onorata da san Gregorio
Magno, secondo il quale non c'e da temere scandali
quando è in pericolo la fede per il tradimento della
verità: «Si tamen de veritate scandalum oritur, magis est
sustinendum scandalum quam veritas relinquatur»1. La
verità, appunto, è il primo e maggiore dono dell'amore
fraterno, che non può avere un diverso fondamento
perché non sia illusorio.
Ora, la reazione ad un'eventuale dottrina o
comportamento errato di un qualsiasi membro della
Gerarchia suppone necessaria-mente non un'opinione
personale (sempre discutibile), ma la chiara e distinta
conoscenza di quanto lo stesso Magistero ha sempre
insegnato e i fedeli hanno sempre imparato e vissuto.
Allora, la protesta, anche del più umile dei fedeli, più
che un rim-provero, è il doveroso richiamo alla
coerenza, dote insopprimibile di una Tradizione
ininterrotta, che fa capo alla Parola di Cristo, udita e
trasmessa dagli Apostoli e primaria fonte del Magistero.
In Ez lib. I, hom. 7, PL 76, 842, cit. da S. TOMMASO, Summa th. q. 42,
a. 2, 1um. Nel commento alla lettera di S. Paolo ai Galati, I'Aquinate
riprende l'argomento e, contro il parere di S. Girolamo a proposito del
25
comportamento di Pietro, d'accordo con S. Agostino, ritiene che il
dovere della verità prevale sul pericolo dello scandalo: “Veritas
numquam dimittenda est propter timorem scandali” (in Gal 2, 11-14,
lect. 3, n. 80). E tutto conferma precisando: “Veritas, maxime ubi
periculum imminet, debet publicae praedicari nec fieri contrarium
propter scandalum aliquorum” (iv., n. 83).
V
POTERE E OBBEDIENZA
I - I termini
Il termine obbedienza deriva dal verbo obbedire (dal
latino: ob-audire), ossia dare ascolto. Si tratta della virtù
morale che induce il suddito ad eseguire la volontà del
superiore che a lui comanda di compiere una certa
azione.
L'obbedienza varia secondo la natura della
dipendenza del suddito dal superiore, e del potere che
il superiore esercita sopra il suddito.
Nel superiore il potere sottende ed esige perfezione,
causalità, attitudine a dare; mentre nel suddito
suppone imperfezione, passività, bisogno di «ricevere».
Si dà un duplice genere di potere e di obbedienza:
naturale e acquisito. Potere naturale è principalmente
quello esercitato dai genitori che, maturi, danno vita,
educazione e un avvenire ai figli. Essi perciò
comandano perché attivi in tutto... E obbedienza
naturale è quella dei figli che, passivi, tutto ricevono dai
26
genitori.
Potere acquisito è quello derivato dallo sviluppo di
particolari doti, per cui, ad es., abbiamo: l'ingegnere
che comanda in quanto dirige il lavoro dell'operaio...; il
medico che consiglia all'infermo le cure per guarire...; il
maestro che istruisce il discepolo, imponen-dogli
determinati esercizi...; il capitano che addestra i soldati
a combattere...; il magistrato che ordina al cittadino un
certo modo di comportarsi per assicurare l'ordine
pubblico...; il padre spirituale che suggerisce il più
sapiente metodo per progredire nella superiore
ecclesiastico che illumina i fedeli intorno alla verità
rivelata e l'osservanza della morale cristiana...
Ovviamente, il comando, come esercizio del potere
del superiore che del al suddito, e l'obbedienza come
esercizio della dipendenza del suddito che riceve dal
superiore, hanno un senso ampiamente analogico,
differenziando rapporto di efficienza-dipendenza che
corre tra superiore e suddito. E ciò spiega perché il
comando non solo è precetto positivo del superiore
che s'impone, ma anche consiglio, esortazione,
suggerimento..., a cui l'obbedien-za del suddito
risponde come dipendenza che è sempre umiltà,
docilità, arrendevolezza...
Ora, quel che in tutti i casi si verifica come condizione
del più vero esercizio del potere e dell'obbedienza, è
sempre l'amore che nel comando (inteso nei sensi
indicati) anima il superiore a dare al suddito; e dispone
il suddito ad obbedire (nei sensi indicati) dando a se
stesso nel ricevere il proprio vero bene.
Il potere che non induce il superiore a volere e procurare
il vero bene del suddito, è tirannico..., per cui non
può esigere l'obbedienza...; e il suddito che,
insofferente della propria condizione di dipendenza, si
27
rifiuta di obbedire al superiore, è presuntuoso, non ama
se stesso; per cui entrambi spingono il nucleo sociale
verso l'anarchia che è dissoluzione e rovina.
Può verificarsi, accidentalmente, che il suddito
talvolta supplisca a qualche carenza del superiore, che
per conseguenza ha bisogno della sua opera, rimettersi
al suo giudizio, fare la sua volontà. È il figlio che
provvede a certi limiti dei genitori; il soldato che
suggerisce al capitano una migliore tattica; l'infermiere
che intuisce la vera condizione del malato prima del
medico, ecc.
Può succedere anche che il superiore non si
comporti come dovrebbe, per cui: o non pensa al vero
bene dei sudditi, tiranneggiati dal suo potere...: o
impone ad essi azioni oggettivamente immorali. Nel
primo caso, i sudditi devono supplire con la loro
prudenza e pazienza, la grandezza d'animo, lo spirito di
adattamento e sopportazione, l’amore della pace...
Nel secondo invece non devono far altro che opporsi ai
suoi comandi, per salvare il bene sia proprio che
comune.
È facile dunque delineare la figura del superiore e del
suddito e quindi definire la natura del potere e
dell'obbedienza. Se il superiore, nel comandare, è
autorizzato a farlo dal bene che possiede, può e deve
comunicare a chi obbedisce...; il suddito è tenuto ad
obbedire - ossia a dipendere perché bisognoso di
ricevere. Segue che vero superiore comanda soltanto
per il bene del suddito, non per affermare se stesso,
procurare i propri interessi. Il comando, allora, non è
vana esibizione di potenza, ma concreta prova di
altruismo; e l'obbedienza non è espressione di
debolezza e d'inerzia, ma di umiltà ch'è verità ed
esigenza di vita...
28
Il tipo ideale dei rapporti tra superiore e suddito è
quello corrente tra Dio e noi, con la sua provvidenza
serve, non é servito: la sua perfezione infinita Lo pone
nella condizione di poter dare a tutti e non ricevere
nulla da nessuno...; mentre chi, pregando, a Lui ricorre
può quasi dirsi che comandi, tanta è la sua fiducia nella
potenza del suo Amore, immenso, incontenibile. È Dio
infatti a volere che amiamo noi stessi, desiderando
nostro vero bene, partecipazione del Suo.
Tutto ciò ha un senso altamente positivo anche per
quanti pensano, restando a livello della natura e della
ragione.
Quello della grazia e della fede è
incomparabilmente superiore, derivando
dall'elevazione dell'uomo alla partecipazione della vita
trinitaria per i meriti del Cristo e l'appartenenza di tutti i
redenti alla sua Chiesa: appunto per questo sono
soggetti alla gerarchia e intendono cosa voglia dire
l'obbedienza cristiana.
È appunto quella di cui Gesù è supremo Ideate per la
perfezione della sua adesione alla volontà del Padre,
facendosi servo di tutti, fino a sacrificare se stesso per
espiare il peccato e redimere il mondo.
Per questo, il potere che la Chiesa partecipa dal
Cristo tende a procurare tutto il possibile bene dei
fedeli, trattandosi del potere dell'Amore che non può
volere altro, imponendo ai medesimi l'unico dovere di
corrispondervi, amando veramente se stessi.
2 – L’autorità in sé e nella vita della Chiesa
Sapendo cos'è la Chiesa, la sua struttura, i membri
che la compongono, il potere da essa esercitato
perché tutti conseguano il fine per il quale e stata
fondata, resta da precisare quali debbano essere i
29
rapporti tra superiori e sudditi.
Superiori sono coloro che, in virtù dell'Ordine sacro,
rappresentano il Cristo partecipando al suo sacerdozio,
suprema espressione della sua mediazione redentrice
presso il Padre, fonte di ogni potere.
La gerarchia ecclesiastica ammette dei gradi
(diaconato, presbiterato, episcopato) e comporta il
triplice potere di cui sopra, indispensabile per la vita
della Chiesa quale società visibile, gerarchica,
carismatica.
Ovviamente l'esercizio di tal potere è giustificato dal
fine a cui tende:
- è il bene, tutto il bene dei fedeli quali persone umane
e figli di Dio;
- il superiore non deve preoccuparsi di altro, rispettando
la norma evangelica di servire, non essere servito;
- nella Chiesa l'autorità non è fine a se stessa, non
svolgendo altra funzione che quella di trasmettere
alle anime i benefici della Redenzione;
- solo a questa condizione il sacerdote agisce nel
nome e nella persona di Cristo, unico Capo del
Corpo Mistico.
Se tutto ciò è innegabile, essendo dogma di fede,
l’obbedienza, nella Chiesa, comporta per il suddito il
dovere di compiere non la personale volontà del
superiore, ma unicamente quella di Dio che nel Cristo
intende tutto il vero bene dei credenti; precisamente
quello che ciascuno deve volere a se stesso.
Ora, il vero bene dei fedeli consiste nel dipendere
dalla gerar-chia ricevendo la luce della verità rivelata,
la grazia santificante del ministero sacro, l'esempio di
una condotta irreprensibile, che assicuri un governo
paternamente giusto ed efficiente.
Perciò, come l'esercizio del potere impone il dovere
30
dell'obbedienza; cosi, nei fedeli, il dovere
dell'obbedienza s'identifica col diritto di provvedere al
proprio bene, ossia di soddisfare la naturale e
soprannaturale esigenza di amare se stessi secondo il
piano di Dio, che non può tendere ad altro, essendo
Bontà inesauribilmente liberale, Origine d'ogni dovere e
diritto.
3 - I limiti
Il dono della verità fondamentale rispetto a tutti gli
altri offerto dalla Chiesa nel suo magistero è assicurato
pienamente, certamente e definitivamente solo dal
carisma dell'infallibilità, proprio del Papa quando
insegna ex cathedra, fa proprie le definizioni di un
Concilio ecumenico, approva dottrine universalmente
e pacificamente condivise, riconosciute conformi alla
Tradizione apostolica.
Ma, in altri contesti, lo stesso magistero pontificio ha i
suoi limiti, oltre i quali non si può estendere. E allora che
il Papa, venendo meno al suo dovere, delude i fedeli,
che perciò restano dubbiosi, inquieti, divisi; per cui
giustamente si lamentano, esigendo chiarezza e
fermezza nel superamento d'ogni ambiguità, riguardo
umano, ingenui e rischiosi tentativi d'ordine ecumenico,
favorevoli a prevaricazioni dottrinali, alla diffusione
dell'eresia.
Quanto ai limiti del magistero episcopale e
presbiterale, la storia della Chiesa è eloquentissima,
autorizzando a ritenere che i più numerosi e formidabili
nemici della Chiesa sono stati membri del Clero. Spesso
infatti, abusando del loro potere, hanno provocato nei
fedeli una reazione solo apparentemente irrispettosa,
perché si sono limitati a professare la vera fede, a
31
difendere il culto e la morale, a richiamare il sacerdote
alla coerenza, al doveroso rispetto di sé.
In alcuni casi, pertanto, il giudizio dei più retti non è
arbitrario, avventato, animato da spirito di rivolta: esso si
fonda esclusivamente sulla verità appresa dal
Magistero, assorbita dalla grande Tradizione, dimostrata
dall'eroico esempio dei Santi, dall'opera pastorale di
vescovi e sacerdoti degnissimi.
Perciò, lo scontento dei fedeli è piuttosto indice della
vitalità del Corpo mistico; ed è per questo che la
decadenza della Chiesa si è dovuta attribuire troppe
volte anche al silenzio, all'apatia, all'acquiescenza, alla
timidezza, all'ignoranza di fedeli che non hanno osato
opporsi a pastori indegni, arroganti, faziosi, moralmente
corrotti, ecc., che s'imponevano in nome di Dio per
promuovere i propri interessi, soddisfare volgari
passioni... Anche i fedeli, allora, sono responsabili e
quasi complici di scismi ed eresie, sommosse e scandali.
* * *
La Chiesa solo perché diretta dal Cristo e animata
dal suo Spirito ha potuto sopravvivere all'azione
devastante dei membri più obbligati di altri ad onorarla
e difenderla. È comprensibile perciò che un errato
esercizio del potere non sempre ha reso possibile una
sapiente e meritoria obbedienza cristiana, mettendo in
risalto quei suoi limiti dovuti all'inettitudine e alla
presunzione di certo Clero.
Oltre ad altri scismi di minori proporzioni, la storia
ricorda quello di Novato, prete di Cartagine, del III sec.;
di Acacia, patriarca di Costantinopoli (aa. 471-89); di
Donato vescovo di Cartagine, principale fautore dello
scisma che lacerò la chiesa d'Africa dal IV al VII
secolo...; dei Tre Capitoli o dei vescovi dell'Africa,
dell'Illiria, della Dalmazia, ribelli a papa Vigilio al tempo
32
del V Concilio ecumenico di Costantinopoli (a. 553).
Di più vaste dimensioni a stato lo scisma greco
dovuto a Fozio, patriarca di Costantinopoli (858-67; 877-
886) e più tardi reso definitivo dal successore, il
patriarca Michele Cerulario (1043-58).
Più breve, ma non meno burrascoso il grande scisma
d'Occidente, di cui furono principali responsabili alcuni
cardinali francesi, con indescrivibile scompiglio e innumerevoli
scandali dell'Europa cristiana (aa. 1378-1417).
Con Papi e antipapi che si contendevano il sommo
pontificato, chi realmente esercitava il legittimo potere,
e a chi il più esemplare dei credenti sentiva di dover
obbedire?
Meno noti, ma egualmente disastrosi, lo scisma di
Utrecht, dovuto all'arcivescovo Pietro Codde sotto
Alessandro VII; della Petite-Eglise, o degli
Anticoncordatari, provocato da vescovi francesi, sotto
Pio VII e Napoleone...; dei Vecchi Cattolici che,
seguendo il prete Ignazio von Dollinger, respinsero
l’infallibilità pontificia definita dal Vaticano I sotto Pio IX.
La storia della Chiesa in India ricorda pure lo scisma di
Goa, iniziato con la tensione tra la S. Sede e il Capitolo
di Goa (aa. 1843-86).
* * *
Inevitabilmente connesso col fenomeno degli scismi,
è stato quello non meno vergognoso degli antipapi,
che certamente avrebbero disgregato e distrutto la
Chiesa, se questa non fosse stata fondata e protetta
dal suo vero ed unico Capo. Il loro elenco è arido e
noioso, ma opportuno per confermare la profonda
distinzione tra Chiesa e uomini di Chiesa. Se l'istituzione
è sacra è rispettabile, il fatto di un papato conteso per
le ambizioni di ecclesiastici indegni è per noi, oggi,
quasi incredibile.
33
Ippolito (217-35), Novaziano (251 ca - 258), Felice II
(355-65), Ursino (366-7), Eulalio (418-9), Lorenzio (498--
505), Dioscoro di Alessandria (530), Teodoro (687),
Pasquale (687), Costantino di Nepi (767-9), Filippo (768),
Giovanni (844), Anastasio, bibliotecario (855), Cristoforo
(903-4), Bonifacio VII, Francone (974, 984-5), Giovanni
XVI, G. Filagato (997-8), Gregorio (1012), Cadalo (10è1-
72); Clemente III, Guiberto di Ravenna (1080, 1084-
1100), Teoderico (1100-2), Alberto (1102), Silvestro IV,
Maginulfo (1105-11); Gregorio VIII, Maurizio Burdino
(1118-21); Celestino II, Tebaldo Buccapecus (1124);
Anacleto II, Pietro di Leone (Pierleoni (1130-38); Vittore
IV, Gregorio (3.1138; 5.1138); Vittore IV (V), Ottaviano
da Monticello (1159-64); Pasquale III, Guido da Crema
(1164-8); Callisto III, Giovanni di Strumi (1169-78);
Innocenzo III, Frangipane Lando (1179-80); Niccolò V,
Pietro Rainalducci (1328-33); Clemente VII, Roberto di
Ginevra (1378-94); Benedetto XII, Pietro di Luna (1394--
1423); Alessandro V, Pietro Filargo (1409-10); Giovanni
XXIII, Baldassarre Cossa (1410-15); Felice V, Amedeo VIII
di Savoia (1439-49).
Tutti nomi che nascondono figure di uomini di Chiesa
che, con oscure manovre, violenze e inganni, hanno
usurpato il potere pontificio, imponendosi
all'obbedienza dei fedeli, assurdamente divisi e
contrapposti.
Oltre agli scismi, le eresie hanno colpito la Chiesa in
modo anche più funesto con la negazione di uno o
l'altro dei dogmi di fede; e anche al riguardo la
maggiore responsabilità ricade non sul laicato, ma su
membri del Clero, spesso autorevoli, come vescovi,
sacerdoti, ecc., che hanno abusato del loro potere
tentando di imporre ai fedeli le proprie idee.
È difficile farne un elenco completo, essendo
34
innumerevoli gli eretici minori, sostenitori sedotti o
plagiati dai capi-scuola. I nomi citati offrono soltanto un
modesto saggio a conferma dei limiti di un potere
(quello fondamentale del magistero) di cui molti uomini
di Chiesa hanno abusato, divulgando le proprie
aberrazioni dottrinali in nome di Cristo, da essi tradito in
modo riprovevole.
- Il vescovo ariano AEZIO (+ 367) nega la divinità di
Cristo; APOLLINARE, vescovo di Laodicea (ca. 310-
90), sostiene che il Verbo sostituisce l'anima razionale
del Cristo (cf. H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum,
Herder, 1965, 144, 146, 149, 150, 152, 433, 437, 519,
1343).
- ARID (256-336), prete della chiesa di Alessandria,
primo a sostenere che il Verbo non è Dio, ma primo
delle creature, scatenando una delle più furiose
tempeste in Oriente e Occidente (cf. iv. 130, 155s,
433, 472, 519, ecc.).
- BAIO Michele (1513-89), teologo di Lovanio,
professore di S. Scriltura, cancelliere dell'Università di
Lovanio, inviato come teologo regio al Concilio di
Trento, precursore di Giansenio negli errori sulla grazia
e il libero arbitrio (cf. iv. 392, 1901-1980, 2101, 2316,
2324-26, 2331, 2400, 2564, 2616, 2619, 2623).
- BERENGARIO DI TOURS (1000-88), arcidiacono, nega
la reale e sostanziale presenza di Cristo sotto le
specie eucaristiche (cf. iv. 690, 700).
- BONOSO di Naisso (IV sec.), vescovo, nega la
perpetua verginità di Maria.
- BAUTAIN L. E. (1796-1867), sacerdote,
tradizionalista e fideista, professore e direttore del
Seminario di Strasburgo (iv. 2751-4).
- BUONAIUTI E. (1881-1946), sacerdote, uno dei
principali sostenitori del modernismo (sintesi di tutte le
35
eresie) in Italia.
- CALVINO G. (1509-64), chierico, provvisto di
beneficio ecclesiastico, fondatore del
protestantesimo luterano a Ginevra (iv.).
- CARLOSTADIO S. R. (1480-1541), arcidiacono di
Wiltemberg, uno dei principali esponenti della
pseudo-riforma luterana, aderendo poi
all'anabattismo.
- ECOLAMPADIO G. (1482-1531), sacerdote e
anche monaco: protestante, seguace di Zwingli, col
quale combatté contro i cattolici di Basilea.
- ELIPANDO, vescovo di Toledo nel 782, secondo il
quale Cristo sarebbe Figlio adottivo, non naturale di
Dio (iv. 595, 610s, 612).
- EUNOMIO (t 395), vescovo di Cizico, ariano,
discepolo di Aezio (iv. 150, 151, 155, 433, 472, 519,
1332).
- EUSEBIO DI NICOMEDIA (+ 341), discepolo di Ario,
potente divulgatore della sua eresia, uno dei più
temibili e astuti avversari di S. Atanasio.
- EUTICHE (378-451), sacerdote, archimandrita, autore e
propagatore del monofisismo, che nega la reale
distinzione delle due nature (divina ed umana) in
Cristo (iv. 290, 292, 298, 300, 355, 364, 400, 402, 433,
444, 472, 510, 1345, 2529).
- FELICE (782-818), vescovo di Urgel, adozionista,
come Elipando (iv. 615).
- FULLONE PIETRO (V sec.), patriarca di Antiochia,
monofisita.
- GIANSENIO C. (1585-1638), vescovo di Ypres,
seguace di M. Baio, responsabile d'innumerevoli
sbandamenti e dissidi, spe-cialmente in Olanda,
Francia, Italia. Errori principali: corruzione della
natura, inefficacia della grazia, predestinazione…
36
- GIULIANO DI ALICARNASSO (+ dopo il 527),
vescovo monofisita.
- GIULIANO DI ECLANO (+ 455), vescovo, seguace
di Pelagio, combattuto da S. Agostino.
- GUNTHER A. (1783-1863), sacerdote, razionalista,
infetto della dottrina hegeliana (iv. 2828-2831, 2833,
2914, 3025).
- HERMES G. (1775-1831), sacerdote, razionalista:
pone come base dell'indagine teologica “il dubbio
positivo” (iv. 2738-2740, 3025, 3035s).
- HUET P. D. (1630-1721), vescovo, precursore del
fideismo di Bautain.
- Hus G. (1369-1415) sacerdote: nega la struttura
giuridica della Chiesa, precursore del
protestantesimo (iv. 1201-1230, 1151, 1247, 1249-51,
1480...).
- IBERO P. (409-488), vescovo di Maiuma in
Georgia, monofisita.
- LAMENNAIS de F. R. (1782-1854), sacerdote:
criterio di certezza sarebbe il senso comune del
genere umano, seguendone la razionalizzazione
delle verità rivelate (iv. 2730).
- LOISY A. (1857-1940), sacerdote, razionalista, uno
dei principali sostenitori del modernismo per i quali S.
Pio X scrisse il decreto Lamentabili (iv. 3401).
- LUTERO M. (1483-1546), frate agostiniano, padre
della Riforma protestante. Il Concilio di Trento
dovette pronunciarsi principalmente contro le sue
eresie.
- MACEDONIO (342-364), patriarca di
Costantinopoli, semiariano.
- MALEBRANCHE N. (1638-1715), sacerdote oratoriano,
ontologista e occasionalista. Precorse G. C. Ubaghs,
prof. a Lovanio, riprovato con decr. del S. Uff. (iv.
37
2841-7).
- MARATONIO (IV sec.), vescovo di Nicomedia,
ariano.
- MOLINOS M. (1628-96), sacerdote, condannato
per il suo quietismo (iv. 201-226, 2181).
- NESTORIO (+ 451), patriarca di Costantinopoli,
eresiarca: in Cristo ci sarebbero due distinte persone,
la divina e l'umana; per cui Maria non sarebbe
madre di Dio. Un laico, Eusebio di Dorilea, contestò
pubblicamente il patriarca (cf. Acta Cc. Eph., a.
431).
- OCICAM G. (1290-1349/50), frate francescano: col suo
nominalismo e volontarismo è stato il precursore di
Lutero e massimo responsabile della decadenza
della Scolastica.
- ORIGENE (185-251), sacerdote, tra i più illustri
scrittori ecclesiastici: sostenne l'apocatastasi e a lui
farebbe capo la corrente origenista condannata dal
Conc. di Costantinopoli II (553) (iv. 298, 353, 403-11,
421, 433, 519).
- PAOLO DI SAMOSATA, patriarca di Antiochia nel
260: nega il mistero trinitario; e più volte condannato,
deposto, scomunicato.
- PELAGIO (ca. 350 + dopo il 1420), monaco: nega
la necessità della grazia ed è combattuto da S.
Agostino (iv. 222, 238, 250, 371, 1520, ecc.).
- PRISCILLIANO (IV sec.), vescovo di Avita,
eresiarca, condannato nel sinodo di Saragozza nel
380 (?) (iv. 18, 188-208, 283-6, 451-464).
- ROSMINI A., (1797-1855), santo sacerdote e
fondatore, filosofo, ma responsabile di alcuni errori.
Leone XIII condannò 40 proposizioni tratte dalle sue
opere (iv. 32013241, 3154s).
- SERGIO (610-638), patriarca di Costantinopoli,
38
fautore del monoergetismo e del monotelismo (iv.
496s, 519s, 550s, 563).
- SEVERO (+ 538), patriarca di Antiochia, monofisita
(iv. 519).
- TEMISTIO (VII sec.), diacono, monofisita (iv. 519).
- TEODORO DI MOPSUESTIA (350-428), vescovo,
padre del nestorianesimo (iv. 51, 416, 424-426, 434-
437, 472, 519, 1344).
- TERTULLIANO (ca. 160-240), sacerdote, grande
apologista, ma caduto nell'errore montanista che lo
separò dalla Chiesa (iv. 293, ove si cita il suo Adv.
Praxean, 27, 11; e 1542, che ricorda il De paenitentia,
4, 3).
- TYRREL G. (1861-1909), gesuita, modernista (iv.
3401). VENTURA G. (1792-1861), sacerdote teatino,
tradizionalista.
- WYCLIF G. (1324-1384), sacerdote, precursore
della Riforma protestante quanto alla dottrina sulla
struttura visibile e gerarchica della Chiesa (iv. 1121-39,
1151-95).
- ZWINGLI U. (1484-1531), sacerdote-parroco,
fondatore del protestantesimo in Svizzera (iv. 1635).
Tutti già uomini di Chiesa, ma non la Chiesa.
Nascondere la storia delle eresie (come degli antipapi
e degli scismi) equivale confondere indegni figli della
Chiesa con la Chiesa stessa, attri-buire a questa
affermazioni e negazioni insieme, ossia contraddi-zioni
insostenibili, offendendo in essa l’unica Maestra di verità
sulla terra.
4 - Dunque, quale obbedienza esigere ed esercitare?
A chi ignora la storia il nostro scarno elenco di scismi
ed eresie dice poco o nulla delle conseguenze
disastrose subite dalla Chiesa principalmente per colpa
39
di membri del Clero.
Lo scisma di Donato, vescovo di Cartagine, si trascinò
per secoli... Quello di Fozio e Michele Cerulario divide la
Chiesa greca da quella latina da oltre mille anni...
Spaventose le vicende che agitarono l'Occidente al
tempo dello scisma provocato dagli antipapi durante
avignonese...
È facile immaginare lo scompiglio seguito all'eresia
ariana che tentò l'eversione stessa del Cristianesimo
con la negazione della divinità del Verbo. L'errore
imperversò in tutta l'area dell'impero romano anche in
Occidente. A Rimini, nel 359, circa 400 vescovi - ritenuti
ortodossi - cedettero all'eresia, tradendo il simbolo di
Nicea. S. Girolamo, informato dei fatti, arrivò a
deplorare che il mondo intero, stupito, gemette nel
vedersi ariano: “Ingemuit totus orbis et arianum se esse
miratus est” (Dial. contra Luciferianos, 19).
Arianesimo, nestorianesimo, monofisismo, purtroppo,
sono eresie tuttora condivise da gruppi di cristiani di
Oriente... Il Protestantesimo - con tutte le sue negazioni -
dal secolo XVI ha travolto nazioni intere del Nord-
Europa e del Nord-America, dove - oltre tutto - i
credenti di ieri sono stati trascinati fatalmente dalle più
radicali ed eversive correnti dell'immanentismo
moderno. Non basterebbero molti volumi per
descrivere la burrasca che da secoli, a tutti i livelli del
mondo cristiano in Occidente, l'eresia, in sé e nelle sue
risonanze, ha sollevato nella stessa vita interna della
Chiesa, nei rapporti tra gerarchia e laicato.
Il mondo è stato anche più terribilmente scosso dal
comporta-mento tutt'altro che esemplare di buona
parte del Clero: dalla corte papale alle curie vescovili e
ai monasteri. Troppo gravi, clamorosi, frequenti gli
scandali denunziati dalla storia dei “secoli bui”, del
40
Medioevo, del Rinascimento... Tutto ha contribuito a
confondere le idee non solo intorno alle verità di fede,
ma, conse-guentemente, anche al potere della
gerarchia, all'obbedienza dei fedeli.
L’anticlericalismo è stato favorito dalla graduale formazione
dello Stato Pontificio per lo strapotere, le ambizioni,
la ricchezza, la simonia, il nepotismo, la corruzione
di cardinali, vescovi, abati secolarizzati, principali
responsabili di sommosse, violenze, nefandezze d'ogni
genere, quasi materia da romanzo...
Il papato, naufrago nel mare tempestoso delle
competizioni civili, spesso è stato per soccombere,
sopraffatto dalla prepotenza di Teodora e le figlie
Marozia e Teodora la Giovane, dei Conti di Tuscolo, di
Alberico, marchese di Spoleto: tutti fanno e disfanno i
papi...
Giovanni VI (701-5) assoldò milizie italiane per combattere
l'esarca di Ravenna, Teofilatto... Giovanni VIII
(872-82) finì in un complotto per avvelenamento...
Stefano VI (896-7), costretto dagli Spoletini, fece
esumare cadavere del predecessore Formoso (891-96)
perché defunto fosse giudicato e condannato... Ma lo
stesso Stefano VI morì strangolato in prigione durante
una sedizione... Teodoro II (897) probabilmente morì
ucciso. Leone V (903) fu detronizzato dall'antipapa
Cristoforo, che lo fece torturare e uccidere in carcere.
Giovanni X (914-28) fu fatto catturare da Marozia, che
forse lo fece assassinare.
Sotto Leone VI (828), Roma è completamente
dominata da Teodora e Marozia. Giovanni XI (931-935),
figlio di Marozia e Alberico I, rimise tutto il potere alla
madre dandole il titolo di patrizia. Anche Leone VII
(936) lasciò il potere nelle mani di Alberico II, anche se si
dedicò alla riforma della Chiesa. Periodo non meno
41
turbolento fu quello di Marino II (942-46), succube di
Alberico... Giovanni XII (955-964), già Ottaviano, figlio di
Alberico II, fu eletto papa ventenne, continuando a
dare scandalo. Benedetto VI (973-4) fu deposto e
strangolato in prigione dal partito antitedesco
comandato da Crescenzio, figlio di Teodora la
Giovane. Giovanni XIV (983-996), nella lotta contro
l'antipapa Bonifacio VII, fu chiuso in Castel sant'Angelo,
dove morì di fame... ecc.
Segue la lunga serie dei Papi del Medioevo, del
periodo umanistico e rinascimentale, alcuni dei quali
innegabilmente grandi, come S. Leone IX, S. Gregorio VII,
Innocenzo III, ecc.; ma numerosi furono anche gli inetti,
gl'indegni... I tentativi di riforma dal Capo alle
membra restarono inefficaci per secoli...: tutto concorse
alla decadenza del papato... La corruzione, gli
scandali, gli abusi del mondo clericale accentuarono il
processo di secolarizzazione della gerarchia, favorito dal
potere temporale di Pontefici-Principi e dall'abituale e
quasi inguaribile contaminazione del sacro da parte di
una profanità invadente...
Sembra non mancasse nulla per provocare la rivolta di
tutti gli spirituali, precursori delle correnti che in Italia e
altrove sfociarono nella Riforma luterana. Severo, ma
non meno oggettivo il giudizio della storia su alcuni Papi
del Quattro e Cinquecento. Per concepirne una certa
idea, basta, come esempio, la figura di Sisto IV, già
Francesco della Rovere (1414-1484) che non è affatto
dei peggiori più tristemente noti.
Certamente è uno dei Papi più illustri e benemeriti
del Rinascimento. Ma, dopo la sua morte, non fu
risparmiato dal morso della calunnia di cronisti,
abituati - in quel tempo - ad attribuire ai propri nemici
politici le più infamanti accuse morali. Giacomo da
42
Volterra osserva che la storia s'inganna quando vuole
dipingere di lui, Sisto IV, «un ritratto in chiara luce e
dimentica le fitte ombre che sorgono a lato in brusco
contrasto».
«È fra queste ombre - continua il Pastor – soprattutto il
disordine nel conferire prebende, la collazione simoniaca
di alte e basse cariche a gente inesperta o indegna e il
deplorevole affetto portato ai nepoti, il quale spesso
compromise in modo doloroso questo papa per tanti
riguardi benemerito, travolgendolo in un labirinto
d'imbrogli politici, dal quale alla fine non eravi più quasi
via di uscita.
«L'impiego vario e frequente delle pene ecclesiastiche
più severe contra i nemici politici di Sisto IV doveva
gettare il dispregio sulle censure della Chiesa e
danneggiare profondamente l'autorità della santa Sede.
II nepotismo eccessivo di Sisto IV, che bene si può
spiegare, ma non giustificare, forma la grande
obbrobriosa piaga di questo pontificato...» (LUDOVICO
PASTOR, Storia dei Papi, vol. II, pp. 611s, Desclee,
Roma, 1911).
A proposito dell'abuso di censure, lo storico cita Schlecht,
secondo il quale «oggi i Fiorentini erano scomunicati e i
Veneziani alleati del papa e figli diletti, domani i Veneziani
venivano colpiti dalle più severe pene ecclesiastiche e
Lorenzo era amico ed alleato del pontefice, quel
Lorenzo, che poco prima era stato denunziato alla
cristianità come figlio della corruzione e germoglio della
malvagita» (ZAMOMENTIC 55, cit. da L. PASTOR, iv., p. 611,
nota 5).
* * *
Nonostante tutto, la Chiesa ha continuato a vivere;
ha conservato la sua struttura con la pienezza dei
poteri per i quali ha saputo sempre riemergere,
43
riformare se stessa, difendere la fede, ricomporre anche
scismi, celebrare gli eterni valori del messaggio
evangelico, generando migliaia di Santi. Dopo le
tempeste che ricorda Concilio di Basilea (1431), Pio
II - Enea Silvio Piccolomini - poteva osservare che la
barca di Pietro spesso sta per colare a picco, ma non
affonda; è sbattuta, ma non sconquassata;
combattuta, ma non soccombe. Dio permette che i
suoi eletti siano tentati, ma non vinti: «Fluctuat
saepenumero apostolica navis, sed non demergitur;
concutitur, sed non frangitur; oppugnatur, sed non
expugnatur. Tentari sinit Deus electos suos, vinci non
sinit”.
In realtà, è stato crescente il prestigio dei Papi succedutisi
dal tempo della Controriforma in poi... Oggi,
Pontificato Romano costituisce l'unica potenza spirituale
universalmente venerata e ascoltata: al termine del
secondo millennio del Cristianesimo, la storia autorizza
tale positivo bilancio della vita della Chiesa.
Resta però attuale il problema dei suoi poteri. È
tornato a proporlo infatti l'immanentismo della filosofia
moderna che, nell'ostinato tentativo di
democratizzare anche la Chiesa, tradisce il piano di
eversione del Cristianesimo come religione divinamente
rivelata. Nello stesso Concilio Vaticano II non è mancato
chi ha preteso di travisare il concetto di collegialità del
corpo episcopale, insinuando un regime democratico in
aperta antitesi con l'origine trascendente della Chiesa e
la sua conseguente struttura essenzialmente
monarchica, per la quale il Papa ne è l'unico Capo in
quanto Vicario di Cristo. Infatti, «il Romano Pontefice,
in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla
Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della
potestà ordinaria su tutte le chiese particolari e i loro
44
raggruppamenti...”. Per questo, «non si dà appello né
ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano
Pontefice” (Cod. di Dir. Can., 333).
* * *
Ora, un richiamo di tale portata obbliga a tornare sul
delicato problema dell'obbedienza cristiana e ribadire
principio fondamentale dei suoi limiti, fissati dalla
stessa natura del potere partecipato dal Cristo-Capo ai
membri della gerarchia. A rigore, pertanto, nessuno
può obbedire a chi non ha il potere di comandare;
e assai meno a chi pur avendolo, ne abusa
comandando azioni contrarie alla Legge Eterna. San
Tommaso, a proposito di obbedienza, è categorico:
“Non tenetur inferior suo superiori obedire, si ei
aliquid praecipiat in quo ei non subdatur” (Summa
th., 11-11, q. 104, a. 5, c.).
È opportuno anche richiamare che, nella Chiesa,
l'unico potere è quello che autorizza a volere e
procurare il vero bene dei fedeli. Segue perciò che:
− se il loro primo bene è la conoscenza della Parola
di Dio, tramandata, scritta e proposta dal
Magistero, un pastore di anime che la ignorasse, non
l'avesse capita, avesse idee confuse, non sapesse
distinguere il dogma dall'eresia, non si opponesse a
dottrine aberranti, facesse buon viso a novità sospette,
ed anzi diffondesse teorie incompatibili con la fede
universalmente professata dalla Chiesa, ecc., non
potrebbe esercitare il ministero della parola, né
dovrebbe stupirsi o sentirsi offeso dalla contestazione dei
fedeli più informati e zelanti, i quali, nel caso, si
limiterebbero a compiere un grave dovere di
coscienza...
45
− Vero bene dei credenti è la santità realizzata per la
grazia, a sua volta derivata principalmente dalla
partecipazione al Sacrificio Eucaristico e dalla pratica
dei Sacramenti, resa efficace dall'educazione della
coscienza, dalla cultura spirituale e da una sapiente
ascesi... La cura pastorale non deve tendere ad altro...
Dunque, il sacerdote che non rispetta le rubriche, nella
Messa celebra soltanto un “banchetto fraterno”, e non
principalmente il Sacrificio, trascura
l'amministrazione dei Sacramenti, relativizza la nozione
del peccato, ignora la direzione spirituale, irride
l'ascetismo, ritiene utopia la santità, ecc. evidentemente
priva i fedeli dei benefici del suo sacerdozio, viene
meno al suo dovere di mediare tra Dio e le anime, non
è più credibile, né quindi può imporre modi di pensare e
di agire ispirati alle sue convinzioni, al suo stile di vita...
− Vero bene dei credenti è quella perfezione
spirituale ad essi possibile impegnandosi nell'imitazione di
Cristo e dei Santi, ossia nell'amore di Dio e del prossimo,
che è poi pratica assidua delle virtù teologali e morali,
compimento dei doveri del proprio stato, esercizio della
giustizia e della misericordia nei rapporti sociali...
E anche qui il sacerdote, che comandasse o
vietasse qualcosa che fosse contrario a questi valori,
trascurando il vero bene dei fedeli, non potrebbe esigere
la loro obbedienza. Preoccupati del suo modo di pensare
e comportarsi, non potrebbero che compatirlo, pregare
per lui, adattarsi e tacere fino al limite estremo della
liceità per non provocare mali peggiori... Ma tutto ciò
non realizza la perfetta pratica dell'obbedienza
cristiana; le circostanze impongono soltanto il dovere
della prudenza, che è senso pratico, avvedutezza,
sopportazione, pazienza anche eroica. Ora, la vera
obbedienza e ben altro, essendo docilità al volere del
46
superiore quale sapiente interprete del volere di Dio,
che può soltanto amarmi, volendo tutto e solo il mio
vero bene: quello a me ben noto alla luce della fede e
in seguito a quanto il Magistero non ha mai cessato
d'insegnare; bene che io, obbedendo, devo volere per
primo.
Dalla Chiesa ho imparato a distinguere la verità
dall'errore; e, quindi, il mio bene dal mio male,
disponendo così dell'unico criterio valido per capire e
venerare il potere della gerarchia, e individuarne
anche i limiti oltre i quali gli uomini di Chiesa spesso
presumono d'imporsi, tradendo la finalità del loro
sacerdozio.
47
VI
CHIESA E UOMINI DI CHIESA
I - Pastori e mercenari
Il lungo elenco di antipapi e membri del Clero
scismatici ed eretici, con quanto di sconvolgente e
scandaloso ne è seguito nella vita della Chiesa,
specialmente in alcuni periodi, conferma che il regno
di Dio sulla terra è realmente paragonabile ad una rete
che raccoglie pesci buoni e cattivi, e ad un campo
dove cresce il buon grano e la zizzania. Una Chiesa
spirituale composta di soli predestinati - come
sognavano Fraticelli, Hus, ecc. - non è mai esistita,
anche se la santità resta una nota insopprimibile della
vera Chiesa di Cristo.
In ogni tempo, nel suo seno, la fioritura dei Santi è
stata immensa. Hanno meritato gli onori degli altari
quasi 80 Papi (anche nei difficili periodi bizantino, longobardo,
di ferro, fino ai primi del Mille), e non e possibile
calcolare la moltitudine dei vescovi e dei sacerdoti che
ovunque hanno onorato la Chiesa, molti dei quasi sono
emersi come veri giganti dello spirito, prodigi della grazia.
Tuttavia il numero degli ecclesiastici indegni, responsabili
di violenze, soprusi, turpitudini, ecc. è talmente
alto che, stando alla storia, nessuno potrà mai dubitarne.
Ora, quel che interessa sottolineare è che le colpe attribuite
a membri della gerarchia si riferiscono anche agli
abusi di un potere esercitato in nome di Cristo persino
48
nell'ambito di interessi esclusivamente umani, d'ordine
temporale...
Purtroppo, l'errore di una secolarizzazione del sacro,
commesso troppe volte nella più abituale e disinvolta
strumentalizzazione del sacerdozio, ha fatto dimenticare
la divina origine della Chiesa e travisarne perciò la
natura, negare le finalità e i limiti del suo potere.
Appunto superando tali limiti, coloro che nella Chiesa
presumono di esercitare l'autorità in nome di Dio, automaticamente
dispensano i subalterni - d'ogni categoria
- dal dovere dell'obbedienza, senza per questo
autorizzarli a mancar loro di rispetto per l'Ordine sacro di
cui sono privilegiati.
Pur rischiando di ripeterci sotto un certo aspetto, la
gravità dell'argomento suggerisce di scendere ad
alcuni dettagli.
2 - Ambito ed extrapolazioni del potere ecclesiastico
Area del potere, nella Chiesa, è unicamente quella del
dogma e della morale cattolica; extrapolazione del
potere, invece, è l'eresia intesa come negazione
totale o parziale, esplicita o implicita, teorica o pratica,
della fede. Perciò, un qualunque membro del Clero, che
a qualsiasi titolo esercita una certa autorità sul popolo
cristiano, pronunziandosi in senso ereticale su verità che
sono materia del Magistero, ipso facto, resta privo di
ogni giurisdizione.
Infatti, separandosi dal Cristo-Capo, e quindi da chi
Lo rappresenta, si isola dal Corpo Mistico, non può più
comunicare con le sue membra, imporsi ai fedeli. Ciò si
verifica non solo quando il fatto è notorio, ma altresì
quando risulta soltanto ad alcuni che l'hanno scoperto
e denunziato, e ai quali l'autorità ecclesiastica
49
presumesse contraddire con le sue disposizioni,
specialmente liturgiche, da cui trasparisse l'eresia.
Cosi, chi - come molti secoli or sono - proibisse ai
fedeli di onorare Maria col titolo di “Madre di Dio» ,
negherebbe la realtà dell'unione ipostatica, ritenendo -
come insegnava Nestorio, patriarca di Costantinopoli -
che Maria era stata «madre» soltanto dell'Uomo-Gesù,
non del Verbo che in lei aveva assunto la natura
umana. Al tempo dell'eretico, in chiesa, fu appunto un
laico colto, Eusebio - poi vescovo di Dorilea - che
pubblicamente insorse per contraddirlo (cf. D-S Enchir.
Symb., 50/A; C. Enchir. Fontium hist. eccl. ant., 888, 13).
Chiunque dovrebbe protestare fermamente contro
parroco che vietasse di adorare - inginocchiandosi –
il Santissimo, mostrando di non credere nella reale e sostanziale
presenza di Cristo nel Tabernacolo, ecc.
Altro caso in cui un ecclesiastico perderebbe ipso
facto qualsiasi potere sui fedeli - che perciò non
sarebbero tenuti ad obbedirgli - è quello dello scisma
come separazione dalla Chiesa Cattolica nel rifiuto
dell'infallibilità pontificia, anche se non esplicito, ma
reale nell'atteggiamento, nel ministero, ecc.
Nessun papa, vescovo, parroco, ecc. può comandare
di trasgredire un qualsiasi precetto della legge
naturale. Ora, l'ambito di questa legge e quasi
sconfinato, perché si estende quanto la natura della
persona umana con le sue esigenze...1.
Dunque, neppure il Papa potrebbe impedirmi di vivere
in modo compiutamente umano, aderendo alle sane
tendenze della mia natura e secondo il retto giudizio
della mia ragione. Cristo, nell'espiare i nostri peccati,
non solo ci ha riconciliati con Dio, ma anche con noi
stessi, restaurando con la sua grazia l'ordine etico
50
fondato sulla natura e la ragione...
Nessun sacerdote può impormi di fare la carità oltre le
risorse economiche di cui dispongo per vivere e far vivere
decorosamente i miei familiari...; può obbligarmi a
compiere pellegrinaggi, atti di culto, digiuni, penitenze,
impegnarmi in certe opere di apostolato, superiori alle
mie forze fisiche, incompatibili col mio temperamento, la
mia cultura, la mia condizione sociale, ecc.
Nessuna censura - sia pure pontificia - ha valore alcuno
se fondata su motivi oggettivamente falsi, oppure non
riguarda l'ambito della fede e dei costumi. Infatti, “nessuno
è punito, se la violazione esterna della legge o del
precetto da lui commessa non sia gravemente
imputabile per dolo o per colpa» (Cod. di Dir. Can.,
1321).
Cf. TOMMASO, Summa th., q. 94, a. 2, c.: “Secundum
igitur ordinem inclinationum naturalium est ordo
praeceptorum legis naturae... ». E: “Ad legem naturae
pertinet omne illud ad quod homo inclinatur secundum
suam naturam» (iv., a. 3, c.).
È il caso del Savonarola, ingiustamente scomunicato
da Alessandro VI e più iniquamente condannato a morte
dalla Repubblica fiorentina. In realtà, la censura pontificia
fu ottenuta per interesse privato dai nemici dell'indiziato,
gli «arrabbiati” Tanai de' Nerli e Alfonso Strozzi...;
era basata su delitti presunti, ma inesistenti (dottrina
perversa e disobbedienza); e motivata dall'odio
irriducibile di tutti gli artefici e procuratori di essa verso la
sacra predicazione che mirava alla riforma dei costumi e
della disciplina ecclesiastica (cf. S. T. CENTI, Girolamo
51
Savonarola, frate che sconvolse Firenze, Città Nuova
ed., 1988, p. 112).
“In un'epistola Contro la escomunicazione surrettizia
nuovamente fatta, indirizzandosi a tutti i cristiani e
diletti di Dio, in data 19 giugno, egli – narra Roberto
Ridolfi – mostrava la scomunica non essere valida
perché fondata su falsi presupposti
calunniosamente suggesti dai suoi nemici, e cioè
sopra un'assurda accusa di eresia e sopra una
inesistente disobbedienza...”) (Vita di Gerolamo
Savonarola, VI ed., Sansoni Ed., 1981, p. 297).
A quella lettera il Savonarola ne fece seguire un'altra
in latino per i dotti e gli ecclesiastici; “nella quale dottamente
si dimostra con citazioni di Pietro da Palude,
Sant'Antonino e Giovanni Gerson, non esser vero che
si debba sempre ubbidire alla sentenza del Pastore
[...] che sarebbe, secondo quest'ultima autorità,
“asinesca pazienza e timidità leprina”; neppur esser
vero che tutte le censure siano da osservarsi... (R.
RIDOLFI, op. cit., p. 297-8).
Tanto eretico e disobbediente sarebbe stato il
Savonarola, che di lui si e potuto scrivere: «Fu un uomo
verso il quale, sia durante la sua vita come dopo la
morte, si peccò enormemente. Egli non è stato ancora
canonizzato né beatificato; ma verrà la sua ora, come
è venuta quella di Giovanna d'Arco; e non potrà non
giungere il momento in cui la cristianità perverrà ad una
altezza morale da cui, ben lungi dal considerare come
rivolta esecrabile l'eroica resistenza da lui opposta in
tempi eccezionali di estrema miseria della Chiesa ad un
papa infame, la riconoscerà e celebrerà per quello che
effettivamente essa fu, come il merito suo più grande e
come la sua più splendida gloria. Comunque non
52
saranno gli altari a decorarlo, ma sarà egli a dar decoro
agli altari” (Così G. SCHNITZER, cit. da RIDOLFI, op. cit., p.
471).
È quanto avrebbero potuto ripetere, tra i moltissimi
altri, san Filippo Neri e Santa Caterina de' Ricci. Fin dal
26 agosto 1583, Alessandro de' Medici, arcivescovo di Firenze,
poteva scrivere: «La memoria di fra Girolamo
resurge, pullula et è in fiore che mai stata sia...;
occultamente gli fanno l'Offizio come a martire,
conserveno le sue reliquie come se santo fussi...; le
sue immagini fanno in bronzo, in oro, in cammei, in
stampa, e, quel ch'e peggio, li fanno le iscrizioni di
Martire, Profeta e Vergine e Dottore...» (cit. da R.
RIDOLFI, op. cit., p. 458).
* * *
Papi, cardinali, vescovi, Conferenze episcopali,
Sinodi, ecc. non possono pronunciarsi su problemi
d'ordine scientifico, riguardanti la natura, il mondo fisico, i
suoi fenomeni, le sue leggi... Il loro magistero deve
contenersi nei limiti della Parala di Dio tramandata e
scritta, ossia nell'ambito dei misteri rivelati, della dignità
della persona umana, dei suoi valori assoluti, delle verità
razionali strettamente connesse con gli articoli del
credo.
È il caso di Galileo, perché la commissione cardinalizia
e Urbano VIII non avevano alcun potere di
dichiarare lo scienziato “veementemente sospetto di
eresia», dimostrando di non avere idee chiare
sull'oggetto del Magistero, mentre il condannato le
aveva chiarissime. «lo crederei - confida al discepolo
Benedetto Castelli - che l'autorità delle Sacre Lettere
53
avesse avuto solamente la mira a persuadere a gli
uomini quegli articoli e proposizioni che sono
necessarie per la salute loro e superando ogni
umano discorso non potevano per altra scienza né
per altro mezzo farcisi credibili, che la bocca
dell'istesso Spirito Santo» (Lett. a B. Castelli, 21.12.1613).
Difatti, Galileo non aveva scritto nulla contra la S.
Scrittura, la tradizione dei Padri, le solenni definizioni di
Papi e Concili, che non avevano mai preteso pronunziarsi
sui fenomeni naturali. II più autorevole di tutti i teologi,
san Tommaso d'Aquino, aveva precisato che la sostanza
del dogma a proposito dell'origine del mondo,
riguardava soltanto il fatto della sua creazione,
mentre quanto al resto [quo autem modo et ordine
factus sit], gli esegeti sono liberi di pensare come meglio
credono... Era stato appunto questo l'esempio di
sant'Agostino, che aveva sostenuto una tesi contraria
alle opinioni di sant'Ambrogio, san Giovanni Crisostomo,
ecc. (Sent. II, d. 12, q. 1, a. 2, c. sant'AGOSTINO, De
Genesi ad Litt., IV, c. 26, PL 34, 314; De Civitate Dei, XI, c.
9, PL 41, 324, ecc.).
La sottomissione di Galileo alle misure disciplinari del
Papa hanno rivelato soltanto l'autenticità della sua
fede, la sua devozione alla S. Sede, il suo fondato
timore di dare scandalo ai «pusilli”, di far supporre ai
Protestanti che anche lui si ribellava all'autorità
pontificia, ecc. II 6 marzo 1616, scrivendo a Curzio
Picchena, confida di poter «mostrare come il mio
negozio in questa materia è stato tale che un Santo
non l'havrebbe trattato né con maggior reverenza né
con maggior zelo verso Santa Chiesa» (Opere, Ed.
Naz., XII, p. 244).
Ora, esaminando oggettivamente l'atteggiamento di
54
quel Grande, non può dirsi che la sua accettazione
della volontà pontificia sia stata un vero atto di
obbedienza cristiana e ciò semplicemente perché
Urbana VIII non aveva alcun potere di biasimarlo e
condannarlo. II modo di esprimersi della Bibbia a
proposito dei fenomeni di natura (come i comuni fedeli
d'ogni tempo possono interpretarli) esulava dal campo
del suo magistero.
3 - Dagli «uomini di Chiesa” alla «Chiesa”
Le condizioni in cui il Papa è venuto a trovarsi nel partecipare
al potere civile in seguito alla Pace
Costantiniana e poi assumere il governo temporale di
un'Italia invasa dai barbari e abbandonata al suo
destino dagli Imperatori bizantini, si sono rivelate sempre
più controproducenti. In molti membri del Clero, in alto e
in basso, esse hanno contribuito a confondere le idee
sulla natura della giurisdizione ecclesiastica che,
derivata dal sacerdozio, intimamente associata al
ministero pastorale, alla santificazione e salvezza eterna
delle anime.
Nel corso dei secoli ne è risultata quella laicizzazione
che ha finito col dare un Papa-Re, cardinali-principi,
vescovi e abati più onorati e temuti come signori
secolari, che amati e seguiti come padri... Il loro
prestigio era sostenuto da una potenza economica,
militare e diplomatica che alimentava relazioni
politiche con sovrani di tutto il mondo civile,
provocando rivalità, conflitti e rivolte anche
sanguinose...
In troppi uomini di Chiesa ne è seguito il più fermo e
sfacciato ripudio dei sublimi ideali della santità cristiana,
compromessi da intrighi, nepotismo, corruzione a tutti i
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livelli dell'organismo ecclesiale... Qual tipo di obbedienza
potevano imporre ai fedeli individui inetti al governo,
deboli, avidi di denaro, ambiziosi di onori, abituati a
compromessi e angherie? La protesta dei precursori di
Lutero - esasperata fino allo scisma e all'eresia - non può
avere una spiegazione più credibile. E il medesimo si dica
dell'anticlericalismo che dal periodo umanistico non ha
più cessato di irridere e osteggiare una Chiesa
disonorata da certi suoi rappresentanti, fino a svuotarla -
apparentemente - della ricchezza immensa del suo
Mistero.
Per questo, oggi, essa «non può” varcare la soglia del
nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi
nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi.
Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e di
coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede,
rendendoci avvertiti e pronti ad affrontare le tentazioni e
le difficoltà. dell'oggi (GIOVANNI PAOLO II, Tertio
Millennio adveniente, 10.11.1994, n. 33).
Il «pentimento» di cui parla il Papa riguarda anche
«l'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a
metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla
verità” (iv., 35). D'altra parte, «la considerazione delle circostanze
attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere
di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti
suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di
riflettere pienamente l'immagine del suo Signore
Crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di
umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge
una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a
tenersi ben saldo all'aureo principio del Concilio: “LA
VERITÀ NON SI IMPONE CHE IN FORZA DELLA STESSA
VERITÀ, LA QUALE PENETRA NELLE MENTI SOAVEMENTE E
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INSIEME CON VIGORE” (iv., n. 35, dove si cita la
dichiarazione Dignitatis humane, 1). Evidentemente il
Pontefice allude a certi eccessi dei Tribunali
dell’lnquisizione, all'attiva partecipazione a conflitti
armati di Papi-Principi-secolari, a certi provvedimenti
punitivi imposti dai costumi e conformi alla sensibilità
morale dell'epoca, ma non ispirati all'esempio di
Cristo, ai principi della mansuetudine evangelica; ed è
stato allora, più che mai, che l'uomo-di-Chiesa si è
opposto alla Chiesa.
Precisamente al riguardo, “la Chiesa» ha dovuto riconoscere
che “nei tempi passati, da parte delle autorità
legittime, si è fatto comunemente ricorso a PRATICHE
CRUDELI per salvaguardare la legge e l'ordine, SPESSO
SENZA PROTESTA DEI PASTORI DELLA CHIESA; I QUALI NEI
LORO PROPRI TRIBUNALI HANNO ESSI STESSI ADOTTATO LE
PRESCRIZIONI DEL DIRITTO ROMANO SULLA TORTURA...”
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2298).
Doveroso, dunque, riconoscere lealmente che dei
peggiori sbandamenti della coscienza cristiana sono
stati responsabili personalità del Clero, agevolate da
una dignità che consentiva loro di parlare e agire
liberamente in nome di DIO, ingannando il laicato
specialmente più sprovveduto...per questo che
soprattutto vescovi, parroci, confessori, teologi,
professori..., «devono porsi umilmente davanti al
Signore per interrogarsi sulle responsabilità che
anch'essi hanno nei confronti dei mali del nostro
tempo...» (iv., 36).
Principalmente a loro si deve «l'indifferenza religiosa»,
come “l’atmosfera di secolarismo e relativismo etico»
che sta avvelenan-do la cultura moderna, spingendo il
mondo occidentale verso l'anar-chia più dissolvitrice
57
(iv.). E non altri, certamente, propagano indirizzi
teologici erronei che si diffondono anche a causa
delle crisi di obbedienza nei confronti del Magistero
della Chiesa...» (iv.).
* * *
L'accenno a tali erronei indirizzi teologici e ai loro principali
sostenitori rappresentati principalmente da uomini
del Clero - non certo da laici - si comprende ricordando
soprattutto quel che Paolo VI deplorava dopo il
Vaticano II.
Nel '970 il Papa fu come costretto a riconoscere in
pubblico che la «verità religiosa è crollata in molti
animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e
solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia
naturale, e tanto meno quelle della teologia della
rivelazione: gli occhi si sono annebbiati, poi
accecati...» (Ud. gen., 20.5.1970).
È accaduto che la Chiesa post-conciliare «si trova
in un'ora di inquietudine, di autocritica, si direbbe di
autodistruzione. È come uno sconvolgimento
interiore, acuto e complesso, che nessuno si
sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava ad una
fioritura, ad una espansione serena delle concezioni
maturate nelle grandi assise del Concilio. Ma se ne
viene a sottolineare soprattutto l'aspetto doloroso.
Come se la Chiesa percuotesse se stessa» (Disc.
7.12.'69).
Più tardi, papa Montini si credette in dovere di affermare
persino che «per qualche fessura il fumo di
Satana è entrato nel tempio di Dio: il dubbio,
l'incertezza, la problematica, l'inquietudine, l'insoddisfazione,
lo scontro si sono fatti largo. Noi
58
avremmo creduto che l'indomani del Concilio
sarebbe stato un giorno di sole per la Chiesa. Ma
invece del sole abbiamo avuto le nuvole, la tempesta,
le tenebre. Cosa e successo?... Una Potenza avversa
e intervenuta: il Diavolo, questo essere misterioso...»
(Disc. 29.6.'72).
Paolo VI doveva alludere a sacerdoti, teologi ed
esegeti quando denunziava che «oggi da qualcuno
dentro la Chiesa (...) si guarda con riserva, con
diffidenza al Magistero ecclesiastico. Al Magistero
ecclesiastico si vorrebbe più che altro riconoscere oggi
da alcuni l'ufficio di confermare la credenza infallibile
della comunione dei fedeli». A questi si vorrebbe
«riconoscere la capacità d'interpretare liberamente,
secondo il proprio intuito che facilmente si pretende
ispirato - la S. Scrittura». «La fede cosi diventa apparentemente
facile, perchè ciascuno se la
modella come meglio vuole; ma perde la sua
autenticità, la sua sicurezza, la sua vera verità, e
perciò la sua urgenza di essere comunicata ad altri:
diventa un'opinione personale» (Disc. 12.1.'67).
Così, alle grandi eresie, sempre dovute a membri
del Clero, che nei secoli scorsi respinsero uno o l'altro
degli articoli del credo, oggi la raffica dell'umanesimo
ateo (sostenuto anch'esso da ecclesiastici, travolti dalle
diverse correnti dell'immanentismo hegeliano) tenta di
demolire il Cristianesimo, scalzandone anche i
presupposti razionali.
Il 6 febbraio dell'81 anche Giovanni Paolo II doveva
constatare che «si sono propalate vere e proprie
eresie in campo dogmatico e morale, creando dubbi,
confusioni, ribellioni; si è manomessa anche la liturgia.
Immersi nel «relativismo” intellettuale e morale, e perciò
59
nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall'ateismo,
dall'agno-sticismo, vagamente moralistico, da un
cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza
morale oggettiva”.
La denunzia del Vicario di Cristo, leale quanto doverosa,
è terribile, definendo nei termini più esatti l'estrema
gravità della situazione. Essa - lo vedremo meglio fra
poco - non accusa «la Chiesa”, ma unicamente i suoi
ministri per l'abuso di certo loro magistero esercitato
dalla cattedra e dall'altare, lanciando idee e creando
insensibilmente una mentalità contraria alla più
ortodossa cultura cattolica negli stessi ambienti
ecclesiastici, dai seminari alle parrocchie, dai monasteri
ai movimenti e associazioni religiose...
È lecito pertanto tornare a chiedersi se, come e
quanto sia stata e sia ancora possibile la più vera
obbedienza cristiana rispondente a ordini e divieti di
un Clero diocesano e religioso formato in ambienti saturi
di dottrine teologicamente errate, convinzioni morali
discutibili, in una malcelata noncuranza della grande
Tradizione e l'esplicito rifiuto di metodi educativi
collaudati da migliaia di Santi... Un Clero del genere
quale autorità ha potuto e può esercitare che miri al
bene spirituale dei fedeli, esprimendo la reale volontà di
Dio, sìda imporsi in nome e nella persona di Cristo?
Troppe volte, ripeto, soltanto l'amore della pace, il
dovere della pazienza e della mansuetudine, il timore
dello scandalo possono indurre al silenzio e alla sottomissione,
che non sono però esercizio della più autentica e
meritoria obbedienza... E ciò appunto quando il superiore
calpesta per primo la propria dignità e abusa di un
potere ridotto a strumento di sopruso e di personale
prestigio.
60
4 - Sintesi teologica: «la Chiesa» distinta e spesso
diversa dai suoi “uomini»
La Chiesa non dipende dai fedeli come ogni
società umana dai membri che la compongono.
Questa deve tutto ai medesimi: costituzione, unità, fine
che la specifica e distingue dalle altre, volontà di
ottenerlo, risorse necessarie a tale scopo, difesa contra
agenti ostili, conservazione, sviluppi... Per se stessa, la
società è un'astrazione, dovendo la propria
concretezza esistenziale ai suoi membri, gli unici che,
per se stessi reali, pensano, decidono, si organizzano, si
impongono una legge, si rivendicano i meriti di tutti i
successi, la colpa di tutti gli errori.
Troppo ovvio, pertanto, che i singoli soci, per comporre
la società, devono precederla, offrendo ciascuno le
proprie energie e partecipando poi attivamente alla sua
direzione... Ne segue pure che essa languisce e muore,
venendo meno e morendo i soggetti che l'hanno
formata.
La società ecclesiastica è essenzialmente diversa.
Infatti, non sono stati i credenti a fondarla, ma Cristo,
la cui personalità è divina, essendo lo stesso Verbo, per
il quale e in vista del quale tutto è stato creato, tutto
redento. Assumendo la natura umana, Egli,
virtualmente, ha elevato a Sé l'umanità intera, dispersa
nello spazio e nel tempo... Ed ecco la sua Chiesa:
edificio da Lui costruito, regno da Lui conquistato,
gregge da Lui raccolto.
La Chiesa è un suo prodotto vitale come «i tralci»
emanati dalla «Vite» che li anima e rende fecondi... Egli
61
è un Capo che ha formato il proprio Corpo, di cui
ciascuno dei fedeli è membro. È anzi lo Sposo che
nella Chiesa ha creato, purificato e arricchito la sua
Sposa, facendola Madre di Santi in virtù del suo Spirito.
Essendo emanazione di Cristo, Uomo-Dio, perché
Verbo Incarnato, la Chiesa prolunga e rivela la sua costituzione
umano-divina: umana, perché si compone di
uomini...; divina, per la sua anima - lo Spirito Santo -
, la sua struttura - gerarchica -, le sue energie vitali - i
poteri-, il destino - la vita eterna -.
L'elemento umano presenta due volti: il primo è
dei fedeli che imitano la santità del Cristo,
l'Innocente, nel quale il Padre si compiace, e perciò
«Agnello che toglie peccati del mondo»: appunto la
santità non solo attiva, ma anche passiva, vissuta, che
costituisce una nota fondamentale della Chiesa...
II secondo è il volto di tutti i fedeli peccatori, rappresentati
dal Cristo che, loro Mediatore, risponde delle loro
iniquità, apparendo davanti al Padre come la
“personificazione del peccato», «il Maledetto», degno
di tutta la sua ira. Ed ecco la Chiesa Militante quale
società non solo dei giusti, ma anche dei peccatori.
A questa categoria appartengono tutti i fedeli i quali,
anche se peccatori, tuttavia ancora credono, sono
soggetti alla gerarchia e partecipano al culto
frequentando i Sacramenti.
Come sopra ho accennato tra loro si distinguono
coloro che hanno ricevuto soltanto il battesimo, e quelli
che, avendo ricevuto anche l'Ordine sacro, sono non
soltanto membri del Corpo Mistico come i primi, ma
anche rappresentanti del suo Capo, partecipi dei suoi
poteri, soprattutto svolgendo la funzione di suoi ministri
nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico.
62
Dunque, alla Chiesa non appartengono gli scismatici,
ribelli al Papa quale Vicario di Cristo...; gli eretici, che
negano qualche verità da credersi per fede divina e
cattolica…; e gli apostati, che ripudiano totalmente la
fede cristiana.
Membri potenziali della Chiesa sono tutti gli uomini,
quale che sia la loro religione o senza alcuna religione;
tutti infatti sono stati redenti dal Cristo, destinati ad
entrare nell'Ovile dell'unico Pastore. Com'è ovvio, la loro
potenziale appartenenza alla Chiesa ammette una
graduatoria, che inizia dai Greci Ortodossi, cui seguono i
Protestanti, i Musulmani, ecc. fino agli agnostici, agli
atei, agl'indifferenti d'ogni categoria.
* * *
In ogni fedele, dopo il battesimo - tranne Maria ss.ma,
concepita senza peccato originale - resta il dualismo
costituito dalle tre concupiscenze ribelli al giudizio
della ragione, opposte alla luce della fede, per cui
sollecitano insistentemente al peccato.
È appunto il perenne dissidio tra materia e spirito,
natura e grazia, immanenza e trascendenza... Esso
soltanto virtualmente è superato dalla grazia della
conversione e della penitenza, perché così
profondamente radicato nell'uomo, da esigere la più
oculata e perseverante disciplina interiore, potenziata
dalla grazia, che risana ed eleva.
Ora, per quanto siano continui ed intensi gli sforzi
compiuti per resistere alle proprie passioni, ai pregiudizi
della cultura profana, alle seduzioni della vita, alle
incursioni di Satana, ciascuno resta sempre insidiato dal
male e spesso soccombe più o meno gravemente.
63
Il fatto, incontestabile, obbliga a ritenere che nella
Chiesa - composta di santi e di peccatori - ogni suo
membro vive un proprio dramma per il contrasto che da
sempre si annida nel suo intimo tra essere e dover-essere,
voce della coscienza e impulsi di una natura malata,
ispirazioni della Grazia e lusinghe di un mondo avverso
ai valori dello spirito, Chiesa e anti-Chiesa, Cristo e
anticristo...
Non altra la spiegazione dei cattivi esempi di fedeli
incoerenti e soprattutto di alcuni sacerdoti scandalosi.
Storici, letterati e pubblicisti, ecc., ne trattano volentieri
per colpire la Chiesa; ma fingono d'ignorare che principalmente
questa - in base ai suoi criteri - li condanna
severamente, sapendo di essere denigrata per colpa
di figli degeneri. Non riflettono che qualsiasi disordine
morale contrasta con la sua origine divina, la natura dei
suoi poteri, la finalità della sua istituzione, il contenuto
dogmatico e morale della sua dottrina, i provvedimenti
disciplinari della sua legislazione, l'esempio dei Santi,
unici uomini a cui ha tributato gli onori del culto...
Alcuni storici, richiamando compiaciuti - le miserie
morali dei credenti e soprattutto di Papi e Vescovi, preti e
monaci, alimentano solo il fuoco di un anticlericalismo
fazioso e contraddittorio... Massoni, giacobini, anarchici,
agnostici, ecc., mettendo alla berlina le malefatte di
certo Clero, non si avvedono di condannare
esclusivamente se stessi avendo in esso il più potente
alleato contro la Chiesa che intendono combattere...
La condotta di sacerdoti indegni, infatti, non s'ispira ai
suoi dogmi, alla sua morale, alla sua liturgia, alla vita dei
suoi membri esemplari e venerati, ma unicamente a tutto
quel che ne rappresenta la negazione e il tradimento.
Perciò, gli attacchi dell'anticlericalismo sono
64
sfacciatamente ipocriti, non potendo rimproverare alla
Chiesa nulla che sia veramente suo, appartenendo
solo al mondo che la detesta.
Insomma, odio, rivalità, cupidigia, presunzione, lussuria,
menzogna, crudeltà, vendetta e quanto altro di vergognoso
ed infame avvilisce la persona umana, è lordura
esclusiva di un mondo ostile alla Chiesa; mentre è tutto e
solo della Chiesa - cioé dovuto alla sua opera
d'illuminazione delle coscienze e di elevazione della
cultura - quanto l'uomo può vantare di realmente
nobile e grande.
È ingiusto e demenziale incolpare la Chiesa di aver
sempre accolto nel suo seno gli uomini di tutte le risme. Il
suo Fondatore le ha comandato di andare incontro ai
peccatori solo per convertirli, rigenerarli, sottrarli alle
seduzioni di un mondo corrotto e bugiardo... Non la si
può accusare dunque se il battezzato - persino quando
raggiunge i vertici della sua struttura gerarchica -
resiste alle sue sollecitudini materne, la tradisce, la
disonora... Il suo comportamento rivela che, pur
continuando a figurare quale suo membro qualificato,
non ha assimilato però che poco o nulla della sua vita,
restando in lui l'eredità di una natura guasta, di un
mondo pazzo ed iniquo...
Proprio per questo la Chiesa non ha mai perdonato
colpe e scandali dei suoi figli. La storia dei primi secoli
ricorda la severità della sua disciplina penitenziale...
Sinodi e Concili ecumenici non hanno mai cessato di
programmare ed imporre riforme dal Capo alle membra.
In passato, monasteri e conventi disponevano di una
prigione per soggetti indisciplinati. Nello Stato Pontificio
non mancava il carcere per ecclesiastici indegni. Il
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Tribunale del S. Ufficio è stato sempre severissimo,
specialmente con certo Clero scandaloso... Al
contrario, solenne e gioiosa e stata sempre la
canonizzazione dei Santi, aperto e deciso richiamo per
tutti i fedeli non moralmente esemplari.
Dunque, gli attacchi degli anticlericali di tutti i tempi
non raggiungono «la Chiesa”, perché non la
riguardano: le loro accuse si devono ritorcere su quanti
la condannano, rispondendo anch'essi di tutte le colpe
degli uomini-di-Chiesa, che in essa sono vissuti come
la più temibile anti-Chiesa e hanno tentato di
corromperla e demolirla da dentro, quali emissari dei
suoi eterni nemici. La loro storia vergognosa potrebbe
essere un capitolo di un'umanità rimasta colpevolmente
chiusa alla luce della Rivelazione, all'opera redentrice
di Cristo.
VII
66
VERITÀ SU OBBEDIENZA E DISOBBEDIENZA
NELLA CHIESA
Perché nella Chiesa il potere sia sempre e solo facoltà
di dare amando i sudditi; e l‘obbedienza dei sudditi sia
sempre e solo umile, vissuta e soddisfatta necessità di
ricevere dai superiori, amando se stessi e lasciandosi
amare nel dipendere dai medesimi, è opportuno
richiamare come – secondo le fonti della Rivelazione e il
Magistero - i vari membri della gerarchia devono
provvedere al vero bene dei fedeli, e questi devono
prestare la propria obbedienza a coloro da cui dipende
quel bene.
I - Tutti i modi di esprimersi e comportarsi, che per se
stessi richiamano, confermano e incrementano l'ortodossia
e il profitto spirituale del popolo di Dio, costituiscono il
legittimo esercizio del potere ecclesiastico, obbligando
all'obbedienza; mentre quelli contrari, essendo un
abuso di tal potere, autorizzano alla protesta, che
risparmia la persona del superiore indegno, rispettabile
solo per la sacralità del suo carattere.
II - La protesta dei fedeli può essere giustificata unicamente
da una loro piena ed esatta conoscenza delle
verità riguardanti la fede e la morale; verità apprese
dalla Chiesa universale e sempre confermate dal
ministero di vescovi e sacerdoti, in perfetta armonia col
personale magistero del Papa.
III - La possibilità della protesta dei fedeli è fondata
sui limiti oggettivi della legislazione canonica e liturgica
sempre riformabile, e dalle carenze del Clero non sempre
67
sufficientemente illuminato, o noncurante del vero bene
del popolo.
IV - Discorsi, pubblicazioni, provvedimenti e iniziative
pastorali del Clero, volti a promuovere l'amore del prossimo
e l'impegno sociale a scapito dell'amore di Dio,
della contemplazione, della vita interiore e del culto -
a cui spetta il primato assoluto -, non meritano alcun
ascolto o partecipazione, ed anzi obbligano i fedeli a
protestare e provvedere a se stessi nelle forme che,
collaudate dalla millenaria tradizione dei Santi, il
Magistero ha sempre favorito e benedetto contro
l'orizzontalismo della filantropia laica che aborre dal
sacro, suggerendo di comportarsi «come se Dio non ci
fosse”.
V - Sacerdoti - esegeti, teologi, scrittori, professori di
religione, catechisti... - che negano o mettono in
dubbio la storicità della S. Scrittura, il valore della
Tradizione Apostolica e l'infallibilità del Magistero della
Chiesa, inducendo a giudicare le «verità della fede a
piacimento, secondo la propria capacità d'intendere e
il proprio gusto di interloquire nel campo teologico e
religioso”, oltre a non meritare alcun consenso, devono
ritenersi traditori della fede.
VI - Sacerdoti filosofi e teologi, moralisti e confessori -,
secondo i quali ci sarebbe solo una «ragione
storicamente data, le cui forme mutano col variare dei
contesti culturali”, per cui «la verità non è più
immutabile dell'uomo stesso, in quanto si evolve in lui,
con lui e per lui”, abusano della loro autorità tradendo
non soltanto i credenti, ma anche i non-credenti,
almeno quelli che, ancora gelosi della dignità della
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persona, sostengono l'infinita apertura del pensiero,
l'assolutez-za dei valori dello spirito.
VII - Vescovi e sacerdoti che - professori, pubblicisti,
conferenzieri e maestri di spirito - insegnano che tutte le
religioni sono oggettivamente vere, per cui nessuna
delle medesime può escludere le altre come non vere
o non del tutto tali; oppure suggeriscono che si debba
«chiedere all'opinione maggioritaria ciò che
conviene pensare e fare, ricorrere contro il Magistero
a pressioni esercitate dall’opinione pubblica, addurre
a pretesto un «consenso” dei teologi, sostenere che il
teologo sia il portaparola profetico di una «base o
comunità autonoma che sarebbe così l'unica fonte
della verità”, ecc., non sono affatto credibili perché privi
di qualsiasi autorità per i credenti.
VIII - Conferenze episcopali, vescovi, sacerdoti, teologi,
secondo i quali la «collegialità”, di cui tratta il Vaticano
II, sarebbe sinonimo di democrazia nella quale la
maggioranza dei voti decide dell'ortodossia di dottrine
dogmatiche e morali, non hanno alcuna autorità per farsi
credere e imporsi all'opinione pubblica. La verità non
dipende dal numero dei votanti, perché rivelata
unicamente dal Verbo Incarnato ed interpretata
infallibilmente dal magistero del suo unico
rappresentante visibile, il Papa. Cf. Lumen gentium:
nota esplicativa previa:
«Il Collegio necessariamente e sempre cointende il
suo Capo, «il quale nel Collegio conserva integro l'Ufficio
di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale”. In
altre parole: la distinzione non è tra il Romano Pontefice
e i vescovi presi insieme; ma tra il Romano Pontefice
separatamente e il romano Pontefice insieme con i
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Vescovi. Ma siccome il Romano Pontefice è il «Capo” del
Collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono
in nessun modo ai Vescovi...”. “Comunque appare che si
tratta di «unione” dei Vescovi «col loro Capo”. Nel qual
caso, venendo a mancare l'azione del Capo, i Vescovi non
possono agire come Collegio, come appare dalla
nozione di “Collegio”. Questa gerarchica comunione di
tutti i Vescovi col Sommo Pontefice è certamente
abituale nella Tradizione” (nn. 3, 4).
IX - Sacerdoti, teologi, scrittori, conferenzieri, confessori,
maestri di spirito, ecc., errano gravemente quando
attribuiscono a Dio una misericordia che esclude la
giustizia, perché, secondo loro, Egli non si offende di
nulla né esige alcuna espiazione, sì da perdonare
tutto a tutti e volerne indistintamente la salvezza
eterna. Essi tradiscono le coscienze, rinnegando una
verità fondamentale di ragione e di fede.
X – È nulla, menzognera, l'autorità di sacerdoti
che, in libri, omelie, manuali di catechismo,
insegnano che Cristo, morendo, ha lasciato soltanto un
esempio di fortezza, pazienza e mansuetudine, per cui
non avrebbe inteso - principalmente - sacrificarsi per
espiare i peccati del mondo e redimerci dalle tristi
conseguenze delle nostre colpe.
XI - Tradiscono la verità quei sacerdoti (teologi, catechisti,
parroci, ecc.) secondo i quali la fase culminante e
risolutiva del Mistero pasquale non sarebbe la MORTE,
ma la RISURREZIONE di Cristo, sostenendo che Egli
avrebbe redento il mondo NON OFFRENDOSI VITTIMA DI
ESPIAZIONE SULLA CROCE, ma risorgendo dal sepolcro
nella gloria di una natura umana immortale e beata.
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- XII - Sovvertono il culto cattolico, cedendo alle istanze
dell'eresia protestante quei sacerdoti che negano alla
MESSA l'essenza di un VERO E PROPRIO SACRIFICIO
quale ripresentazione sacramentale di quello
medesimo offerto da Gesù sul Calvario, e osano
celebrarla come BANCHETTO FRATERNO, animando i
fedeli ad assumere un rispondente contegno di festa,
come se - pentendosi delle proprie colpe - non
dovessero partecipare alla Passione e Marte di Cristo,
di cui sono i più veri responsabili; come se, nella
Comunione eucaristica, non dovessero consumare la
carne e il sangue di Lui sotto le sembianze della Vittimaimmolata,
ma nello splendore della sua condizione di
Risorto.
XIII - I fedeli hanno il dovere di insorgere contro quei
sacerdoti che, negando il prodigio della
transustanziazione, riconoscono una presenza di Cristo
sull'altare SOLTANTO SIMBOLICA, nel rifiuto sia del
Sacrificio eucaristico, che del culto latreutico dovuto
alle ostie consacrate conservate nel tabernacolo.
XIV - Mostrano di non credere nella transustanziazione
quei sacerdoti che negano la presenza eucaristica
nei frammenti delle ostie consacrate, e non si
preoccupano di impedirne la caduta e la dispersione,
rendendosi responsabili delle inevitabili profanazioni
che ne seguono con grave scandalo dei fedeli, a loro
volta obbligati a reclamare, denunziandoli alle superiori
autorità della diocesi.
XV - Meritano il più alto biasimo dei fedeli quei vescovi,
parroci, sacerdoti, liturgisti, architetti, ecc. che
71
escludono il Tabernacolo dall'interno della chiesa,
sottraendolo all'adorazione del popolo e negando gli
onori del culto dovuti all'unico Signore che li merita e al
quale il tempio deve la propria sacralità in quanto casa
di preghiera, non sala d'incontri, conferenze, banchetti,
concerti.
XVI - Offendono la dignità del proprio carattere sacro
quei sacerdoti che si astengono dal celebrare la Messa
in assenza del popolo, come se la sua presenza fosse
necessaria perché la medesima sia valida quale
supremo atto di culto, Fonte d'infinite grazie per la
Chiesa.
XVII - Mostra di non essere del tutto consapevole e
doverosamente geloso del privilegio di essere ministro dei
Misteri di Dio il sacerdote che, senza una vera
necessità, autorizza i laici a distribuire l'Eucaristia; e
viola seriamente ogni legge quando presume di invitare i
fedeli a comunicarsi da sé, ignorando che soltanto
Gesù (e chi Lo rappresenta) può dare Se stesso alle
anime.
XVIII – È falso che la Chiesa, di sua iniziativa, abbia
modificato la millenaria prassi liturgica di distribuire la
Comunione sulla lingua dei fedeli, accogliendone La
richiesta e tenendo canto di una supposta maturità
spirituale da essi raggiunta. L’origine dell'errata
riforma è rivelata dallo stesso Paolo VI il quale, contro
la sua volontà e le gravi ragioni da lui opposte - e
sempre oggettivamente valide -, ha ceduto alle
equivoche insistenze di alcune Conferenze episcopali,
dichiarando: [La riforma] rischia di disorientare molti
fedeli, che non ne sentono la necessità e che mai si
sono posti questo problema (...). Sembra che
72
questa nuova pratica instau-rata qua e là, sia opera
di un piccolo numero di sacerdoti e laici, che
cercano di imporre il loro punto di vista agli altri e di
forzare la mano all'Autorità. Approvarla sarebbe
incoraggiare queste persone non mai soddisfatte
delle leggi della Chiesa (cf. A. BUGNINI, La Riforma
liturgica 1948-1975, Ed. Liturgiche, Roma, 1983, pp. 627-
8).
Tanto vero quel che il Papa deplorava, che nella
sua istruzione Memoriale Domini, in Acta Apost. Sedis,
61, 1969, pp. 541-5, tra l'altro, dopo aver esposto le
gravissime ragioni per le quali non intendeva
approvare la nuova prassi di dare e ricevere la
Comunione sulla mano dei fedeli, sentenzia: haudquaquam
esse immutandam la precedente consuetudine
(di ricevere l'Ostia consacrata sulla lingua). La decisione
è definitiva, inappellabile: a... summo Pontifici non est
visum modum jamdiu receptum sacrae communionis
fidelibus ministrandae immutare...”. Tutti pertanto sono
vivamente esortati a restare fedeli alla prassi
tradizionale: «quapropter Apostolica Sedes episcopos et
sacerdotes et fideles vehementer hortatur ut validae
iterumque confirmatae legi studiose obsequantur... (ivi,
p. 641). Comprensibile quindi quanto si raccomanda nel
Rito della Comunione fuori della Messa, Roma, 1979, p.
25, n. 21: «Si conservi la consuetudine di deporre la
particola del pane consacrato sulla lingua dei
comunicandi, consuetudine che poggia su una
tradizione plurisecolare”.
XIX - Neppure un Vescovo può imporre al fedeli - e
soprattutto ai bambini - di ricevere l'Eucaristia sulla
mano, perché la nuova prassi è stata universalmente
73
dichiarata facoltativa; per cui il sacerdote che non
rispetta la libertà dei fedeli esercita un'autorità che non
possiede ed esige un'obbedienza a cui la Chiesa non ha
mai inteso obbligare nessuno.
XX - La Chiesa non ha voluto imporre al sacerdote
alcun vero dovere di dare la Comunione sulla mano
dei fedeli, né conferire a questi alcun diritto di
riceverla. Unico dovere dell'uno e dell'altro è quello di
dare e ricevere l'Eucaristia nel modo più degno della
infinita maestà di Dio, valendosi di tutti i mezzi per
escludere il pericolo della caduta e dispersione dei
frammenti...; e unica ambizione dei fedeli a quella di
lasciarsi educare al più fervido, raccolto e fruttuoso
incontro con Dio, secondo la prassi ultramillenaria che
ha formato migliaia di Santi, specialmente dopo
l'eresia protestante, negatrice del dogma e del culto
eucaristico.
XXI - Dopo le innumerevoli irriverenze e profanazioni del
Santissimo seguite alla riforma della suddetta prassi
eucaristica e penosamente deplorate dallo stesso
Pontefice Giovanni Paolo II (cf. Dominicae Cenae,
24.2.1980, n. 11), i fedeli, che ancora credono nella reale
presenza di Cristo sotto le specie sacramentali
supplicano la suprema Autorità. della Chiesa perché
abolisca quella prassi e obblighi tutti a tornare a quella
precedente, associandosi al Papa nel «chiedere
perdono (...) per tutto ciò che per qualsiasi umana
debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche
all'applica-zione talora parziale, unilaterale, erronea
delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver
suscitato scandalo e disagio circa l'interpretazione
della dottrina e la venerazione dovuta a questo
74
grande Sacramento...». Giovanni Paolo II conclude
pregando Signore Gesù perché nel futuro sia
evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro
Mistero, ciò che può affievolire o disorientare in
qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore nei
nostri fedeli...» (iv. n. 12). Del resto, secondo il Codice
di Diritto Canonico, «nessuna consuetudine che sia
contraria al diritto divino può ottenere forza di
Legge» (c. 24/1).
XXII - Stando al Concilio Vaticano II (Sacr. Conc., n.
5712) e al Codice di diritto canonico, c. 902), nessun
sacerdote può essere obbligato a concelebrare la
Messa, mentre la Chiesa l'esorta a celebrare ogni giorno
la «sua” Messa (c. 904), che è sempre «pubblica e
sociale» anche senza alcuna partecipazione del popolo,
«non essendo in nessun modo richiesto che il popolo
ratifichi ciò che fa il sacro ministro». Vescovi e parroci,
abati e superiori di comunità religiose abusano della loro
autorità quando impongono ai sudditi di concelebrare.
XXIII – È grave abuso di autorità quello commesso da
un qualsiasi membro della gerarchia che intende
ridurre il numero delle Messe individuali, privando i fedeli
dell'immenso beneficio di parteciparvi secondo le
possibilità ad essi concesse le condizioni di salute, il
genere di lavoro, i doveri familiari e sociali. – È
equivoco il principio: «Meno Messe e più Messa».
Infatti, ogni Messa ha tale valore intrinseco per il
Cristo, principale Sacerdote che invisibilmente la
celebra, che diminuire il numero delle Messe inducendo
più sacerdoti a concelebrare, significa: ridurre la
gloria che la Chiesa deve al Dio Vivente; ridurre lo
sviluppo della soprannaturale ricchezza del Corpo
75
Mistico; ridurre la personale santificazione del sacerdoteministro;
ridurre i benefici spirituali a cui i fedeli hanno
diritto; ridurre i suffragi dovuti ai defunti. Il numero delle
celebrazioni e di qualsiasi atto di virtù e condizione
fondamentale di progresso per ogni fedele che ancora
vive nel tempo.
XXIV - È numericamente una la Messa
concelebrata da molti sacerdoti; per cui questi non
possono credere e far credere di soddisfare, p. es., venti
distinte commissioni di Messe (e riceverne le rispettive
offerte) concelebrando in venti sacerdoti. Il valore di
molte Messe, quanto ai frutti spirituali che ne traggono
sacerdote e fedeli, e maggiore di quello di una sola
Messa ...; come, analogamente, è più meritorio recitare
il rosario intero che limitarsi ad una avemaria. La
ripetizione numerica della medesima preghiera giova
immensamente ai fedeli quale condizione di progresso
spirituale, se è certissimo che, solo moltiplicando gli
stessi atti si contrae un certo «abito» e se ne acquista
la perfezione aumentandone per conseguenza il
merito (cf. S. TOMMASO, Summa th., I-II, q. 51, aa. 2-
3; Q. De Maio 4, a. 2, 4um-5um; De Virt. in Communi,
a. 9, 11um; Sent. I, d. 17, q. 2, a. 3, 4 um; in VIII Ethic.
lect. 5, n. 1597).
XXV – È teologicamente falso ritenere che la Messa
concelebrata VALE PIÙ di quella individuale. Infatti, il
valore oggettivo del Sacrificio Eucaristico non dipende
dai sacerdoti-ministri, bensì da Gesù, Sacerdote
Principale, unica Vittima di espiazione e redenzione
gradita al Padre e perciò esclusiva Fonte di tutte le
grazie desiderabili. Il fervore personale dei singoli
concelebranti - per quanto apprez-zabile
76
essenzialmente distinto da quello assolutamente certo
dell'Offerta cruenta della Croce, ri-presentata
sacramentalmente sull'altare... Quel fervore potrebbe
anche mancare senza rendere meno valido il Sacrificio
Eucaristico in sé, e potrebbe essere meno intenso e
meritorio anche di quello dei comuni fedeli presenti alla
celebrazione della Messa.
XXVI - Abusa della sua autorità il superiore di una
comunità che insistentemente stimola i suoi sacerdoti a
concelebrare, fino a co-stingerli moralmente,
persuadendoli a non celebrare più la propria Messa,
come se quella concelebrata fosse preferibile
sotto ogni riguardo. Ciò è falso perché l'unico
ministro-celebrante esprime assai più evidentemente
l'unico Sacerdote-Principale che è il Cristo, mentre la
concelebrazione si limita a manifestare l’unità dei
molti ministri nel sacerdozio da essi partecipato. Il rapporto
verticale di ciascuno al Cristo prevale su quello
orizzontale dei molti fra loro. D'altra parte, la
concelebra-zione che diventa rito quotidiano, abituale,
finisce col far perdere di vista la Messa come Sacrificio
e supporre che sia un banchetto che, ovviamente,
esige più commensali. E siamo allora all'eresia della
cena protestante, condivisa purtroppo anche in
ambienti cattolici.
XXVII - Il sacerdote, non essendo padrone del culto,
ma un semplice suo ministro, se nel celebrare non
rispetta le rubriche, permettendosi di alterare parole e
gesti del rito, disturba la pietà dei fedeli perché li priva
della legittima e purissima gioia di sentirsi in tutto e per
tutto uniti tra loro e col Cristo nella partecipazione al suo
Sacrificio. All'altare, il celebrante non è protagonista
77
come in una rappresentazione sacra: quel che dice e fa
non deve essere espressione della sua creatività delle
sue idee, dei suoi sentimenti, dovendo essere quasi
impersonale, in un atteggiamento di trasparenza che,
attraverso lui, lascia come rifrangere il Cristo e la
Chiesa, da cui è autorizzato a parlare ed agire.
XXVIII - Nessuno, nella Chiesa, ha il potere di proibire ai
fedeli di ricevere l'Eucaristia in ginocchio, gesto ritenuto
sempre come il più espressivo dei sentimenti di adorazione,
tramandato da una prassi millenaria, noto anche
ad Ebrei, Musulmani, Buddisti, come ad antichi e civilissimi
popoli idolatri... Gesto consacrato dalla grande tradizione
biblica, ispirato dalla psicologia umana universale.
Certo Clero si rende incredibile quando, per abolire la
genuflessione e imporre ai fedeli di restare in piedi,
ricorre al fatto della Risurrezione. Gesù è risorto
soltanto dopo essersi “prostrato» durante l'agonia del
Getsemani, inducendoci a consumare le sue carni non
godendo la gioia della vittoria, ma partecipando - nella
penitenza - all'annientamento della sua
immolazione. Risorgeremo col Cristo nella gloria del
trionfo solo dopo essere morti con Lui nell'espiazione delle
nostre colpe, nella piena purificazione della nostra
anima.
XXIX - Offende la divina maestà del culto il sacerdote
che pretende un certo prezzo per le prestazioni del suo
ministero, piuttosto che educare i fedeli a sovvenire per
altre vie, in altri modi e tempi alle sue e alle necessità
della Chiesa, escludendo perciò anche “l’apparenza
della contrattazione o del commercio», nella sincera
disposizione a rinunziare ad ogni offerta, specialmente
dei poveri.
78
XXX - Il confessore abusa della sua autorità se nega
l'assoluzione e respinge il penitente che intende accusarsi
soltanto di peccati veniali...; se presume di assolverlo
prima che egli abbia espresso il proprio pentimento e
promesso di emendarsi...; se prevarica al punto di dichiarargli
che «l'atto di contrizione» sostituisce l'assoluzione
sacramentale anche dopo aver commesso peccati
gravi e si trovi nella possibilità di accusarsene.
XXXI - Il sacerdote, viene gravemente meno al suo
mandato, se presume di trasformare il sacramento della
penitenza in un dialogo fraterno , consentendo ed anzi
invitando i fedeli a parlare, sfogarsi, discutere, ecc.
stando seduti o passeggiando. Egli dimentica di
rappresentare precisamente quel Dio che l'uomo ha
offeso peccando, e davanti al quale deve umiliarsi,
chiedere perdono, invocare la grazia di una
conversione totale, definitiva.
XXXII - Il Clero dimostra di non aver capito o aver
dimenticato la propria sovrumana dignità quando
s'illude di conquistarsi il favore del pubblico e di
esercitare più efficacemente la propria missione
mimetizzandosi, sì da scendere al livello del laicato coi
suoi modi di abbigliarsi, conversare, divertirsi, facendosi
chiamare a nome e dare del «tu”.... Egli non riflette di
non poter rinunziare a quei segni di riverenza che il
pubblico, da sempre, riferisce non a lui, ma al Cristo
che rappresenta. La sua secolarizzazione non può che
ispirare disprezzo e noncuranza, meritandosi che la
società lo tratti come ogni altro cittadino, nel privarlo
d'ogni riguardo, esenzione e privilegio... Ciò che
purtroppo torna ai danni specialmente dei fedeli, che in
lui non vedono più il rappresentante di Dio, il ministro del
79
culto.
XXXIII - Negli Ordini religiosi nessun Capitolo generale
può imporre nuove norme o avviare consuetudini che,
contrarie allo spirito del Fondatore, al fine specifico
dell'Istituto e alle sane tradizioni del medesimo, non si
conciliano con la professione fatta dai religiosi, per ciò
stesso costretti a vivere contro la grazia della propria
vocazione, concorrendo sia pure remotamente - alla
decadenza dell’Ordine.
XXXIV - Nessun ecclesiastico può appartenere a
partiti politici e assai meno imporre ai fedeli di preferirne
uno piuttosto che altri. Egli deve riconoscere ai
medesimi l'autonomia, la maturità e competenza che a
tutti consentono di fare una scelta secondo la propria
fede e le voci della coscienza, nella difesa della
dottrina sociale della Chiesa, implicante i principi
fondamentali dell'etica umana e cristiana. Infatti,
insegna Giovanni Paolo II, «la Chiesa non deve e non
intende coinvolgersi con alcuna scelta di
schieramento politico o di partito, come del resto non
esprime preferenze per l'una a per l'altra soluzione istituzionale
o costituzionale che sia rispettosa
dell'autentica democrazia. Ma ciò nulla ha a che fare
con una diaspora culturale dei cattolici, con un loro
ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile
con la fede...» (Disc. 23.11.1995).
XXXV - Al Magistero della Chiesa spetta pronunziarsi solo
a proposito della Parola di Dio tramandata e scritta,
quindi sulla verità della Rivelazione pubblica, universale,
materia di fede per i credenti d'ogni età e cultura. La sua
autorità si estende anche alle rivelazioni private, solo
80
però per quanto concerne l'ortodossia del loro contenuto
dogmatico e morale, non l'oggettiva verità del fatto
empirico, materia di cronaca, che la Chiesa rimette
alla verifica della scienza, alla prudenza d'ogni
persona matura ed esperta.
XXXVI - La gerarchia può promuovere soltanto il
movimento ecumenico animato dall'ansia e dalla
ricerca dell'unita delle differenti confessioni cristiane;
unità fondata esclusivamente sulla verità della Parola
di Dio insegnata e vissuta nella sua pienezza soltanto
dalla Chiesa cattolica, a cui tutti i popoli devono e
mirano ad appartenere come all'unico Ovile di Cristo. Ciò
è ad essa possibile non rinunziando al proprio «credo”,
bensì esponendolo depurato da tutti gli elementi
accessori e contingenti che nel passato, sono stati motivo
di divisioni e conflitti; e riconoscendo gli elementi positivi
delle altre religioni, dovuti alla luce del Verbo, che non
ha mai cessato di brillare in tutte le intelligenze, per
disporle - sia pure remotamente - all'accettazione del
deposito della fede affidato in tutta la sua ricchezza alla
Chiesa di Roma presieduta dai Successori di Pietro.
XXXVII - Nessuna autorità ecclesiastica può insegnare
o far credere al popolo che sia prossima la fine del
mondo e assai meno che l'attuale Pontefice sia tra gli
ultimi nella serie dei Vescovi di Roma, dovendo la
Chiesa sopravvivere all'attuale terribile crisi del genere
umano per giungere a predicare ovunque il messaggio
evangelico, non ancora conosciuto e capito da miliardi
di uomini.
81
RIEPILOGO
Nella Chiesa il merito dell'obbedienza consiste nella
dipendenza dei fedeli dal potere esercitato dai membri
della gerarchia in nome di Cristo; mentre la colpa della
disobbedienza e nella insubordinazione a quel potere
che è solo presuntuosa e vana affermazione di sé.
Il potere non è rettamente esercitato quando non s'ispira
alle verità della fede, non si conforma alla morale
evangelica, non si adegua alle circostanze della vita,
non è proporzionato alle effettive forze umane.
Ad esso, pertanto, non può rispondere una perfetta
obbedienza cristiana, che mira a compiere la volontà
di Dio, ossia a realizzare tutto e solo il vero bene
dell'uomo.
Si verifica allora che, se l'abuso del potere non comporta
nei comandi e nei divieti del superiore azioni
moralmente illecite, al suddito - se le circostanze lo
82
consentono - resta possibile solo l'esercizio dell'umiltà e
della pazienza, la ricerca, la salvezza della pace, la
sapiente e benevola comprensione delle situazioni
volta ad evitare mali peggiori... È l'obbedienza che non
risponde alla volontà del superiore indegno e
maldestro, ma affermazione di valori che prescindono
dall'esercizio del suo potere. È stata l'obbedienza di
Gesù alla condanna del Sinedrio, alla forza brutale dei
suoi crocifissori...; l'obbedienza dei martini ai persecutori e
ai carnefici che li hanno uccisi... Obbedienza imposta e
soltanto eseguita...; mentre quella di Gesù al volere del
Padre e l'altra dei Martini alle disposizioni della
Provvidenza è stata amata e spontanea, gioiosa e
feconda di bene...
Diverso il caso di un esercizio iniquo ed ingiusto del
potere. Allora il rifiuto del comando e del divieto è disobbedienza
doverosa, non già ribellione alla persona
del superiore, ma protesta contro le sue idee, le sue
intenzioni, le sue direttive... Se la struttura gerarchica
impone di accettare come superiore soltanto chi è
legittimamente eletto, un fatto giuridico non potrà mai
conferire al medesimo un potere che sia fine a se
stesso, ossia strumento di domino e di peccato,
destinato a soddisfare le sue ambizioni e cupidigie, la
brama di una libertà sciolta da ogni vincolo. Il superiore
infatti è tale perché supera i sudditi solo in quanto
rappresenta Cristo e interpreta la sua legge, in vista di
quel vero bene comune che è poi - possibilmente -
tutto e solo il bene dei singoli.
Segue che la rottura dei rapporti tra gerarchia e fedeli,
ossia tra Capo e membra, efficienza dell'uno e
dipendenza degli altri, è all'origine di tutte le lacerazioni
del Corpo Mistico, della drammatica storia della
83
Chiesa.
* * *
In realtà, i peggiori mali della Chiesa non derivano
dalla malizia del mondo, dalle ingerenze e persecuzioni
del potere laico, dall'incompatibilità delle religioni ad
essa estranee; ma principalmente dagli elementi
umani che la compongono: Clero e laicato. Ed è
anche certo che la somma delle sue disavventure si
deve a quella disarmonia profonda che limita la sua
vitalità, ne frena gli sviluppi, ne blocca l'espansione. È la
disarmonia prodotta dall'insubordinazione del laicato
all'opera del Clero, e del Clero al volere di Cristo.
Ovviamente l'insubordinazione del Clero alle intenzioni
e alle direttive di Cristo è più deplorevole d'ogni altra,
perché causa principale del disorientamento, dell'ignoranza,
della corruzione e dell'apostasia dei fedeli,
attratti da ben altri centri di cultura e di seduzione.
Unico, pertanto, il fenomeno storico: quello che, nell'atteggiamento
di certo Clero e di porzioni del laicato è
ribellione alla Trascendenza quale processo di
secolarizzazione nel rifiuto del Soprannaturale e dei suoi
valori, ripudio del Cristianesimo ed emarginazione della
Chiesa coi suoi dogmi, la morale, i riti, l'influenza nel
mondo.
Appunto questo, in ultima analisi, il senso più
profondo del problema del potere e dell'obbedienza
nella Chiesa... Non può stupire infatti se dal livello morale
e ascetico si apre e coinvolge necessariamente i rapporti
di efficienza-dipendenza che reggono tutte le strutture
sociali, sacre e profane, fino ad interessare la totalità del
reale soggetta alla Legge Eterna. Se dunque
dall’obbedienza-subordinazione all'Assoluto
84
Trascendente deriva la coesione e razionalità del
mondo, certamente ad una sua ipotetica
disobbedienza-rivolta dovremmo attribuire la
disgregazione e l'assurdo di un mondo mai esistito e
metafisicamente impossibile.
Per questo, nonostante tutto, la fede dei credenti più
illuminati non è venuta mai meno: la santità è rimasta
sempre una delle note rivelatrici della vera Chiesa; e i
suoi figli più fedeli hanno saputo distinguerla da certi
indegni membri della gerarchia, che non sono mai
riusciti a sostituirsi al Capo che l'ha fondata, né ad
estinguere lo Spirito, fonte dei suoi poteri.
Essi hanno continuato a sperare, soffrire, protestare,
preparare tempi migliori, promuovere riforme radicali,
che di secolo in secolo hanno fatto risorgere la Chiesa.
CONCLUSIONE
La celebrazione della Croce di Cristo, il merito della
partecipazione al suo Sacrificio, la santità tipicamente
evangelica condizionata all'umiltà, al nascondimento,
85
alla mansuetudine, al perdono..., in certi ambienti, hanno
fatto mitizzare l'obbedienza, ritenuta come l'apice della
perfezione cristiana, anche se innegabilmente è
materia del più impegnativo dei voti religiosi negli istituti di
vita consacrata.
Giustamente questo voto è considerato
fondamentale per raggiungere la perfezione dell'amore
di Dio e del prossimo, che esige la rinunzia a se stessi
nel sacrificio della propria volontà, facoltà dello spirito
da cui tutto dipende, in bene e in male.
Rinunzia necessaria per tutti, anche non credenti, se si
appartiene ad un qualche nucleo sociale,
necessariamente retto da leggi e condizionato ad una
disciplina che è subordinazione del singolo ad un'autorità
che tutto organizza e dirige.
Ora, ciò vale soprattutto per i credenti, membri della
Chiesa, soggetti ad un regime eminentemente
monarchico, data l'essenziale differenza che costituisce
e distingue la Società ecclesiale da tutte quelle civili,
unicamente umane, temporali.
Ma, nel Corpo Mistico, non sempre la trascendenza del
potere è capìta: alcuni, affermandola, l'hanno
esagerata; altri, negandola, l'hanno subordinata a fini
non soprannaturali, ispirati al Vangelo.
I primi, esagerandola, si sono ritenuti obbligati ad
un'obbedienza cieca, passiva, servile, specialmente
nell'ambito della vita religiosa; ma è risultata negativa,
deformante, sì da arrestare o ritardare sensibilmente il
processo evolutivo della persona umana. Ascesi che
ha formato individui psicologicamente insicuri, pusillanimi,
incapaci di responsabilità, obbligati a dipendere in
tutto dal volere di superiori venerati come interpreti
86
infallibili del volere di Dio.
L'obbedienza di certuni, per una assai discutibile convinzione
del proprio nulla, fa loro concepire tale disprezzo
di sé, da indurli a rinunziare al proprio giudizio persino
nell'area della fede e della morale, obbligandoli a
ricorrere al superiore come al solo illuminato per quella
“grazia dello stato» che la fa credere addirittura
impeccabile, irreprensibile.
Si è supposto che egli debba saper tutto, provvedere a
tutto, rispondere di tutto, senza meritare critiche, consentire
ricorsi... Cosi, dal rispetto a lui dovuto si è passati
ad una strana forma di «culto», come se il
rappresentante di Dio fosse Dio stesso...
Applicando tale metodo, si è presunto di realizzare
quella morte a se stessi da cui la grande tradizione
dei Santi ha fatto scaturire la nuova vita nel Cristo,
crocifisso e risorto...; ma i risultati ottenuti hanno smentito
ogni ingenua previsione. Quel metodo non solo ha
provocato malumori, disagi, rivendicazioni, rivolte,
denunzie, turbando la serenità di luoghi ricercati
come rifugi di pace...; ma, nel corso dei secoli, nella
Chiesa, ha contribuito a travisare la natura e la nozione
stessa del potere in tutti gli ambienti: dal chiuso dei
monasteri alle più alte sfere della vita ecclesiale.
In realtà, si è arrivati ad ambire, conquistare e
difendere l'autorità come bene personale e familiare,
elemento di prestigio, fonte di onori, privilegi, ricchezze,
strumento di dominio, quindi motivo di rivalità e
contese, ispiratrice di una diplomazia retta da finzioni,
segreti, compromessi, ecc.; e tutto sotto le mentite
spoglie del «sacro”, ostentato da liturgie spettacolari,
dove il protagonismo di un Clero solennemente
87
impaludato prevale sulla sincerità del culto, fin quasi
ad occultare la divina maestà dei misteri celebrati.
Così, se un'ascesi malintesa ha esagerato la
trascendenza dell'autorità, e quindi il dovere
dell'obbedienza...; l’ambizione umana l'ha negata
trasformandola in un potente strumento di sopraffazione
più o meno insidiosa e larvata.
* * *
Ma nella Chiesa l'autorità è sacra, per cui ambirla,
usurparla, è sacrilegio, essendo di origine e natura
divina. La sua trascendenza non opprime ne soffoca la
persona umana, ma la libera ed eleva. E la stessa
autorità che Gesù ha ereditato dal Padre e ha
partecipato alla gerarchia. Quella medesima che ha
generato i Santi, esemplari imitatori del Verbo che,
«facendosi carne, non ha avvilito Se stesso, ma sublimato
la natura umana assunta, potenziandone tutte le facoltà
di vita.
La sua obbedienza al Padre, per la quale si è offerto
Vittima della sua giustizia infinitamente misericordiosa,
non ha sottratto nulla alla dignità della sua
Persona. A Nazaret, la sua obbedienza ai genitori è
stata rispetto affettuoso, ineffabile...; l'obbedienza alle
leggi religiose e civili della sua nazione è stata sapiente
accettazione dell'ordine sociale. E obbedienza è pure la
sua arrendevolezza coi discepoli, l'accondiscendenza
con gli amici, la pietà coi peccatori, la tenerezza coi
bambini, la partecipazione al dolore degli infermi, ai
clamori degli ossessi, all'angoscia dei familiari di care
persone defunte...
88
È stata soprattutto incondizionata resa ai suoi nemici,
accettazione della sua sentenza di morte, pazienza
sovrumana coi manigoldi che lo crocifiggono, perdono
ai capi del Sinedrio che lo insultano durante l'agonia.
Veramente «obbediente fino alla morte!». Ma è
obbedienza sempre liberissima, cordiale, dignitosa,
propria di un Grande che si curva non per supplicare
e ricevere, ma per elevare e arricchire. Obbedienza
rivelatrice di una vitalità straripante a servizio dell'Amore
quale gesto del Bene assoluto, inesauribilmente liberale
perché Potenza creatrice che nulla suppone perché
tutto pone e salva.
Se per lunghi anni si nasconde e lavora nel suo borgo,
ignorato da tutti, quando scocca la sua ora percorre la
Palestina, compie miracoli, affascina le folle, discute e
riduce al silenzio gli avversari, davanti ai giudici difende
la sua innocenza, afferma con fierezza la propria
dignità regale.
A Nazaret, se rispetta e obbedisce a Maria, non si rifiuta
però di manifestare la verità della sua origine di Figlio
di Dio, permettendosi di sottrarsi alla vigilanza dei genitori,
intento a sostenere la causa del Padre...
Gli Apostoli sono rapiti dalla degnazione con cui si
confida e si effonde; ma Egli non risparmia a nessuno
avvertimenti e rimproveri... Se tutti invita ad imparare da
Lui l'umiltà e la mitezza del cuore, sa pure sferzare i mercanti
del tempio, inveire contra l'ipocrisia dei farisei e
condannarne la presunzione e l'arroganza...
La sera dell'ultima cena si umilia a lavare i piedi agli
Apostoli, a cui però raccomanda che, avendolo fatto Lui,
«Signore e Maestro», devono farlo anch'essi per
quell'abituale atteggiamento di servizio che solo
dimostra la dignità e la potenza di chi ha tutto da
89
dare, nulla da ricevere. Appunto la grande lezione
sulla vera natura del potere è il vero merito
dell'obbedienza, secondo le idee e l'esempio del
Maestro seguito dai Santi.
I quali, se sapevano di essere nulla per se stessi, erano
anche convinti di essere qualcuno e di potere
qualcosa, perché certi di aver tutto ricevuto da Dio.
Ora, appunto illuminati da tale consapevolezza,
essi, se superiori, comandano obbedendo, ossia
preoccupati di servire facendo la volontà del suddito; e,
se sudditi, obbediscono stimolando il superiore a volere il
loro vero bene, ossia ad esercitare un potere che è
soltanto quello dell'amore che dà, non riceve.
Perciò, a questo livello di considerazioni, è lecito
invertire il senso di termini apparentemente
contraddittori: il vero superiore è insieme anche
suddito perché «serve»; e il vero suddito è insieme
anche superiore perché servito».
Ciò perché volontà del superiore e volontà del
suddito si fondono nel volere il bene che il superiore -
rappresentando Dio - intende «dare» comandando; e il
suddito, obbedendo, intende ricevere: appunto il bene
che il superiore riceve da Dio per darlo al suddito, a sua
volta obbligato a darlo a se stesso.
Chi dunque, nella Chiesa, se membro della
gerarchia, rappresenta Dio nel Cristo suo Capo, ha l'alto
onore di comandare servendo, nel rifiuto di tutte le
umane ambizioni di dominio, che hanno minacciato la
costituzione e la vitalità del Corpo Mistico...; mentre i
fedeli, obbedendo, devono esigere che il Clero
provveda a tutto il loro vero bene, obbligando il
medesimo a riceverlo da Dio per se stesso, per poi
90
comunicarlo ai fedeli.
È per questo reciproco servizio di amore tra Clero e
laicato, che la Chiesa-Corpo può imitare l'esempio del
Cristo-Capo, venuto per servire, non per essere servito».
INDICE
Premessa……………………………………………………. Pag. 5
I – POTENZA E VOLONTÀ DEL DIO VIVENTE “ 7
II - PRIMATO E REGALE POTENZA DI CRISTO “ 8
91
III - “LA MIA CHIESA”……………………………. “ 11
IV - TRADIZIONE APOSTOLICA………………… “ 17
V - POTERE E OBBEDIENZA
1. I termini…………………………………........... “ 24
2. L’autorità, in sé e nella storia della Chiesa “ 26
3. I limiti………………………………………….. “ 28
4. Quale obbedienza, dunque, esigere ed esercitare “ 34
VI - CHIESA E UOMINI DI CHIESA
1. Pastori e mercenari……………………………… “ 41
2. Ambito ed estrapolazioni del potere ecclesiastico “ 42
3. Dagli “uomini di Chiesa” alla “Chiesa”…………... “ 46
4. Sintesi teologica: “La Chiesa” distinta,
e spesso anche diversa, dai suoi “uomini”……....... “ 50
VII - VERITÀ SU OBBEDIENZA E DISOBBEDIENZA
NELLA CHIESA ………………………………… “ 55
Riepilogo…………………………………………………… “ 67
Conclusione………………………………………………… “ 70
OPERE DEL MEDESIMO AUTORE
FILOSOFIA
Itinerario alla filosofia, Ed. Fiorentina, Firenze, 1948, pp. 128*.
Il male, Lecce, 1951, pp. 116 (ed. privata)*.
Problema e mistero del male, Marietti, Torino, 1960, pp. 440*.
Ed io che sono?, II Crivello, Cittadella di Padova, 1972, pp. 200*.
Aborto giudicato dalla ragione, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1975,
pp. 80*.
La verità, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1977, pp. 40*.
Origine del mondo, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1978, pp. 76 -L.
5.000.
92
Dalla prima nebulosa all'uomo, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1979,
pp. 158
- L. 10.000.
Esistenza dello spirito e dignità della persona, Ed. Grafischena,
Fasano (Br), 1979, pp. 104 - L. 5.000.
La persona non muore, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1979, pp. 106 -L.
5.000.
Valore dell'esistenza, Ed. Rogate, Roma, 1980, pp. 262 - L. 10.000.
Pena di morte e Chiesa cattolica, Ed. Settimo Sigillo, V.S. Veniero, 74,
00192 Roma, 1981, pp. 134 - L. 5.000.
Tomismo e cattolicesimo, Ist. Padano di A.G., Rovigo 1978, pp. 28
(estr. da Palestra del Clero nn. 20-21, 1978) - L. 5.000.
Origine delle idee e astrazione dell'intelletto agente in san
Tommaso, pp. 50 (estr. dagli Atti dell’VIII Congr. Tomist. Intern., vol.
VII, 1982) - L. 5.000.
La dignità del corpo umano nella dottrina di san Tommaso, pp. 10
(estr. dagli Atti del IX Congr. Tomist. Intent., vol. III, 1991) - L. 5.000.
Il fondamentale tomismo di Galileo, pp. 20 (estr. da Doctor
Communis, XLIV - 1991, pp. 130-147) - L. 5.000.
Principi di filosofia, con letture di storia del pensiero occidentale, Ed.
Fonti Vive, Roma 1988, pp. 936 - L. 50.000.
APOLOGETICA
Itinerario alla fede, Ed. Grafischena, Fasano (Br), 1978, pp. 48 -L.
5.000.
Perché credo, Ed. Il Crivello, Cittadella di Padova, 1970, pp. 204.
Galileo. Fede nella ragione e ragioni della fede, Ed. Studio
Domenicano, Bologna, 1990, pp. 180 - L. 18.000.
Comunione sulla mano? – Il vero pensiero della Chiesa secondo la vera
storia del nuovo rito. V ed. riveduta ed ampliata - Roma, 1990, pp.
132 -L. 10.000.
La confessione ancora necessaria? - Roma, 1990, pp. 222 - L. 10.000.
La vera Chiesa di Cristo - Roma, 1990, pp. 316 - L. 15.000.
La messa è tutto. Catechismo - Roma, 1991, pp. 68 - L. 5.000.
Eresie del movimento neocatecumenale - V ed. migliorata, arricchita
di nuove sconcertanti testimonianze.
Saggio critico. Ed. Segno, Udine, 1992, pp. 168 - L. 14.000.
Congiura contro l'eucaristia e il sacerdozio - Roma, 1991, pp. 174 -L.
10.000.
La Messa unico tesoro e la sua concelebrazione - Roma, 1991, pp.
58 - L. 5.000.
93
Dio perdona, se... Dialogo sul Sacramento della penitenza - Roma,
1991, pp. 48 - L. 3.000.
Magistero del Papa e catechesi di Kiko. Confronto a proposito del
Cammino neocatecumenale., Ed. Segno, Udine, 1992, pp. 150
-L. 12.000.
Eucaristia ed Ecumenismo. Dialogo. - Ed. Comitato Medjugorie -
Milano, 1992 (V. Cordusio, 4), pp. 134 - L. 10.000.
TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ
L'obbligo di corrispondere alla vocazione, Ed. Fiorentina, Firenze,
1949, pp. 44 (estr. da Vita Cristiana, fasc. IV-V, 1949)*.
II mio e vostro sacrificio. Lineamenti di una teologia del Sacrificio
eucaristico per laici, Lucca, 1955, pp. 64*.
La passione mistero di salvezza, Vicenza, 1966, pp. 248 (successive
ed. italiane nel 1971, 1984; una spagnola e un'altra portoghese
in Brasile), L. 10.000.
Perché Ia Messa?, Ed. Il Crivello, Cittadella di Padova, 1970, pp. 106*.
La morte. E poi?..., Ed. Grafischena, Fasano, 1975, pp. 312 - L. 10.000.
La passione di Cristo nella Bibbia, Ed. “ll Crivello”, Cittadella di Padova,
1971,
pp. 310*.
Mistero della sofferenza di Dio? - Il pensiero di S. Tommaso. Pontif.
Accad. di S. Tommaso, Libr. Ed. Vaticana, n. 34 della coll. “Studi
Tomistici”, Roma, 1988, pp. 88 - L. 10.000.
A colloquio con Dio, Ed. Rogate, Roma, 1991, pp. 108 - L. 10.000.
La Messa è tutto. Teologia a servizio della fede, Ed. Cipi, Roma, pp.
242
- L 15.000.
Carismi e carismatici nella Chiesa - Ed. Dehoniane, Roma, 1991, pp.
180
- L. 15.000.
Incontro al Mistero. Elevazioni. Ed. Segno, Udine, 1992, pp. 280 -L.
15.000.
Catechismo della fede cattolica, f.to 11X19, Ed. Segno, Udine, 1993,
pp. 442
- L 25.000.
II neocatecumenato delta Chiesa cattolica. Lettera aperta al clero
italiano,
f.to 10,5x21, Ed. Segno, Udine, 1993, pp. 34 - L. 3.000.
La confessione ancora necessaria? f.to 11x19, Ed. Segno, Udine,
1993/2• ed., pp. 70 - L. 10.000.
Cristianesimo. Corso di teologia cattolica - f.to 12x24,5, pp. 1380, Ed.
94
Segno, Udine, 1994 - L. 60.000.
Eucaristia o nulla, f.to 11x19, pp. 132, Ed. Segno, Udine, 1994 -L.
15.000.
II male. Itinerario della Speranza, f.to 11x19, pp. 232, Ed. Segno,
Udine - 1994 - L. 15.000.
Questa è la Messa. Non altro, Ed. Segno, Udine, 1994, pp. 120 -L.
12.000.
Chiesa e uomini di Chiesa. Apologia a rovescio, Ed. Segno, Udine,
1994, pp. 56
- L. 5.000.
Dio, dov’è questo Dio? - Pont. Accademia di S. Tommaso, Libr. Ed.
Vaticana, Roma, 1994, pp. 380 - L. 40.000.
Ecumenismo e umanesimo di Giovanni Paolo II, Pont. Accademia di
S. Tommaso, Libr. Ed. Vaticana, Roma, 1995, pp. 108 - L. 15.000.
Catechesi neocatecumenale e ortodossia del Papa, Ed. Segno,
Udine, 1995, pp. 80 - L. 7.000.
Vita futura e dogma del purgatorio, Ed. Segno, Udine, 1995, pp. 208 -
L. 15.000.
Ebraismo a confronto col Cristianesimo, Ed. Segno, Udine, 1995,
pp. 220
- L. 18.000.
San Tommaso, Quaderni del Segno n. 1, Ed. Segno, Udine, 1996, pp. 48
- L. 7.000.
Non tutto è materia, Quaderni del Segno n. 2, Ed. Segno, Udine, 1996,
pp. 84
- L. 10.000.
Alla scoperta del Padre, Quaderni del Segno n. 3, Ed. Segno, Udine, 1996,
pp. 62 -
L. 8.000.
AGIOGRAFIA
La povera Gemma. Saggi critici storico-teologici, Ed. Crocifisso,
Roma, 1957, con 158 illustr., pp. 1050.
S. Paolo della Croce. Storia critica. A cura della Congr. dei PP.
Passionisti, Roma, 1963-1968:
vol. I, Biografia, pp. 1616, con indici e 180 illustr. f. t.;
vol. II, L'uomo e il Santo, pp. 1755, con indici e 73 illustr. f. t.;
vol. III, Maestro di Spirito, missionario e fondatore, pp. 2512,
con indici e 77 illustrazioni f. t.;
S. Paolo della Croce. Diario spirituale. Testo critico, introd., note e
indici.
95
A cura dei PP. Passionisti, Roma, 1964, pp. 102.
S. Paolo della Croce. Profilo. Vicenza, 1967, pp. 102*.
S. Paolo della Croce e le Suore Passioniste di Signa, Roma, 1967,
pp. 64*.
S. Paolo della Croce (compendio dell'opera grande, a cura dei
PP. Passionisti di Puglia e Calabria). Manduria (Taranto), 1975,
pp. 338.
Tempo ed eternità. Nella vita intima di S. Teresa di Lisieux, Ed.
O.C.D., Roma, pp. 454 - L. 20.000.
STORIA
I Passionisti. Spiritualità e apostolato. Ed. “Il Crocifisso”, Roma, 1955,
pp. XV-404*.
Le monache passioniste, Ed. “Il Crivello”, Cittadella di Padova, 1970,
pp. 700,
con 55 illustrazioni*.
PUBBLICAZIONI VANE
Casa di preghiera, non spelonca di ladri, Roma, 1980, pp. 43.
Lettera aperta di un gruppo di laici al clero italiano, Roma, 1986,
pp. 38.
Dizionario del Cristianesimo, Ed. Segno, Udine, 1992, pp. 588 -L.
60.000.
96
− La presente rassegna bibliografica non comprende numerosi piccoli
e grandi scritti inediti, come neanche articoli apparsi su riviste e
dizionari.
− Le opere seguite dall'asterisco sono esaurite.
− Le altre possono essere richieste tale rispettive Case Editrici,
oppure all'Autore: P. Enrico Zoffoli, P.za S. Giovanni in Laterano, 14,
00184 Roma, Tel.: 70494489 - diretto: 70490515.
97
L'AUTORE E CONSAPEVOLE DELLA ESTREMA
DELICATEZZA DELL'ARGOMENTO; MA SI AUGURA DI
POTER CHIARIRE LE IDEE DI MOLTI, CREDENTI E NON
CREDENTI, APOLOGISTI DELLA FEDE E ANTICLERICALI,
PARTENDO DALLA PREMESSA DELLA PROFONDA
DISTINZIONE TRA «CHIESA» E «UOMINI DI CHIESA».
PERCIÒ:
− SE LA CHIESA È MAESTRA DI VERITÀ, GLI «UOMINI DI
CHIESA» (tranne iI Papa quando insegna «ex
cathedra») POSSONO ERRARE;
− SE LA CHIESA È SANTA E MADRE DI SANTI, GLI
«UOMINI DI CHIESA» POSSONO ESSERE PECCATORI;
− SE LA CHIESA DISPONE DELLA PIENEZZA DEI
POTERI, GLI «UOMINI DI CHIESA» NE POSSONO
ABUSARE, RENDENDO LECITA E TALVOLTA ANCHE
DOVEROSA LA DISOBBEDIENZA DEI FEDELI ILLUMINATI
DAL MAGISTERO E DECISI A DIFENDERE LA PUREZZA
DELLA FEDE E LA SANTITÀ DEI COSTUMI.
CHI DUNQUE OSA IDENTIFICARE LA CHIESA CON GLI
UOMINI DI CHIESA DEVE ANCHE AMMETTERE
CHE: 0 QUESTI SONO SEMPRE ORTODOSSI E
IRREPRENSIBILI, CONTRO LA STORIA...; 0 ANCHE
QUELLA È FALLIBILE E PECCATRICE, CONTRO LA FEDE.
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